Corte di Cassazione ordinanza n. 11467 depositata l’ 8 aprile 2022
imposta di successione – crediti – quote societarie
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1027/4/18, depositata in data 8 giugno 2018, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza 45/1/17 della Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria, con condanna al pagamento delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori imposte di successione, oltre sanzioni ed interessi, che conseguiva la rettifica del valore delle quote di partecipazione azionaria del de cuius e la mancata indicazione nella dichiarazione di successione di crediti per finanziamento soci;
3. la CTP aveva accolto il ricorso, rilevando che le società cui si riferivano le partecipazioni ed i finanziamenti risultavano una ammessa al concordato preventivo e l’altra dichiarata fallita;
4. la CTR aveva riformato la decisione di primo grado, ed accolto l’appello dell’Ufficio, sul presupposto che il valore delle quote fosse stato correttamente determinato, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 346 del 1990, sulla base dell’ultimo bilancio approvato, senza che assumessero valore le vicende successive che avevano investito le società, e che l’esclusione dalla base imponibile potesse riguardare, ai sensi dell’art. 12 dello steso lgs., solo i crediti contestati giudizialmente al momento dell’apertura della successione;
5. avverso la sentenza di appello, la contribuente proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 10 ottobre 2018, affidato a quattro motivi, e depositava memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate si costituiva tardivamente i soli fini della partecipazione all’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all’art. 360, 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver escluso che potesse essere offerta, anche dal contribuente, la prova della inattendibilità dei bilanci e quindi di un valore alternativo delle quote di partecipazione societaria cadute in successione;
2. con il secondo motivo deduceva omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 5 c.p.c., per non aver tenuto conto della perizia di stima esibita in giudizio, che attestava l’inattendibilità delle scritture contabili e del bilancio, relativi alla società successivamente ammessa a concordato preventivo;
3. con il terzo motivo denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all’art. 360, n. 3, p.c., per non aver rilevato che l’Agenzia avesse utilizzato per determinare la base imponibile dell’imposta di successione documenti diversi da quelli indicati dalla norma, ed in particolare la situazione contabile della società al momento della dichiarazione di successione, in luogo dell’ultimo bilancio approvato prima del decesso del de cuius;
4. con il quarto motivo deduceva omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., e la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 18 del d.lgs. 346 del 1990, per non aver tenuto conto della inesigibilità dei crediti da finanziamento dei soci in quanto postergati rispetto a società insolventi.
5. Il primo e secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, meritano
Ai fini della determinazione del valore di una partecipazione societaria (sotto forma di azioni o di quote), l’art. 34 del d.lgs. n. 346 del 1990 richiama l’art. 16, lett. b), aggiungendo (al comma 4) la previsione che “l’ufficio può tenere conto anche degli accertamenti relativi ad altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto”.
L’art. 16, comma 1, lett. b) stabilisce che la base imponibile relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali compresi nell’attivo ereditario è determinata assumendo “per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotati in borsa, ne’ negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli artt. da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lett. h) e i) dell’art. 12”.
Questa Corte ha ripetutamente chiarito che la norma impone di verificare se il patrimonio netto della società risulti dalla redazione dell’ultimo bilancio approvato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, poiché, in coerenza con l’indirizzo legislativo teso a uniformare, almeno tendenzialmente, i dati fiscalmente rilevanti con quelli contabili della società, e a trarre i primi dai secondi, il valore del patrimonio netto risultante dal bilancio approvato è vincolante per la parte e per l’amministrazione finanziaria, cui è preclusa un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti della società al netto delle passività, potendo essa procedere solo all’eventuale attualizzazione delle poste attive e passive ritenute infedelmente rappresentative del patrimonio netto attuale dell’ente, a causa di possibili mutamenti intervenuti tra la data di approvazione del bilancio e la morte del socio (Vedi Cass. n. 2925 e n. 25007 del 2015; n. 4535 e n. 5514 del 2009; n. 12422 del 2007).
Si è in particolare già affermato che “In tema d’imposta sulle donazioni o successioni, il valore di una partecipazione societaria va calcolato, ai sensi dell’art. 16, lett. b), del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, in base al patrimonio netto della società risultante dalla redazione dell’ultimo bilancio approvato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, se esistente, il cui valore, attesa l’uniformità, almeno tendenziale, dei dati fiscali con quelli contabili, è vincolante anche per l’Amministrazione finanziaria, a cui è preclusa un’autonoma valutazione, salva l’attualizzazione delle poste attive e passive a causa di possibili mutamenti, intervenuti tra la data di approvazione del bilancio e la morte del socio, e salva la contestazione e la prova della non corrispondenza alla realtà del dato contabile” (Sez. 5, n. 2925 del 13/02/2015, Rv. 634365-01).
