Corte di Cassazione ordinanza n. 11424 depositata l’ 8 aprile 2022

IMU – momento impositivo – sanzioni

FATTI DI CAUSA

La ricorrente espone di  essere proprietaria di  un parco eolico,  di cui ha completato i lavori in data 4 dicembre 2008, mentre l’accatastamento è stato effettuato in data 22 dicembre 2009, con decorrenza 1 settembre 2009. Espone altresì di avere calcolato l’ICI per l’anno 2009 considerando,    per il periodo dal 1 gennaio al 31 agosto 20091il valore di bilancio del solo terreno, poiché fino a tale data il parco non poteva considerarsi effettivamente ultimato,  e per il periodo del 1 settembre al 31 dicembre 2009 effettuando il calcolo sul valore  contabile dell’immobile. Di conseguenza, la società ha versato complessivamente per l’ICI dell’anno 2009 la somma di euro 80.722,00. In data 9 ottobre 2013 il Comune di Faeto ha notificato avviso di accertamento chiedendo l’ICI per l’anno 2009 nella maggiore misura di   euro 149.393,36 oltre sanzioni e interessi, applicando l’art. 5 comma 3 del D.lgs. 504/1992.

La  società ha quindi opposto l’avviso con ricorso  che è stato accolto in primo grado ritenendo che l’art. 5 comma 3 del D.lgs. 504/ 1992 si riferisca solo agli immobili detenuti da un’impresa che non sono stati ultimati alla data di entrata in vigore dello stesso D.lgs.

Il Comune ha proposto appello, che è stato parzialmente accolto dalla Commissione regionale, dichiarando dovute le somme richieste dal Comune con l’avviso impugnato, con esclusione delle sanzioni. La Commissione ritiene che I’ ICI debba essere calcolata dal 1 settembre 2009 al 31 Dicembre 2009 secondo i valori di bilancio dichiarati dalla società e depositati presso la Camera di Commercio, dovendosi applicare l’art. 5  comma  3 del  D.lgs. 504/1992  e rilevando che la   società pur avendo terminato i lavori il 4 dicembre 2008 non ha provveduto all’accatastamento  degli  immobili  nei termini  di legge  30  giorni  ma  solo in data 22 dicembre 2009. Ritiene tuttavia che  non  siano  dovute  le sanzioni per la particolare difficoltà  interpretativa  della  vicenda processuale.

Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società affidandosi a tre motivi.

Si  è  costituito  resistendo   il  Comune  di  Faeto }” proponendo   ricorso incidentale sul capo della sentenza che ha escluso le sanzioni.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. La causa è stata trattata alla udienza del 16 febbraio 2022.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo  del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione falsa interpretazione dell’art. 5 comma 3 del D.lgs. 504/1992 nonché dell’art.! comma 336 della legge n. 311/2004.

La società ricorrente  deduce che a seguito dell’entrata  in vigore dell’art. 1 comma 366 della legge 311/2004, a decorrere dal 1 gennaio 2005 se un immobile viene ultimato e non dichiarato in catasto il Comune è obbligato a denunciarne l’esistenza all’Agenzia del territorio che provvede, in caso di inerzia del contribuente, alla iscrizione in catasto dell’immobile. Si tratta   -nella prospettazione difensiva della parte-   di una abrogazione  di fatto dell’art.  5  cit. in quanto  qualsiasi immobile deve essere obbligatoriamente accatastato e pertanto tale procedura introdotta a far data dal 1 gennaio 2005 rende non più applicabile la (diversa) previsione di cui all’art. 5, 3 comma, D.Lgs. 504/1992, essendo le due norme del tutto incompatibili tra di loro.
La società conclude il motivo di ricorso formulando una sintesi in questi termini: “dica la Corte se l’articolo 1 comma 336 della legge 311/2004 ha posto una regolamentazione volta in ogni caso alla individuazione di un meccanismo tale per cui ogni fabbricato (di qualsiasi specie da qualsiasi soggetto posseduto) debba risultare sempre iscritto in catasto con attribuzione di rendita e con riferimento alla data di ultimazione dello stesso e se tale regolamentazione renda di fatto (o almeno in una situazione quale la presente) inapplicabile una previsione di cui all’articolo 5/3 comma decreto legislativo 504/1992”.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 336 della legge 311/2004. La parte
deduce che qualora il titolare non abbia provveduto ad accatastare il bene entro 30 giorni dalla data di ultimazione dei lavori, il Comune non
può emettere avvisi di accertamento per il recupero dell’ICI sulla base del criteri di cui al comma 3 dell’ad 5 del D.Igs. 504/1992 ma deve
preliminarmente avviare la procedura di cui all’art. 1 comma 336 cit. e cioè diffidare il proprietario a procedere all’accatastamento e, in caso di inerzia, l’Agenzia del territorio trascorsi 90 giorni dalla notifica deve provvedervi d’ufficio. Rileva inoltre che la rendita catastale proposta
dalla società per l’accatastamento in data 22 dicembre 2009 è esattamente la stessa che sarebbe stata proposta anche con riferimento
alla data del 04 dicembre 2008 e pertanto, applicata all’intero anno 2009, avrebbe determinato il pagamento di un’imposta inferiore a quella
effettivamente pagata.
La società conclude il motivo di ricorso formulando una sintesi in questi termini: “dica la Corte se per un immobile ultimato nel 2008 (e non denunciato in catasto con attribuzione di rendita) la base imponibile ICI per il successivo anno 2009 debba essere quella catastale di cui all’art. 5  2°  comma del  D.lgs. 504/1992 (anche a seguito dell’applicazione da parte del Comune dell’obbligatoria procedura di cui all’art. 1  comma 336 della legge 311/ 2004) ovvero se tale omissione di denuncia (in perfetta buona fede) possa giustificare anche per il successivo anno 2009 l’applicazione del cosiddetto criterio del valore contabile di  cui all’art. 5, 3° comma D.lgs. o 504/1992(con applicazione di un’imposta superiore rispetto a quello effettivamente dovuta è già pagata)”

