Corte di Cassazione ordinanza n. 11280 depositata il 7 aprile 2022

accertamento – onere della prova – esame analitico del giudice delle prove

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate notificò a V.A., all’esito di accertamento sintetico ex 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, tre distinti avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008, con i quali era stata recuperata a tassazione maggiore imposta IRPEF.

La Commissione tributaria provinciale di Como, dinanzi alla quale la contribuente propose ricorso, accolse la domanda subordinata di rideterminazione del reddito, riducendo il maggior reddito accertato.

2. La contribuente impugnò la sentenza, chiedendo l’annullamento degli atti impositivi per carenza del presupposto impositivo, mentre l’Agenzia delle entrate propose appello incidentale in relazione alle statuizioni della sentenza di primo grado a sé sfavorevoli.

La Commissione tributaria regionale rigettò l’appello della contribuente, accogliendo quello incidentale. Dopo aver rilevato che i giudici provinciali avevano fondato il proprio giudizio su criteri di equità non consentiti, osservò che: a) l’Ufficio aveva evidenziato come ai disinvestimenti documentati dalla contribuente  corrispondessero altrettanti investimenti in titoli; le relative somme non potevano avere determinato un abbattimento del maggior reddito accertato, in quanto quelle somme erano uscite dalla disponibilità familiare nello stesso momento in cui erano entrate e non potevano, di conseguenza, essere state utilizzate per sostenere  il tenore di vita misurato sulla base dei beni indice di capacità contributiva; b) i conti correnti della V.A. mostravano numerosi movimenti, in entrata e in uscita, e facevano emergere una situazione anomala della posizione reddituale del nucleo familiare. Considerato che gli introiti documentati dall’appellante non avevano rilevanza ai fini del maggior reddito accertato perché erano stati reinvestiti e che la contribuente non aveva addotto tali dati in risposta al questionario inviato dall’Ufficio, cosicché era decaduta dalla possibilità di farli valere in giudizio, i giudici di appello conclusero che «i dati esibiti dalla contribuente» non consentivano di dare un’esatta misura di come eventualmente le ulteriori disponibilità finanziarie del nucleo familiare fossero state impiegate nella gestione delle spese familiari.

3. V.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex 378 cod. proc. civ .

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, censurando  la  sentenza gravata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostiene che la C.T.R. avrebbe omesso di considerare le risultanze documentali che evidenziavano l’esistenza di residui attivi dopo gli investimenti eseguiti in ciascuno dei tre anni d’imposta sottoposti ad accertamento, costituiti da  proventi esclusi dall’imponibile.

2. Con il secondo motivo la contribuente denuncia la violazione dell’art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere i giudici regionali ritenuto raggiunta la prova dell’impiego delle disponibilità liquide conseguite nei tre anni oggetto di verifica al fine di sostenere le spese presuntivamente riferite agli indici di capacità contributiva individuati dall’Agenzia delle entrate, pur emergendo dai documenti offerti, e non contestati, che nel triennio 2006-2008 il nucleo familiare aveva avuto a disposizione proventi legalmente esclusi dall’imponibile per importi, al netto di eventuali reinvestimenti, sempre superiori agli imponibili accertati.

3. Il primo ed il secondo motivo, da scrutinare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.

3.1 Occorre ribadire in linea generale che la norma di cui all’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 civ. e, in presenza di tale presupposto, la norma non impone altro onere all’amministrazione ma piuttosto pone a carico del contribuente l’onere di offrire la prova contraria: prova testualmente riferita, nel successivo comma 6, al fatto che «il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte», con la espressa precisazione che «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione».

3.2 L’oggetto della prova contraria da parte del contribuente riguarda non solo, dunque, la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) ma anche  «l’entità  di tali redditi e la durata del loro possesso».

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass., sez. 5, 18/04/2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass., sez. 5, 26/11/2014, n. 25104; Cass., sez. 6-5, 16/07/2015, n. 14885), pur non prevedendosi esplicitamente  la  prova  che  detti  ulteriori  redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da «idonea documentazione») della «entità» di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata>> del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico.

3.3 Tanto premesso, la regula iuris applicata al caso concreto dal giudice a quo non appare pienamente rispettosa del quadro normativo così ricostruito, dovendosi ritenere che, nell’affermare la piena legittimità dell’accertamento in quanto fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante dalle spese gestionali sostenute, esso abbia trascurato di esaminare in modo specifico e puntuale tutta la documentazione prodotta dalla contribuente al fine di verificare l’esistenza di disponibilità finanziarie capaci di giustificare le spese correlate al possesso di beni e di incrementi

A fronte dell’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria che ha stimato un reddito presunto rispettivamente di euro 78.786,80 per l’anno 2006, di euro 92.416,98 per l’anno 2007 e di euro 86.944,00 per l’anno 2008, la contribuente ha dedotto che il giudice di appello aveva omesso di considerare:

  1. in relazione all’anno 2006, la documentazione richiamata al paragrafo 2.1. del primo motivo di ricorso volta a dimostrare la percezione di importi legalmente esclusi dall’imponibile, risparmi accumulati nell’anno precedente per totali euro 138.173,69, il rimborso di polizze assicurative e di cedole del prest it o obbligazionario O. 84 s.p.a.;
  2. in relazione all’anno 2007, la documentazione indicata al paragrafo 3.1. del primo motivo di ricorso volta a provare il rimborso del titolo obbligazionario O. 84 s.p.a., nonché delle cedole del prestito obbligazionario O. 84 s.p.a., che erano state accreditate sul conto corrente;
  3. in relazione all’anno 2008, la documentazione richiamata al paragrafo 4.1. del primo motivo di ricorso idonea a dimostrare i proventi legalmente esclusi dall’imponibile, il rimborso di titoli obbligazionari e la riscossione di cedole del prestito obbligazionario O. 84 s.p.a.

3.4 Anche con la memoria illustrativa la ricorrente ha ribadito, facendo espresso riferimento ai documenti prodotti in primo ed in secondo grado, non solo di avere provato le spese sostenute, ma anche che nel triennio 2006-2008 aveva potuto contare su disponibilità, non aventi natura reddituale, confluite sui conti correnti, per importi più che sufficienti a coprire le spese contestate.

3.5 La motivazione della sentenza impugnata non contiene un esame analitico della documentazione allegata e, in particolare, delle disponibilità finanziarie sopra indicate, né della loro idoneità a giustificare i fatti posti a base dell’accertamento fiscale, avendo la T.R., con un giudizio sommario, escluso ogni valore probatorio della documentazione prodotta dalla contribuente sul rilievo, del tutto generico, che «gli introiti documentati» sono stati reinvestiti, così rimpinguando il patrimonio familiare, e che i dati esibiti non consentono di ricostruire come le ulteriori disponibilità finanziarie del nucleo familiare siano state in concreto impiegate nella gestione delle spese familiari.

3.6 Come chiarito da questa Sezione (Cass., 5, 12/02/2020, n. 21700), «al fine del più ampio rispetto del principio  costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la  determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione della inesistenza del maggior reddito  attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo. Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992».

I giudici regionali avrebbero dunque dovuto esaminare tutta la documentazione esibita dalla contribuente, valutandone l’idoneità a sopportare le spese di mantenimento dei beni costituenti gli indici di spesa individuati dall’Ufficio finanziario.

4. Con il terzo motivo, censurando la decisione gravata per violazione dell’art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, la contribuente contesta ai giudici di appello di avere affermato: «non avendo la contribuente addotto tali dati in risposta al questionario inviato all’ufficio, la contribuente è decaduta dalla possibilità di farle valere in appello». Evidenzia, al riguardo, che l’Agenzia delle entrate nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di merito aveva formulato l’eccezione di decadenza di cui al quarto comma del citato 32 con riferimento, la prima volta, al possesso di obbligazioni emesse da O. 84 s.p.a. e, la seconda, 21lle movimentazioni  bancarie, sebbene il possesso di redditi esenti e  la  presenza  di  disponibilità liquide sufficienti a giustificare il tenore di vita familiare fossero stati puntualmente addotti sin dalla  prima  risposta  al  questionario. Soggiunge che l’Agenzia non aveva chiesto di produrre gli estratti dei conti correnti, intestati alla stessa ricorrente e al coniuge, cosicché le produzioni  compiute  nel  corso  del  giudizio  non  potevano  ritenersi pregiudicate dalla decadenza, potendosi pervenire alla sanzione dell’inutilizzabilità solo a fronte di una specifica richiesta dell’amministrazione.

4.1 Il motivo è fondato.

4.2 Come questa Corte ha già chiarito, «In tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria,  previsto  dagli artt. 32, comma  4, d.P.R. n.  600 del 1973 e 51, comma 5, P.R. n. 633 del 1972, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della  materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, essendo necessario che l’Ufficio fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare – ai sensi degli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente – l’azione dell’ufficio.» (Cass., sez. 5, 24/11/2020, n. 26646). Nello stesso senso, si è precisato che «In tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n.  600 del 1973 in materia di imposte dirette, ovvero dell’art.  51 d.P.R.  n.  633 del 1972, in materia di I.V.A., da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica ex art. 33 d.P.R. n. 600 cit., quanto all’imposizione reddituale ed ex art. 52 del d.P.R. n. 633 cit., quanto all’I.V.A., poiché –  ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è, comunque, onerato; nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria.» (Cass., sez. 5, 14/06/2021, n. 16757).

4.3 Nel caso di specie, essendo pacifica la circostanza della richiesta al contribuente di documenti mediante questionario, la C.T.R. non ha dato atto in sentenza di avere compiuto accertamenti in ordine ai presupposti di fatto sopra richiamati (richiesta specifica ed avvertimento delle conseguenze dell’inottemperanza), essendosi limitata ad un’astratta enunciazione del principio dell’inutilizzabilità della documentazione, senza fare specifico riferimento ai requisiti a monte della relativa sanzione processuale.

5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla  Commissione tributaria regionale della Lombardia,  in  diversa  composizione,  per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione,   cui  demanda   di  provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.