6. Premesso che, come già affermato negli arresti citati, resta salvo ovviamente il potere dell’ufficio finanziario di contestare le emergenze così rappresentate, provando la non corrispondenza alla realtà del dato contabile, e di tener conto di mutamenti successivi, ritiene il Collegio che, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 , analoga possibilità non possa essere negata al contribuente, nei cui confronti il valore risultante dal bilanci è parimenti vincolante.
Tale interpretazione della norma, costituzionalmente orientata, rende inesistente il contrasto con i principi già affermati da questa Corte, in ordine alla possibilità dell’Amministrazione di fornire prova contraria al criterio contabile, paventato nelle sue conclusioni dal Pubblico Ministero sollecitando su tale aspetto una rimessione della questione alle Sezioni Unite.
6.1 Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “In tema d’imposta sulle donazioni e successioni, ai fini della determinazione della base imponibile relativamente ad azioni o quote di società comprese nell’attivo ereditario, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 346 del 1990, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 , deve essere riconosciuta anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, la possibilità sia di offrire prova contraria rispetto al criterio legale del dato contabile risultante dal bilancio approvato, sia di provare la sussistenza di eventi sopravvenuti all’approvazione ed antecedenti al decesso, che abbiano mutato quei valori.“
6.2 Nella specie la CTR non ha fatto corretta applicazione di questi principi laddove ha escluso in assoluto che fosse possibile discostarsi dal dato normativo, ritenendo che il valore determinato secondo il criterio ivi indicato non fosse suscettibile di prova contraria sia da parte dell’amministrazione che da parte del contribuente, ed ha omesso quindi di esaminare le prove contrarie offerte dalla
7. Da rigettare invece il terzo motivo, dal momento che il dettato normativo consente certamente all’Amministrazione di fare riferimento a mutamenti successivi all’approvazione del bilancio, purché antecedenti all’apertura della successione, sicché non possono essere utilizzate risultanze tratte da documenti diversi dall’ultimo bilancio ed antecedenti alla sua approvazione, ma possono esserlo quelle desunte da documenti diversi ma
8. Anche il quarto motivo va rigettato.
8.1 In base all’articolo 12 del d.lgs. n. 346 del 1990 i crediti meramente inesigibili non vengono senz’altro esclusi dall’attivo ereditario, in quanto la norma prende in considerazione unicamente i crediti contestati giudizialmente alla data di apertura della successione (che vengono esclusi fino a quando la loro sussistenza non sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o con transazione: cl)), ovvero “i crediti ceduti allo Stato entro la data di presentazione della dichiarazione della successione” (lett. f)).
Va infatti considerato che l’articolo 12 del d.lgs. n. 346 del 1990 si pone quale evoluzione normativa di maggior rigore rispetto al previgente art. 11 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, ed è caratterizzato dalla totale oggettivazione del regime del credito inesigibile, il quale potrà essere scorporato dall’attivo ereditario non già se semplicemente ‘valutato’ come inesigibile o di dubbia esigibilità al momento di apertura della successione (requisiti non più menzionati dalla norma di riferimento), ma unicamente se estromesso dalla sfera patrimoniale del contribuente, secondo i criteri indicati dalla norma, tra cui non rientra la mera postergazione del credito ai sensi dell’art. 2467 c.c.; tale credito non può pertanto essere espunto dall’attivo ereditario soltanto in ragione del suo incerto soddisfacimento e quindi della sua dubbia esigibilità.
Come già affermato da questa Corte “In tema d’imposta di successione, l’art. 12, comma 1, lett. d) del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, ai fini dell’esclusione di un credito del “de cuius” dall’attivo ereditario fa riferimento ai “crediti contestati giudizialmente alla data di apertura della successione“, non potendo più affermarsi, come invece consentiva il previgente art. 11, comma 1, della legge 26 ottobre 1972, n. 677, che non concorressero a formare l’imponibile anche i crediti di dubbia esigibilità; non è, pertanto, deducibile il credito ammesso al passivo fallimentare, per il quale non sia in corso una lite distributiva ex art. 110, ultimo comma, legge fall., trattandosi di un credito giudizialmente accertato nell”‘an” e nel “quantum debeatur” e solo di incerta riscossione. (Vedi Cass. n. 12937 del 2013, richiamata da Cass. n. 6131 del 2016).
Né il carattere di esigibilità del credito è preso in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile, posto che l’art.18 del d.lgs. n. 346 del 1990 detta unicamente i criteri per la determinazione dell’ammontare dei crediti fruttiferi, infruttiferi o in natura, indipendentemente dalle prospettive della loro concreta riscossione.
9. Per le suesposte considerazioni, ritenuti fondati il primo e secondo motivo, rigettati il terzo e il quarto, il ricorso va accolto nei limiti dei motivi accolti e la sentenza impugnata cassata con rinvio, per un nuovo esame alla CTR del Piemonte in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il primo e secondo motivo, rigetta il terzo e quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame, nei limiti dei motivi accolti, ed anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione.
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