Con la memoria depositata ex art 378 c.p.c. la parte, insistendo nella tesi esposta con i primi due motivi di ricorso, inserisce un argomento difensivo ulteriore, così esprimendosi: in via gradata sul punto andrà stabilito da questa Corte se nel caso di specie poiché il parco eolico è stato accatastato con decorrenza dal 1 ° settembre 2009, il criterio di cui all’art. 5, 3° comma, D.Lgs. 504/1992 varrà per l’intero anno 2009 ovvero fino al 31 agosto 2009 mentre, dal 1 ° settembre 2009, andrà applicato il criterio della rendita catastale”.

4.- I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati. Preliminarmente si osserva che la parte formula,  ubricandoli quali “sintesi del motivo”, dei veri e propri quesiti di diritto, adempimento non più necessario nel ricorso per cassazione a seguito della abrogazione dell’art 366 bis c.p.c. operato con legge 69/2009. Detti quesiti, tuttavia, sono utili a esprimere una sintesi dei motivi ed anche a delimitare  il thema decidendum poiché è non è consentito con la memoria ex art 378 c.p.c. inserire motivi nuovi, illustrare nuove questioni  né specificare, integrare od ampliare il contenuto  dei motivi originari di ricorso (Cass. civ. Sez. Un., 03/11/2020, n. 24379; Cass. civ. Sez. II, 02/09/2016, n. 17510 ass. civ. Sez. II Sent., 12/10/2017, n. 24007).

Nel merito, i motivi sono  infondati,   poiché  l’art  5 del D.lgs.  504/1992 e l’art 1 comma 336 del D.lgs. 311/2004 sono due norme che rispondono a finalità diverse e sono tra di loro indipendenti sicché non può ritenersi che l’entrata in vigore dell’art 1 della legge 311/2004 abbia abrogato tacitamente l’art. 5 del D.lgs. 594 1992.

4.- Ai sensi del D.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), per fabbricato rilevante ai fini ICI  deve intendersi  l’unità immobiliare  iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del R.D.L. n.  652  del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673); pertanto, l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio  2019, n. 11646;  Cass., 21  marzo 2019, n. 7968; Cass.,  30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924). Si è, altresì, precisato, in una siffatta prospettiva, che, ai fini dell’ICI, il “presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile  di  costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito”, così considerandosi tassabili tutti gli impianti rispondenti alla nozione di fabbricato (Cass., 17 aprile 2019, n. 10674; Cass., 12 aprile 2019, n. 10287; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 13  febbraio  2019, n. 4221;  Cass.,  22  agosto  2017,  n.  20259;  Cass.,  20  aprile  2017, n. 10031).

L’ art. 5 del D.lgs. 540/1992 stabilisce, poi, che per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D ( quale è il  parco eolico), non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare secondo i criteri stabiliti nel D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, penultimo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, laddove il valore è costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili applicando per ciascun anno di formazione dello stesso i coefficienti ivi indicati.

