CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 11619 depositata il 4 maggio 2023
Tributi – Restituzione di dazi antidumping – Status di società operante in un’economia di mercato (SEM) – Metodo del campionamento per il calcolo del margine di dumping – Efficacia retroattiva della disposizione abrogatrice dei dazi – Rigetto
Rilevato che
1. La società contribuente P.I. S.r.l., la quale svolge l’attività di commercio e distribuzione all’ingrosso di calzature e articoli sportivi e che appartiene a un gruppo transnazionale facente capo a P., ha impugnato alcuni dinieghi di rimborso aventi ad oggetto la restituzione di dazi antidumping, versati a fronte dell’importazione di calzature con tomaie in cuoio di origine cinese e vietnamita, in relazione a 218 bollette di importazione definitiva relative agli anni 2009, 2010, 2011. I dazi erano stati versati sulla base del Regolamento (CE) del 5 ottobre 2006, n. 1472 e successivo Regolamento (UE) di attuazione n. 1294/2009, successivamente dichiarato illegittimo con sentenza della Corte di Giustizia del 4 febbraio 2016, belle cause riunite C659/13 e C34/14. I dinieghi venivano motivati, quanto a 7 bollette, con il superamento del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 236 Reg. (CE) n. 2913/92 e, quanto alle restanti dichiarazioni di importazioni, nel merito.
2. In particolare, l’Ufficio riteneva che le importazioni avessero ad oggetto calzature esportate da fornitori indicati nei Regolamenti di esecuzione (UE) nn. 1395/2016 e 1647/2016, ai quali aveva fatto seguito il Reg. (UE) n. 2232/2017 (impugnato questo davanti al Tribunale UE), Regolamenti che avevano reintrodotto retroattivamente i dazi anti-dumping in relazione ai produttori asiatici indicati in allegato.
3. La CTP di Novara ha rigettato il ricorso. La CTR del Piemonte, con sentenza in data 23 luglio 2020, ha rigettato l’appello della società contribuente, rilevando che i provvedimenti di diniego erano stati emessi sulla base di Regolamenti in vigore.
4. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a due motivi, preceduti da una istanza di sospensione del giudizio, cui resiste con controricorso l’Ufficio.
Considerato che
1. In via preliminare parte ricorrente chiede sospendersi il giudizio di legittimità, in attesa della pronuncia del Tribunale UE, davanti al quale è stato impugnato il Regolamento (UE) n. 2017/2232.
2. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, illegittimità del dazio antidumping, con conseguente diritto al rimborso per violazione del Panel control WTO del 28 ottobre 2011, della sentenza della CGUE del 4 febbraio 2016, C-24/14, nonché dell’art. 221 del Codice Doganale Comunitario. Deduce parte ricorrente che la declaratoria di illegittimità dell’originario Regolamento (Ce) 1472/2006 dovrebbe comportare la caducazione di tutte le misure antidumping, indipendentemente da successive misure correttive, come quelle indicate nel Regolamento (UE) n. 2017/2232, legate alla provenienza dei prodotti da alcuni fornitori di area asiatica indicati nel nuovo Regolamento. Osserva, inoltre, parte ricorrente che i Regolamenti che istituiscono dazi antidumping non possano avere efficacia retroattiva e che, in ogni caso, non può considerarsi prescritta l’azione di rimborso, se non facendola decorrere dalla novellata istituzione dei dazi per effetto del Reg. (UE) n. 2017/2232 e non dal precedente Regolamento dichiarato illegittimo dalla Corte di Giustizia.
3. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o errata applicazione dell’art. 263 TFUE, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto di attendere il giudizio del Tribunale UE.
4. Va rilevato preliminarmente come sia l’istanza di sospensione articolata con il primo profilo, sia il secondo motivo di gravame sono superati dall’intervenuta decisione del Tribunale UE (sentenza del 9 giugno 2021, confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’8 settembre 2022, C-507/21, menzionata dalla stessa ricorrente in memoria), i quali vanno dichiarati inammissibili per difetto di interesse.
