Corte di Cassazione ordinanza n. 11324 depositata il 7 aprile 2022
costi di sponsorizzazione e pubblicità – concetto di inerenza del costo
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Cek Group sr.l. un avviso di accertamento, relativo all’anno 2010, con il quale, ai fini delle imposte dirette, aveva disconosciuto la deducibilità dei costi e, ai fini Iva, la non detraibilità, in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti e, inoltre, e per quanto ancora di interesse, la non inerenza dei costi di pubblicità sostenuti; la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo aveva accolto limitatamente alla ripresa relativa alle operazioni soggettivamente inesistenti stante l’intervenuta applicazione della previsione di cui all’art. 8, d.l. n. 16/2012, mentre aveva ritenuta legittima la ripresa relativamente ai costi di pubblicità; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello principale e la società appello incidentale relativamente alla statuizione concernente la non inerenza dei costi di pubblicità sostenuti.
La Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello principale dell’Agenzia delle entrate ed accolto quello incidentale della società, in particolare, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che la società aveva fornito la prova dell’inerenza dei costi di pubblicità, ponendosi, semmai, una questione di congruità del costo sostenuto, profilo non adeguatamente coltivato dall’Agenzia delle entrate.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato ad un unico motivo di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistit o la società depositando controricorso.
Ragioni della decisione
Preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancata specifica richiesta di patrocinio all’Avvocatura della Stato da parte dell’Agenzia delle entrate, in quanto questa Corte (Cass. civ., 30 maggio 2018, n. 13627; Cass. civ., 28 marzo 2012, n. 4950), sul punto, ha precisato che: “Per la rappresentanza e difesa in giudizio, le Agenzie fiscali, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 72, possono avvalersi, secondo la disciplina di cui del R.D. 30 ottobre 1933, n. 611, art. 43, del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, che, in forza di tali disposizioni, si pone con esse in un rapporto di immedesimazione organica, ben diverso da quello determinato dalla procura “ad !item”, che trova fondamento nell”‘intuitus fiduciae” e nella personalità della prestazione. Ne consegue che gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede, senza bisogno di mandato, neppur quando le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, come nel caso di ricorso per cassazione”.
Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 108 e 109 d.P.R. n. 917/1986 e dell’art. 2697, cod. civ., per avere erroneamente ritenuto che le spese di pubblicità sostenute dalla contribuente fossero inerenti.
A tal proposito, evidenzia parte ricorrente che le spese erano relative all’utilizzo da parte di un terzo, pilota di kart impegnato in gare sportive a livello internazionale, del semplice logo della società, senza alcun concreto riferimento ai prodotti fabbricati, sicchè le stesse non avevano alcuna correlazione o finalità di miglioramento dell’immagine dell’impresa, profilo che avrebbe dovuto essere accertato dal giudice del gravame; evidenzia, inoltre, che la contribuente non aveva dato alcuna dimostrazione di quale fosse l’effettivo ritorno in termini di potenziamento del fatturato conseguente alla sponsorizzazione.
Il motivo è infondato.
La questione di fondo della presente controversia attiene alla sussistenza del requisito dell’inerenza dei costi sostenuti dalla contribuente per la pubblicizzazione del proprio marchio.
Deduce parte ricorrente che l’erroneità della pronuncia censurata risiederebbe nella circostanza che avrebbe ritenuto inerenti le spese sostenute in forza del contratto di sponsorizzazione del proprio marchio, e ciò: nonostante il fatto che non veniva pubblicizzato il prodotto, ma solo il marchio, le gaire 61 si svolgevano in ambienti internazionali e non era relativo a prodotti di largo consumo tali da essere conosciuti indipendentemente dal riferimento al prodotto fabbricato ed a contatti con le società; senza, inoltre, avere effettuato alcuna verifica del concreto vantaggio economico che la contribuente avrebbe ritratto dalla sponsorizzazione.
Con riferimento a quest’ultimo profilo, va evidenziato che non sono pertinenti ai fini della definizione della presente controversia le diverse pronunce citate nel motivo di ricorso che, secondo quanto riporta la ricorrente, avrebbero richiesto, sempre e comunque, che, ai fini della valutazione dell’inerenza dei costi sostenuti con i contratti di sponsorizzazione, sia necessario dare la prova della potenziale utilità per la propria attività commerciale e dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità del marchio.
Le pronunce citate (Cass. civ., 26 novembre 2014, n. 25100; Cass. civ., 16 novembre 2011, n. 24065), hanno, in realtà, risolto la diversa questione dei presupposti di deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute ai fini della pubblicizzazione di un segno distintivo altrui, ed è in questo senso che si sono conseguentemente espresse.