Sul punto peraltro, il contrasto emerso in seno alla giurisprudenza di legittimità  in ordine alla natura  dichiarativa  o costitutiva  della rendita con riferimento ad immobili classificabili in categoria D, ai fini della determinazione della base imponibile dell’ICI, è stato  risolto  dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il seguente principio di diritto: In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto il  D.Lgs.  30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta,  il proprietario,  pur applicando  ormai  in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una  situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge“. (Cfr. Cass. sez. un. 9 febbraio 2011, n. 3160 e Cass. civ. sez. un. 15  febbraio  2011, n. 3666,  Cass. n.  11472 del 11/05/2018;  Cass. n. 16793 del 07/07/2017)

6.- Deve quindi osservarsi che la  legge n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, riconosce ai Comuni, in presenza di im mobil i privati non accatastati, di richiedere ai titolari di diritti reali su tali immobili la presentazione  di atti di aggiornamento, ferma  restando  la competenza in merito dell’Agenzia del territorio, con la chiara finalità di far emergere gli immobili non accatastati. Tuttavia, detta legge non ha inciso sui poteri riconosciuti ai Comuni dal citato D.lgs. 504/1992, (V. sul punto Cass. civ. 15/03/2022 n. 8357), posto che come sopra si è detto l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, e ciò a prescindere dalla indagine sulle ragioni di inerzia del contribuente ovvero del Comune

nell’attivare la procedura di cui all’art 1 comma 336 cit. Peraltro la norma invocata dal contribuente non prevede alcuna sanzione   o conseguenza a carico del Comune per il caso in cui l’ente ritardi a  segnalare all’Agenzia del territorio l’immobile non catastato, mentre di contro la giurisprudenza dalle sezioni unite, sopra citata, successiva alla emanazione della legge 311/2004, conferma la legittimità della applicazione  del criterio di cui all’art. 5 comma 3 cit. fino all’anno nel quale gli immobili sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita.

7.- Con il terzo motivo si lamenta i sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 14 del D.lgs. 546/1992 per omessa integrazione del contraddittorio, nonostante I’ esistenza di un litisconsorzio necessario.

La ricorrente deduce che dal momento che il Comune era obbligato a seguire la procedura di cui all’art. 1 comma 336 della legge 311/2004 il processo doveva necessariamente svolgersi anche con la partecipazione nel contraddittorio con l’Agenzia del territorio. Conclude con la seguente sintesi del motivo: “dica la Corte se a seguito dell’introduzione dell’obbligatoria procedura di cui all’articolo uno comma 336 della legge 311/2004 nel giudizio per la determinazione della corretta  base imponibile si viene a creare una situazione di  litisconsorzio necessario tra ente locale e Agenzia del territorio (ora entrate)”.

Il motivo è infondato

Premesso quanto sopra si è detto in ordine alla diversa natura e finalità dell’art 1 comma 336  della legge 311/2004  rispetto all’art 5 comma  3 del D.lgs. 504/1992  si deve osservare che non è qui in contestazione la rendita, quanto il metodo di determinazione della base imponibile e la circostanza che il Comune abbia preteso una maggiore ICI mentre invece avrebbe dovuto – nella prospettazione difensiva della ricorrente­ attivare il procedimento per l’attribuzione di rendita.

Peraltro, pur se tra la impugnazione dell’atto  di  attribuzione  della rendita catastale e l’atto impositivo basato sulla rendita  vi è un rapporto di pregiudizialità, neppure in quel caso sussiste litisconsorzio necessario fra l’Agenzia del territorio ed il Comune, che è privo di autonoma legittimazione nella causa relativa alla rendita catastale (Cass. n. 3226 del 10/02/2021). A maggior ragione nel caso di specie  non sussiste alcun interesse dell’Agenzia del territorio a partecipare al giudizio, meno che mai quale contraddittore necessario, posto che l’imposta pretesa dal Comune non è stata determinata sulla base della rendita ma in applicazione del comma 3 dell’art 5 del D.lgs. 504/1992

8.- Con il motivo di ricorso incidentale sia lamenta, ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del D.lgs. 546/1992 e dell’art 6 del D.lgs. 472 del 1997. Il Comune deduce che erroneamente la Commissione regionale a escluso le sanzioni pur ritenendo del tutto legittima e fondata la pretesa impositiva.

Il motivo è fondato.

La norma applicabile al caso di specie è chiara e non vi è luogo e incertezza interpretativa di nessun genere, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, il quale peraltro non specifica neppure i parametri in relazione ai quali avrebbe individuato i presupposti per escludere le sanzioni, se non in una -genericamente e apoditticamente affermata- complessità normativa della vicenda.

Il costante orientamento di questa Corte è nel senso che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle Commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione  delle norme, cui la violazione  si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il  cui coordinamento  appaia  concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il  giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto. (Cass. 4031/2012, Cass. n. 4394 del 24/02/2014 Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 3108 del 01/02/2019) 

Ne consegue il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito rigettando l’originario ricorso della contribuente anche in punto di applicazione delle sanzioni. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, compensando le spese del doppio grado di merito.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente anche in ordine all’applicazione delle sanzioni.

Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00  oltre  euro 200,00 per spese non documentabili e accessori di legge. Compensa le spese del doppio grado di merito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il  ricorso principale, a norma  del comma  1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.