5. Va pertanto esaminato il primo motivo, al quale occorre premettere la ricostruzione della vicenda normativa che ha interessato le importazioni in oggetto. La Corte di Giustizia, nell’ambito di due controversie che coinvolgevano alcuni produttori di calzature cinesi e hong-konghesi – Brosmann Footwear (HK), Seasonable Footwear Ltd, Lung Pao Footwear Ltd, Risen Footwear (HK) Co. Ltd, Zhejiang Aokang S hoes e Wenzhou Taima Shoes – ha annullato i regolamenti che imponevano i dazi dumping relativi ai suddetti fornitori. L’annullamento è avvenuto per avere i regolamenti violato l’obbligo di esaminare le domande dei produttori relative allo status di società operante in un’economia di mercato (SEM), nel caso in cui la Commissione avesse deciso di ricorrere al metodo del campionamento per il calcolo del margine di dumping e nel caso in cui i produttori non avessero fatto parte del campione selezionato (CGUE, sentenze del 2 febbraio 2012, C249/10 P e del 15 novembre 2012, C-247/10 P).
6. Successivamente, la Corte di Giustizia, adita nell’ambito di domande di rimborso di analoghi dazi antidumping proposte anche dalla società controllante dell’odierna ricorrente, ha dichiarato l’invalidità del Regolamento (CE) n. 1472/2006 e del Regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009, nella parte in cui Consiglio e Commissione UE non si erano pronunciati sulle domande di concessione dello status di società operanti in un’economia di mercato presentate dai produttori-esportatori asiatici, nonché in relazione al nesso di causalità con il pregiudizio che derivava all’industria UE dal volume delle importazioni oggetto di dumping (CGUE, 4 febbraio 2016, C-659/13 e 34/14). Si osserva, peraltro, che la suddetta sentenza è stata emessa in procinto della scadenza del termine di quindici anni dall’adesione della RPC al WTO (2001), come indicato alla Sezione 15, lett. d) del Protocollo di adesione della PRC al WTO, che concerne il riconoscimento alla RPC dello status di economia di mercato (SEM) ai fini della metodologia di calcolo del margine di dumping.
7. La Commissione UE ha, quindi, ripreso il procedimento antidumping dal punto in cui la Corte di Giustizia lo aveva annullato, esaminando se per le esportazioni per cui è causa prevalessero le condizioni di mercato. All’esito, sono stati emessi nuovi regolamenti di esecuzione che hanno istituito nuovamente dazi definitivi, con efficacia retroattiva (dal 2006 in avanti), senza alcuna soluzione di continuità, sulle importazioni di calzature con tomaie in cuoio, in un caso – Reg. (UE) n. 1395/2016 – di provenienza cinese da determinati produttori indicati in allegato al suddetto Regolamento, in un altro – Reg. (UE) n. 1647/2016 – di provenienza vietnamita da altri produttori e, ulteriormente – Reg. (UE) n. 2232/2017 – di provenienza cinese e vietnamita di ulteriori produttori indicati in allegato al Regolamento.
8. La Corte di Giustizia si è, infine, pronunciata sulla legittimità dei suddetti regolamenti, ritenendo che la Commissione possa sia istituire, sia ripristinare dazi antidumping annullati per dichiarazioni di invalidità sanabili (“after annulment or declaration of invalidity on grounds which may be remedied”: CGUE, 8 settembre 2022, Puma SE, C-507/21 P, punto 58), trovando detti regolamenti fondamento normativo negli artt. 9 e 14 Reg. (UE) n. 2016/1036 (CGUE, C-507/21 P, cit., punto 59). Per l’effetto, la Corte di Giustizia ha ritenuto – quanto alle domande di rimborso di dazi originariamente annullati e successivamente ripristinati – che la reimposizione dei dazi osta al rimborso dei dazi pagati nel vigore dei precedenti regolamenti annullati per importazioni effettuate sino al 31 marzo 2011 (CGUE, C-507/21 P, cit., punto 68).
9. Alla luce di tali considerazioni, il motivo è inammissibile nella parte in cui rileva che il rigetto sia stato formulato sulla base di eventi successivi a quelli che avevano dato luogo al pagamento dei dazi – argomento sul quale parte ricorrente insiste diffusamente in memoria richiamandosi all’annullamento del precedente Regolamento (CE) N. 1472/2006 (pagg. 3 – 5 mem.) – perché la motivazione è fondata proprio sull’evoluzione della normativa dell’Unione, che con il Reg. (UE) n. 2232/2017 ha inteso stabilizzare, in relazione alle importazioni dagli operatori indicati in allegato i dazi originariamente istituiti con il Reg. (CE) n. 1472/2006.