D’altro lato, va precisato che la questione della diretta aspettativa di ritorno commerciale per il soggetto che sostiene le spese è stata risolta da questa Corte (Cass. civ., 30 dicembre 2014, n. 27482; Cass. civ., 27 maggio 2015, n. 10914; Cass. civ ., 23 marzo 2016, n. 5720) solo al fine della individuazione della diversa natura delle spese, se di rappresentanza o di pubblicità e, quindi, dei limiti di deducibilità delle prime, secondo quanto previsto dal previgente art. 74, comma 2, d.P.R. n. 917/1996.
Nella presente controversia, il motivo di ricorso in questione non si incentra sulla diversa natura delle spese di sponsorizzazione sostenute, ma unicamente sul profilo della non inerenza.
In questo specifico ambito, relativo alla verifica del requisito dell’inerenza dei costi sostenuti, va precisato che, secondo questa Corte (Cass. civ., 27 aprile 2012, n. 6548), il c.d. contratto di sponsorizzazione, fattispecie non specificamente disciplinata dalla legge, ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali un soggetto ( detto “sponsorizzato”) si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale.
Da tali caratteristiche del rapporto, si evince, pertanto, che la sponsorizzazione, che, sotto il profilo concernente lo sponsorizzato, si concreta nella commercializzazione del nome e dell’immagine personale del soggetto, si traduce, al contempo, per lo sponsor, in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato. E, sotto tale profilo, deve ritenersi sussistente l’inerenza, ai fini fiscali, dei costi della sponsorizzazione all’attività di impresa, qualora lo sponsor sia lo stesso titolare del marchio o il produttore del bene da promuovere.
In siffatta ipotesi, invero, la pubblicizzazione del marchio o del prodotto si traducono in un potenziale vantaggio economico diretto per l’impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale.
In tale prospettiva, va quindi precisato che questa Corte ha superato la nozione fiscale di inerenza correlata ad una valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità della spesa (ex multis, Cass. n, 10914/2015) ed ha invece affermato che, in tema di imposta sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea.
Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27786 del 31/10/2018).
In particolare, questa Corte ha precisato che mentre “In tema di imposte dirette, l’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali”, invece, “in tema di IVA, l’inerenza di un costo attinente all’attività di impresa non può essere esclusa in considerazione della mera sproporzione o incongruenza della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo ed attività d’impresa” (Cass. civ., 17 luglio 2018, n. 18904).
Circa, in particolare, la deducibilità dei costi di sponsorizzazione, consistenti nella promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato, mentre in base all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’inerenza doveva essere valutata secondo un giudizio di carattere quantitativo, le spese di sponsorizzazione erano ritenute deducibili ove il soggetto (anche se non titolare del marchio), comunque, traeva dallo sfruttamento del segno distintivo un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciale (Cass. 4518/13; 4516/13; n. 27198/2014; n. 6548/2012), alla luce del condivisibile orientamento che correla il concetto di inerenza a un giudizio di carattere qualitativo, i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima.
Peraltro, va evidenziato che, in ogni caso, il giudice del gravame ha comunque accertato, con una valutazione in fatto, che sussisteva una specifica correlazione fra l’utilizzo del marchio e la potenziale utilità per l’attività dell’impresa, avendo posto l’attenzione tra il suddetto marchio e l’ambiente di addetti ai lavori in cui lo stesso era posto in evidenza.
D’altro lato, le suddette considerazioni trovano recente conferma anche sul versante unionale.
La Corte di Giustizia, con la pronuncia 25 novembre 2021, causa C- 334/20, ha invero, precisato, in materia di diritto alla detrazione Iva per costi di pubblicità, che l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo può detrarre l’imposta sul valore aggiunto (I VA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un’operazione soggetta all’IVA, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall’amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo.
Pertanto, non correttamente parte ricorrente rileva, ai fini del non riconoscimento dell’inerenza, che occorreva tenere conto della circostanza che il marchio era privo di riferimenti specifici ai prodotti fabbricati o che lo sponsorizzato gareggiava nel circuito internazionale mentre la contribuente svolgeva attività di impresa limitata, non essendo tali circostanze idonee ad escludere la specifica correlazione qualitativa tra il costo e l’attività di impresa.
Né può porsi, in mancanza di specifica indicazione della antieconomicità della spesa ovvero, in materia d’Iva, della sua macroscopica antieconomicità, un profilo di non inerenza per incongruità, profilo peraltro escluso dal giudice del gravame, avendo rilevato che “sul punto nessun concreto elemento viene svolto dall’ufficio non essendo sufficiente a tale scopo il mancato o scarso ritorno della campagna pubblicitaria in termini di fatturato locale”.
Il motivo è pertanto infondato con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive euro 5.600,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento, euro 200,00 per esborsi, ed accessori.