CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 11974 depositata il 5 maggio 2023
Tributi – Richieste di rimborso dell’IRPEF – Preteso eccesso dell’imposta versata – IRAP – Indice di capacità contributiva – Ipotesi di deducibilità ai fini fiscali – Istanza di rimborso – Accoglimento parziale
Rilevato che
1. Lo Studio legale C. associazione professionale ed i suoi associati avv. C.C. e M.M. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e supportato da successiva memoria con nota spese, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, di cui all’epigrafe, che ha dichiarato cessata la materia del contendere limitatamente alle annualità d’imposta 2004 e 2006 e, per le altre annualità (2002 e 2003), ha rigettato il loro appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova, che, dopo averli riuniti, aveva rigettato i ricorsi dei medesimi contribuenti contro i dinieghi opposti dall’Agenzia delle entrate alle loro richieste di rimborso dell’Irpef, fondate sul preteso eccesso dell’imposta versate, a causa dell’indeducibilità dalla stessa dell’Irap assolta nei medesimi periodi d’imposta. L’Amministrazione ha prodotto e notificato controricorso.
Considerato che
1. Preliminarmente, va dato atto che il ricorso non attinge la dichiarazione di cessata materia del contendere relativa agli anni d’imposta 2004 e 2006, che non sono quindi sub iudice in questa sede.
2. Con il primo motivo i contribuenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della Costituzione, artt. 3 e 53, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione della Cost., artt. 3 e 53 relativamente al D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, art. 1, comma 2, nella parte in cui dispone che l’Irap non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi, e del successivo d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 che ha consentito la solo parziale e forfettaria deduzione dell’Irap riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato.
Il motivo è infondato.
Invero il giudice delle leggi ha già riconosciuto la legittimità costituzionale dell’istituzione dell’Irap (Corte Cost., ordinanza n. 156 del 2001) ed ha altresì chiarito che la detraibilità di oneri, ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, va stabilita e commisurata dal legislatore ordinario, secondo valutazioni politico-economiche, non censurabili se non manifestamente irragionevoli, che possano conciliare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno importanti delle esigenze della vita individuale (Corte Cost., sentenza n. 574 del 1998).
Infatti la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in riferimento alla Costituzione, artt. 3, 23, 53 e 76, con la sentenza n. 156 del 2001, pur ritenendo la questione inammissibile, ha avuto cura di precisare: “E’ costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985)” e che “nel caso dell’IRAP il legislatore, nell’esercizio di tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate“; ha, quindi, specificato che “la scelta di siffatto indice….non può dirsi irragionevole, ne’ comunque lesiva del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l’IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione“.
Il giudice delle leggi ha, inoltre, evidenziato che ” irrilevante, ai fini della valutazione della conformità dell’imposta al principio di capacità contributiva, è d’altro canto la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto passivo dell’imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori)” perché “come si verifica per qualsiasi altro costo (anche di carattere fiscale) gravante sulla produzione, l’onere economico dell’imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi di mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.”
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 10145 del 20 giugno 2012, avevano già in precedenza precisato che ” l’IRAP è un’imposta a carattere reale, non deducibile dalle imposte sui redditi (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 1 salvo che, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 e per effetto di quanto disposto dal d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1, per un importo pari all’IRAP relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, art. 11 comma 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1); il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2 comma 1) o, in ogni caso, l’attività esercitata dalle società o dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2 comma 2); è un’imposta proporzionale (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 15) che si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione“..
Altresì, di recente, sul punto è ulteriormente intervenuta questa Corte, precisando che in tema di IRAP, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per ritenuta violazione della Cost., artt. 3 e 53, del d.lgs. n. 446 del 1997, artt. 1 comma 2, e 6, commi e del d.l. n. 185 del 2008, 2, convertito, con modifiche, nella l. n. 2 del 2009, nella parte in cui prevedono, ai fini delle imposte sui redditi, la deducibilità parziale – anziché integrale – nella misura forfettaria del dieci per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa al costo del lavoro ed agli interessi passivi, costituendo legittimo esercizio del potere discrezionale del legislatore che, con scelta insindacabile in quanto non palesemente arbitraria né irrazionale, ha inteso così promuovere una parziale detassazione dei costi con lo scopo di incentivare la competitività delle imprese nell’interesse generale, non ravvisandosi un obbligo per il medesimo legislatore di estendere la misura agevolativa, opzione che comporterebbe non solo un aumento delle risorse necessarie per la sua attuazione, ma anche un allargamento degli obiettivi generali perseguiti (cfr. Cass., 6/06/2019, n. 15341).
Peraltro, anche in sede comunitaria è stata riconosciuta la coerenza e conformità del tributo ai principi Eurounitari (cfr. CGCE 3/10/2006, C-475/03, Banca Popolare di Cremona).
Neppure va, peraltro, dimenticato l’insegnamento della Corte EDU, secondo cui la materia dell’imposizione fiscale fa parte del “nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica” (F. c. Italia, 12 luglio 2011), con vasta discrezionalità entro i confini di riserva di legge (James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, conf. Spack c. Rep. Ceca) e ragionevole finanza pubblica (National & provincial building society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997).
Le argomentazioni addotte dai ricorrenti nel riproporre la questione non evidenziano ragioni ulteriori che possano condurre questa Corte a ritenere non manifestamente infondata la questione relativa alle norme denunziate, nella parte in cui il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha previsto, ratione temporis, l’indeducibilità totale, e successivamente la deducibilità solo parziale e forfettaria, dell’Irap dalle imposte dirette.
