CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 11336 depositata il 2 maggio 2023
Lavoro – Differenze provvigionali – Contratto di consulenza professionale e promozione della clientela in outsourcing – Violazione del divieto di novum – Rinuncia al diritto di credito – Accoglimento – principio della ricerca della verità materiale – la rinunzia ad un diritto, che oltre che espressa può essere anche tacita, può desumersi da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa e non può essere oggetto di presunzioni
Rilevato che
1. la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di R.C. intesa alla condanna della convenuta G. s.r.l. al pagamento della somma di € 125.924,00 richiesta a titolo di differenze provvigionali rivenienti dal contratto di consulenza professionale e promozione della clientela in outsourcing stipulato con la detta società il 1 gennaio 2010 ed eseguito per circa un quinquennio; a fondamento della pretesa il C. ha dedotto che la erogazione di importi inferiori a quelli pattuiti era frutto dell’arbitraria ed ingiustificata riduzione unilaterale di tali compensi operata dalla della società;
2. il giudice di appello ha, viceversa, ritenuto che le emergenze in atti deponessero nel senso dell’accettazione da parte del consulente delle modifiche provvigionali per taluni degli affari trattati, in assenza di un contesto connotato da metus reverentialis da parte del consulente nei confronti della società;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso R.C. sulla base di due motivi;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 437 cod. proc. civ. , violazione del divieto di novum in appello, inammissibilità della produzione del documento n. 3 allegato al ricorso in appello ( vale a dire della mail P.S. snc – G. s.r.l. del 5.3.2013), violazione della barriera preclusiva di cui all’art. 416 cod. proc. civ.; deduce, inoltre, inammissibilità della allegazione secondo cui i patti modificativi dei compensi provvigionali deriverebbero dal fatto che le fatture relative agli stessi provenivano dal commercialista del consulente, violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , erronea valutazione delle circostanze storiche emergenti dalla prova documentale ed errata applicazione dei principi in tema di disponibilità e valutazione delle prove. Censura la sentenza impugnata per non avere rilevato la inammissibilità della produzione documentale rappresentata dalla mail del 5.3.2016 allegata al ricorso in appello e la novità dell’argomento difensivo secondo il quale la modifica delle provvigioni poteva derivare anche dalla circostanza che le fatture per i compensi provvigionali erano redatti dal consulente medesimo;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. in tema di correttezza e buona fede contrattuale contestando la esistenza di patti derogativi in peius rispetto alle originarie intese contrattuali; deduce inoltre violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. contestando in sintesi le nozioni di fatto poste a base dell’accertamento; denunzia inoltre la ingiustificata estensone dell’asserita accettazione di una deroga alle percentuali provvigionali per taluni affari o a particolari clienti a tutto il complessivo rapporto negoziale;
3. il primo motivo di ricorso è infondato;
3.1. il giudice di appello ha accolto il terzo motivo di gravame dell’appello della società G. con il quale era denunziata la mancata considerazione della formale accettazione da parte del C. della modifica provvigionale relativa alla posizione del cliente Aster di cui alla mail del 10 luglio 2012 e la mancata considerazione della circostanza che le provvigioni rettificate erano pagate dalla committente su prospetti provvigionali redatti dallo stesso consulente tramite il suo commercialista nonché della formale accettazione della modifica provvigionale riveniente dalla mail del 5 marzo 2013; la sentenza impugnata ha, infatti, valorizzato la circostanza che il consulente predisponeva in autonomia i prospetti delle proprie provvigioni coordinandosi con la committente; in particolare, la Corte di merito ha mostrato di desumere dalla mail in data 5 marzo 2013, pacificamente depositata in seconde cure, la esistenza di un’accettazione scritta da parte del C. della deroga alla misura del compenso provvigionale in precedenza concordato, con riferimento ad alcuni clienti e ad alcuni affari;
3.2. tanto premesso, va in primo luogo respinta la eccezione di violazione del divieto di novum con riferimento alla documentazione prodotta in seconde cure (in particolare la mail del 5 marzo 2013), in applicazione del principio della ricerca della verità materiale, secondo il quale il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 cod. proc. civ., ove reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento (Cass. n. 7694/2018, Cass. n. 6753/2013);
3.3. non si ravvisa la denunziata violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. la quale, per come concretamente illustrata, non è riferita a domande ed eccezioni introdotte per la prima volta in secondo grado, ma ad un argomento difensivo che si assume mai speso in prime cure, costituito dalla possibilità di accertare la sussistenza degli asseriti patti modificativi dei compensi provvigionali sulla base della circostanza che le fatture per i compensi provvigionali erano redatti dal consulente medesimo. Invero, a prescindere dal difetto di autosufficienza nella esposizione della vicenda processuale, come, viceversa, indispensabile al fine di dimostrare la novità dell’argomentazione, l’assunto del ricorrente si rivela già nell’enunciazione inidoneo configurare la violazione del divieto di novum per la intrinseca inidoneità dell’argomentazione contestata ad incidere sugli elementi identificativi della domanda;
3.4. infine, la denunzia di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non è configurabile in relazione all’apprezzamento del materiale probatorio (Cass. n. 66774/2022, Cass. Sez. Un. n. 20867/2020, Cass. n. 27000/2016);
4. è fondato nei termini di cui in prosieguo il secondo motivo di ricorso;
4.1. con la domanda di cui al ricorso di primo grado R.C. aveva allegato che il contratto stipulato con G. s.r.l., da qualificarsi come di procacciamento di affari, prevedeva un corrispettivo stabilito parte in misura fissa (€ 5.000,000 mensili, oltre IVA) e parte in misura variabile (provvigione pari al 7% sul fatturato complessivo realizzato dalla G. riguardante i prodotti della linea Exclusive, nonché del 55% per tutti i prodotti della linea G.) e che la società con propria ed arbitraria determinazione unilaterale aveva ridotto la misura delle provvigioni;
4.2. la sentenza impugnata ha affermato, in sintesi, che vi era stata accettazione da parte del C. delle modifiche delle percentuali provvigionali proposte dalla società secondo quanto desumibile da alcune circostanze fattuali (v. paragafo 3.1.);
4.3. tale accertamento non risulta effettuato con modalità coerenti con la giurisprudenza della S.C. secondo la quale la rinunzia ad un diritto, che oltre che espressa può essere anche tacita, può desumersi da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa e non può essere oggetto di presunzioni (Cass. n. 2739/2018, Cass. n. 8891/1999, Cass. n. 6116/1990); in particolare è stato chiarito che al di fuori dei casi in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto di credito, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, la quale non può mai essere oggetto di presunzioni (Cass. n. 2739/2018, cit.). Nella stessa linea argomentativa si pone Cass. n. 3657/2020 secondo la quale “La rinuncia al compenso da parte dell’amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l’atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell’emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto”;
4.4. la Corte di merito, in difformità da tali indicazioni, ha tratto il convincimento della esistenza di una volontà generalizzata del C. di accettare le riduzioni provvigionali da parte dell’agente sulla base di elementi di carattere presuntivo, senza svolgere alcuna effettiva verifica in ordine alla esistenza di una volontà negoziale, univocamente interpretabile come di carattere dismissivo, volontà che avrebbe dovuto essere riferita ai singoli compensi provvigionali negoziati, e non, come avvenuto, riferita, con valutazione globale ed indifferenziata, alla generalità delle percentuali provvigionali;
5. si impone, pertanto, in relazione al secondo motivo la cassazione con rinvio per il riesame della fattispecie alla luce dei principi richiamati in tema di accertamento della volontà dismissiva;
6. alla Corte di rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.
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