Corte di Cassazione ordinanza n. 11724 depositata il 12 aprile 2022

contenzioso tributario – nuove eccezioni

FATTI  DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate di Benevento, sulla base di un pvc del 25 luglio 2008, redatto dai propri funzionari, recuperava ricavi non contabilizzati e costi indeducibili, riprendendo importi Ires, Irap e Iva.

La CTP di Benevento accoglieva le doglianze proposte avverso  la ricostruzione dei ricavi  non contabilizzati effettuata  dall’erario,  mentre confermava  il recupero a tassazione dei costi indeducibili.

Il collegio di prime cure valorizzava una perizia contabile di parte, che riteneva giustificativa in misura sufficiente delle ragioni addotte dalla ricorrente.

La CTR della Campania, adita dall’Agenzia, ne accoglieva l’appello.

Il ricorso della contribuente è affidato a cinque motivi. Depositata memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 342, 324, 329, 346 e 112 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento, stante la dedotta, omessa impugnazione in appello del capo della sentenza di primo grado che ha rilevato la difformità tra i prezzi ed i ricavi rilevati all’atto della verifica (2008) e quelli applicati per l’anno verificato (2005) nonché dell’artificiosa ripartizione in dodicesimi del costo del venduto nel periodo d’imposta, con violazione del giudicato e del principio tantum devolutum quantum appellatum.

Con il secondo motivo di ricorso viene contestata la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.  3,  c.p.c.,  degli  artt.  342,  324, 329,  346 e 112 c.p.c., posto che “la violazione del giudicato per carenza di impugnativa dei singoli capi della sentenza costituisce essa stessa violazione delle norme indicate in epigrafe”.

I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria e vanno respinti.

Ambedue i mezzi di ricorso sono investiti precipuamente da una vistosa inammissibilità, posto che entrambi censurano la sentenza di primo grado, senza riprodurne il testo nemmeno per estratto. Pertanto, non riportando la pronuncia della CTP in parte, i motivi esibiscono un marcato deficit di autosufficienza, rimanendo imperscrutabili.

I due motivi non colgono nel segno e vanno disattesi anche sotto un convergente piano.

La prima doglianza si limita, infatti, a contestare la porzione della sentenza di prime cure in cui il giudice avrebbe ritenuto “‘non condivisibile’ l’operato dell”Ufficio per la difformità tra i prezzi e ricavi rilevati all’atto della verifica (2008) e quelli applicati per l’anno verificato (2005)”. La seconda censura, del pari, riprende il tema della dedotta violazione del giudicato.

In realtà il giudicato – che parte ricorrente adombra – è suscettibile di formarsi soltanto su un capo autonomo della  sentenza, con il  quale il  giudice esaurisce uno dei temi della causa rimessa alla sua cognizione. Costituisce capo autonomo della sentenza – come tale idoneo a formare oggetto di giudicato interno – solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità  e da  una correlata  autonomia,  tale da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum obiettivamente indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano – come nella specie – mera premessa logica della statuizione in concreto adottata  sul  rapporto  tributario  e  la fondatezza ed entità della pretesa fiscale.

Con il terzo motivo di ricorso  viene adombrata  la  violazione,  ai sensi  dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato  e del principio tantum devolutum  quantum appellatum, in relazione agli artt.  345 e 112 c.p.c.;  viene, altresì, adombrata  la  violazione  degli artt.  345 e 112 c.p.c. anche in relazione all’art. 115 c.p.c. e la violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992. Segnatamente, la sentenza gravata si sofferma sulla “inattendibilità delle scritture contabili della società ricorrente”, profilo non sollevato in primo grado.

Il motivo è inammissibile.

Ha chiarito questa  Corte che Il  divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la legge 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 cod. proc. civ., e successivamente esteso al giudizio tributario dall’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, di esame e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò i fatti, le allegazioni probatorie e le argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione(Cass. n. 18519 del 2005; Cass. n. 27562 del 2018; Cass. n. 12651 del 2018).

A detto, condivisibile orientamento nomofilattico va data piena conferma in questa sede.

Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla mancata rilevanza attribuita alla perizia di parte di primo grado e sulla ritenuta carenza di motivazione della sentenza di primo grado, posto che anche la perizia in parola può costituire fonte di convincimento del giudice, il quale “può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente”. Il motivo è inammissibile, in quanto chiaramente incentrato, sotto le mentite spoglie di un lamentato difetto motivazionale, a perorare una ricostruzione più favorevole, mettendo in risalto taluni elementi istruttori in luogo di altri. Sotto quest’aspetto   il   mezzo   di  ricorso  mira   ad  una  rivisitazione del materiale istruttorio vagliato dal giudice di merito e inerente in via esclusiva al suo sindacato.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’omessa valutazione della prova documentale costituita dalle distinte inventariali degli anni 2004 e 2005 della società ricorrente; la violazione dell’art. 2697 c.p.c. in relazione agli artt. 2727 e ss. e.e. e dell’art. 26 d.lgs. n. 546 del 1992. La Censura lamenta che la CTR avrebbe fondato “la  decisione impugnata su indimostrate asserzioni della controparte” anziché sulla perizia di parte.

Il motivo  è  inammissibile  in  quando  postula  un  nuovo  sindacato  di  merito, precluso in questa sede.

Il giudice di merito, d’altronde, selezione e valorizza  gli  elementi  di  prova secondo il proprio prudente apprezzamento ed è quello che, sia  pur succintamente, ha fatto, mettendo in risalto  i  dati di  bilancio  al  31  dicembre 2005 e il valore delle rimanenze finali di magazzino.

Come chiarito da questa Corte ancor di recente Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga in maniera concisa ma logicamente adeguata gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto(Cass. n. 29730 del 2020 L’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in   maniera   concisa,   gli   elementi   in  fatto  ed  in  diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito  (Cass. n.  520 del 2005). In  altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo, dunque, l’odierna censura del ricorrente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro 4 indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri: il che esula dai poteri del giudice di legittimità.

Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate  dalla soccombenza nella misura esplicitata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna  la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida  in  euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.