Corte di Cassazione ordinanza n. 11476 depositata l’ 8 aprile 2022
perizia stragiudiziale valore di indizio – ripartizione dell’onere della prova – obbligo di motivazione
RITENUTO CHE:
1. con sentenza 3888/45/16, depositata in data 2 maggio 2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza n. 23449/28/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale a seguito della rettifica del valore di un immobile ad uso commerciale sito nel Comune di Napoli, oggetto di compravendita, elevato da€ 000,00 ad€ 201.600,00;
3. la CTP aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente, ritenendo l’avviso adeguatamente motivato e corretto il valore attribuito dall’Ufficio, salvo che per la errata determinazione delle superfici;
4. la CTR aveva rigettato l’appello, rilevando che l’Agenzia aveva fornito adeguata prova per presunzioni del valore rettificato, che, al contrario, alla perizia di stima prodotta dalla contribuente poteva attribuirsi solo valore indiziario, che non sussisteva il denunciato difetto di motivazione, in quanto l’Ufficio aveva posto a fondamento della rettifica non solo i valori OMI ma anche il raffronto con altri listini ufficiali che confermavano la correttezza della valutazione dell’immobile;
5. avverso la sentenza di appello la contribuente proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 2 dicembre 2016, affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate si costituiva con
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo di ricorso, la contribuente censurava la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., dell’art. 51, commi 2 e 3, del d.P.R. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., per aver riconosciuto fede privilegiata ai valori OMI utilizzati dall’Agenzia e non adeguatamente valutato la perizia giurata prodotta dalla parte, cui andava riconosciuto valore di prova documentale;
2. con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 51, commi 2 e 3, e 52, commi 2 e 2 bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, dell’art. 7 della I. n. 212 del 2000, dell’art. 3 della I. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., per non aver rilevato la nullità dell’avviso per l’omessa allegazione dei valori OMI e dell’Osservatorio Immobiliare posti a base della rettifica;
3. con il terzo motivo eccepiva la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 51 del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che individuava nello stato di degrado dell’immobile attestato dalla perizia allegata;
4. con il quarto motivo denunciava la violazione e falsa applicazione degli 51, commi 2 e 3, e 52, commi 2 e 2 bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che individuava nella erronea individuazione della zona di riferimento ai fini della valutazione.
OSSERVA CHE:
1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
Come già affermato da questa Corte ” Nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale. (Vedi Cass. n. 3104 del 2021; n. 16650 del 2011).
Rileva, inoltre, sia che “La perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto. (Vedi Cass. n. 33503 del 2018), sia che “In tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione non può essere fondato esclusivamente sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore del bene risultante delle quotazioni OMI pubblicate sul sito web dell’Agenzia delle Entrate, atteso che queste non costituiscono fonte di prova del valore venale in comune commercio, il quale può variare in funzione di molteplici parametri (quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico), limitandosi a fornire indicazioni di massima e dovendo, invece, l’accertamento essere fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti. (Vedi Cass. n. 21813 del 2018, nonché Cass. n. 18651 del 2016 e n. 11439 del 2018).
Si ricorda infine che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma (vedi Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 26769 del 2018); la violazione della regola processuale viene infatti in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova .
1.1 Tanto premesso, nella specie la CTR, con adeguata motivazione e senza alcuna alterazione del riparto degli oneri probatori, ha operato una valutazione degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione a fondamento della rettifica di valore e, con un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, ha indicato le ragioni per cui non ha ritenuto attendibili le contestazioni mosse dalla contribuente a mezzo della perizia di stima.
1.2 In effetti la ricorrente non si duole della corretta applicazione della regola dell’onere probatorio, ma del fatto che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe adeguatamente assolto l’onere probatorio a suo carico ponendo a fondamento della rettifica valori attribuiti ad immobili con caratteristiche similari riportati da listini ufficiali di operatori pubblici e privati; ma sul punto è sufficiente rilevare che il riferimento ad immobili similari costituisce proprio il criterio che secondo l’art. 51 del d.P.R. n. 131/1986 deve essere utilizzato per verificare e provare la corretta valutazione dei beni operata in sede di
2. Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui all’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2- bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento (tra le tante, Sez. 5, Ordinanza n. 22148 del 22/09/2017 e Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21066 del 11/09/2017).
2.1 Ebbene, per quanto emerge dalla parte trascritta in ricorso, l’avviso di accertamento impugnato risultava compiutamente motivato in quanto non era fondato esclusivamente sul riferimento ai valori OMI ma anche alle quotazioni di operatori privati desumibili dai listini ufficiali della Borsa Immobiliare, in ogni caso specificatamente indicati nei valori minimi e massimi; era inoltre corredato di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate, idonei ad indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene, quali le caratteristiche della zona di ubicazione e la destinazione dell’immobile.
3. Parimenti infondati il terzo e quarto motivo, con cui si denunzia l’omesso esame di due fatti ritenuti decisivi, quali le condizioni di degrado dell’immobile e l’errore di zona.
Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
Si ricorda poi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
3.1 Nel caso in esame i due fatti di cui la parte lamenta l’omessa considerazione costituivano in realtà le risultanze della perizia di stima prodotta dalla parte che, a differenza di quanto dedotto nel motivo di ricorso, la CTR ha preso in considerazione, seppure per poi giungere ad un giudizio di inattendibilità, e quindi escludere che i fatti in essa riportati fossero idonei ad inficiare la rettifica.
Non sussistendo quindi alcun omesso esame di un fatto decisivo, ma solo una valutazione motivata di inattendibilità della perizia, entrambi i motivi non possono trovare accoglimento.
4. Il ricorso va pertanto rigettato.
4.1 Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da
4.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art,1, comma 17 della I. n. 228 del 2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del P.R. n. 115 del 2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di € 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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