Corte di Cassazione ordinanza n. 11722 depositata il 12 aprile 2022
contenzioso tributario – accertamento bancario
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. TKQ017A02239, relativo all’anno di imposta 2006, l’Agenzia delle entrate, sul presupposto di gravi incongruenze tra i redditi dichiarati e quelli desumibili dalle operazioni di versamento e prelevamento riscontrate sui conti bancari, appurava maggiori redditi in capo a R.P., socio della Società Industriale Lavorazioni S.P. s.r.l., recuperando i più elevati importi dovuti a titolo di Irpef e Iva.
La CTP di Frosinone accoglieva solo in parte il ricorso del contribuente.
La CTR del Lazio ne accoglieva parzialmente il successivo appello, riducendo il maggior reddito da attività professionale e annullando l’avviso nella misura di euro 45.049,19.
Il ricorso per cassazione del contribuente è affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene denunciata la violazione dell’a rt . 97 Cost., dell’art. 12 l. n. 212 del 2000 e dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR omesso di considerare il mancato rispetto, nella specie, del contraddittorio preventivo con il contribuente.
Il motivo è infondato.
In tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (Cass. n. 34209 del 2019; Cass. n. 25770 del 2014).
Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere la CTR trascurato di considerare che nel caso di specie il ricorrente ha fornito “tutti i chiarimenti necessari in relazione sia ai versamenti che ai prelevamenti rilevati dall’Agenzia”; che risulta totalmente omessa la “valutazione dei fatti”, essendosi l’organo giudicante rimesso a scritture contabili inattendibili e avendo trascurato l’emissione di “sentenza di assoluzione dell’Amministratore della Silp Sud Sri”; che il contribuente ha effettuato anticipazioni “certificate dagli allegati contratti di conferimento d’incarico”.
Il motivo è inammissibile.
Nel caso di specie la CTR ha esposto un percorso motivazionale che ben lascia intendere la ratio decidendi, senza scendere al di sotto della soglia del c.d. “minimo costituzionale” inteso da questa Corte e chiarito in plurime occasioni: “In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cast. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.” (Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
Il motivo, nella specie, si compendia in una critica del tessuto motivazionale della sentenza d’appello, tendente ad ottenere, in realtà, una diversa ricostruzione di fatto; mira, dunque, ad una rivisitazione del materiale istruttorio vagliato dal giudice di merito e inerente in via esclusiva al suo sindacato, diventando il veicolo utile a valorizzare, secondo una chiave “soggettivistica”, in un senso anziché in un altro, taluni elementi fattuali e documentali. In tal senso, la censura finisce per investire la plausibilità del ragionamento condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi ha operato ed evocando altri fatti e in tal guisa sconfinando dal recinto dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR automaticamente considerato come fonti di reddito i prelevamenti effettuati dal contribuente.
Il motivo è fondato perché il contribuente, non essendo un imprenditore, non subisce, con riguardo ai prelievi, le presunzioni ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Ha, infatti, puntualizzato questa Corte che “in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (Cass. n. 29572 del 2018; Cass. n. 1519 del 2017).
La sentenza d’appello va, pertanto, cassata in accoglimento del terzo motivo di ricorso, respinto il primo e dichiarato inammissibile il secondo.
La causa va rimessa alla CTR, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, respinto il primo motivo, dichiarato inammissibile il secondo, accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.