10. Il motivo è, in ogni caso, infondato, in quanto il rigetto dell’istanza di rimborso dei dazi è stato motivato dall’emissione di successivi regolamenti di esecuzione, in relazione ai quali la giurisprudenza dell’Unione ha ritenuto che l’emissione dei suddetti regolamenti – in particolare il Reg. (UE) n. 2232/2017 – osta al rimborso dei dazi originariamente corrisposti sulla base di Regolamenti invalidati per vizi che sono stati sanati dai successivi Regolamenti di esecuzione.
11. Ne’ appare corretto richiamarsi alle dichiarazioni di illegittimità pronunciate dal WTO (in riferimento alla relazione del organo di conciliazione del WTO, DSB: Dispute Settlement Body), posto che le norme del WTO e i relativi accordi non possono inficiare la legittimità dei Regolamenti UE (CGUE C-659/13 e C-34/14, cit., punto 92), così come non ci si può conformare di per sé alle decisioni degli Organi di risoluzione delle controversie interni al WTO, ancorché il termine assegnato all’Unione per conformarsi ad esse sia elasso (CGUE, C-659/13, cit., punti 95 – 96).
12. Parimenti, deve ritenersi manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità (in relazione alla cui eccezione non è stata, peraltro, indicata, quale sarebbe la norma primaria che impatterebbe negativamente rispetto ai precetti costituzionali), non venendo in considerazione in questo caso l’imposizione retroattiva di una obbligazione tributaria, bensì un ostacolo al rimborso di un’imposta riconosciuta legittima da una disposizione Eurounitaria.
13. Questa soluzione è conforme al diritto dell’Unione, ove si è osservato che il regolamento con cui alcuni dazi già in vigore e annullati per un vizio procedurale vengono nuovamente istituiti in modo retroattivo, deve necessariamente precedere gli accertamenti “con cui le autorità nazionali competenti calcolano l’importo del dazio da riscuotere in applicazione del regolamento di cui trattasi e comunicano tale importo” (CGUE C-507/21 P, punto 83). Solo in questo caso si verificherebbe il caso di nuove imposizioni, per le quali è richiesta la preventiva emanazione di una norma primaria impositiva (nuovo regolamento), ma non anche laddove si tratti di valutare istanze di rimborso di dazi originariamente richiesti da regolamenti annullati, successivamente ripristinati con efficacia retroattiva per le medesime importazioni per cui è causa. D’altro canto – come osserva la Corte di Giustizia – il diniego di rimborso non appare contrario ai principi di effettività ed equivalenza, posto che “anche se il regolamento di esecuzione 2016/2023 non fosse stato adottato, le ricorrenti si sarebbero trovate in una situazione praticamente identica a quella in cui si trovano oggi. In tal caso, le ricorrenti avrebbero probabilmente ricevuto il rimborso dei dazi pagati ai sensi del regolamento n. 1472 e del regolamento di esecuzione n. 1294/2009, ma sarebbero state nuovamente chiamate a pagare gli stessi importi ai sensi dei regolamenti di esecuzione impugnati” (CGUE, ult. cit., punto 79).
14. Questa interpretazione è, inoltre, conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale afferma che l’eventuale abrogazione di dazi antidumping non ha efficacia retroattiva, salvo che la disposizione abrogatrice preveda espressamente che la stessa abbia effetto anche per il periodo precedente l’abrogazione, solo in tal caso consentendosi il rimborso dei dazi riscossi prima dell’emissione della disposizione abrogatrice (Cass., sez. V, 10 novembre 2020, n. 25096). Ciò in quanto l’abrogazione delle misure antidumping è frutto di mera opportunità degli organi dell’Unione e non può avere effetto retroattivo (Cass., sez. V, 7 novembre 2019, n. 28668); né i dazi hanno natura sanzionatoria, per cui a essi non è applicabile il principio di retroattività della disposizione successiva più favorevole (Cass., sez. V, 14 novembre 2019, n. 29649; Cass., sez. V, 4 novembre 2009, n. 23381).
15. Se, pertanto, l’abrogazione di dazi non può consentire il rimborso di quelli corrisposti in precedenza, salvo che la disposizione successivamente introdotta ne preveda espressamente la rimborsabilità, a maggior ragione il rimborso non è consentito ove la disposizione successiva ne preveda espressamente la reintroduzione. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
16. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
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