3. Con il secondo motivo i contribuenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c., la violazione del giudicato interno implicito, che il giudice d’appello avrebbe commesso nel dichiarare che le istanze di rimborso, presentate il 24 dicembre 2007, erano tardive, rispetto al termine di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 computato dalla CTR a far data dalla scadenza del termine ultimo (21 luglio 2003) per effettuare il versamento a saldo dell’Irpef dovuta per l’anno d’imposta 2002.
Assumono infatti i ricorrenti che l’eccezione dell’Amministrazione di decadenza dei contribuenti (formulata, secondo lo stesso ricorso, dall’Agenzia in primo grado solo con riferimento all’istanza dell’Avv. C. ed estesa, nelle controdeduzioni erariali in appello, anche all’istanza dell’Avv. M.) sarebbe stata implicitamente rigettata dalla CTP, che ha respinto nel merito i ricorsi introduttivi dei contribuenti. Pertanto, secondo i ricorrenti, l’Amministrazione avrebbe dovuto proporre appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, non potendo limitarsi a riproporre la relativa eccezione nelle controdeduzioni d’appello.
Il motivo è infondato.
Va premesso che, come riconoscono gli stessi ricorrenti, secondo questa Corte la decadenza dal diritto a richiedere il rimborso è rilevabile di ufficio, salvo che sul punto si sia formato il giudicato interno (Cass. 10/02/2012, n. 1964; conformi Cass. 13/01/2015, n. 317; Cass. 26/09/2017, n. 22399; Cass. 17/10/2019, n. 26378).
Nel caso di specie, il giudicato si sarebbe formato in appello, per non aver l’Ufficio introdotto appello incidentale, limitandosi a proporre per l’Avv. M., ed a riproporre per l’Avv. C., la questione nelle proprie controdeduzioni in appello.
Tuttavia, come questa Corte ha già chiarito, nel processo tributario d’appello, come in quello civile, la devoluzione al giudice del gravame dell’eccezione di merito, respinta in primo grado, formulata dalla parte comunque vittoriosa, esige la proposizione dell’appello incidentale, ma se la parte ripropone tale eccezione contestando la statuizione sul punto, può procedersi alla sua riqualificazione, in applicazione del principio dell’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo, tenuto anche conto che, nel contenzioso tributario, l’appello incidentale non deve essere notificato, ma è contenuto nelle controdeduzioni, depositate nel termine di costituzione dell’appellato, venendo così ad affievolirsi la distinzione tra appello incidentale, riproposizione dei motivi e difesa del resistente (Cass. 24/06/2021, n. 18119; con riferimento al processo civile ordinario cfr., nello stesso senso, Cass. 3/11/2020, n. 24456).
Nel caso di specie, le controdeduzioni dell’appellata Agenzia, come riferite nella pag. 5 della stessa sentenza impugnata, concludevano inequivocabilmente per la rilevazione preliminare della decadenza, e per la sua declaratoria, con riferimento alle domande di ambedue i professionisti, manifestando pertanto univocamente una posizione critica rispetto alla decisione di primo grado, della quale non si limitavano quindi a chiedere la mera conferma nel merito.
Pertanto, con le controdeduzioni in appello l’Agenzia ha comunque proposto, nella sostanza, quell’appello incidentale la cui pretesa mancanza è censurata dai ricorrenti.
Lo stesso deve dirsi quanto alla proposizione, da parte dell’Agenzia, nelle controdeduzioni in appello, dell’eccezione di decadenza relativa all’anno d’imposta 2003, per la mancata presentazione dell’istanza telematica di cui al d.l. n. 185 del 2008, comma 3, dell’art. 6.
Anche tale eccezione di decadenza, infatti, che l’Amministrazione poteva sollevare pure per la prima volta in appello, deve essere riqualificata quale introduzione di un appello incidentale erariale, idoneo comunque ad impugnare l’asserita pronuncia implicita del giudice di primo grado ed a provocare, da parte del giudice d’appello, una pronuncia esplicita sulla questione, come è infatti accaduto.
Va quindi rigettato, anche con riferimento al rimborso dell’Irap di cui all’anno d’imposta 2003, il secondo motivo di ricorso.
4. Con il terzo motivo i contribuenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del d.l. n. 185 del 2008, artt. 6 e 2 in combinato disposto con il d.p.r. n. 602 del 1973, artt. 38 e d.lgs. n. 546 del 1992, 21, comma 2, per avere la CTR ritenuto che il termine decadenziale per la presentazione dell’istanza di rimborso decorra dalla data del versamento dell’Irpef della quale si chiede la restituzione, piuttosto che dall’entrata in vigore della norma che, consentendo una parziale deducibilità forfettaria dell’Irap, legittima la conseguente ripetizione dell’imposta sul reddito computata e versata presupponendo invece la totale indeducibilità della stessa Irap.
Il motivo è infondato.
La norma di cui si discute è il d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 che, nella versione applicabile ratione temporis, e per quanto qui interessa in relazione al thema decidendum di cui al ricorso, così disponeva:
” 1. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai sensi dell’art. 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5bis, 6, 7 e 8, forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, art. 11 commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1.
2. In relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008, per i quali è stata comunque presentata, entro il termine di cui al d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’IRAP riferita agli interessi passivi ed oneri assimilati ovvero alle spese per il personale dipendente e assimilato, i contribuenti hanno diritto, con le modalità e nei limiti stabiliti al comma 4, al rimborso per una somma fino ad un massimo del 10 per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfetariamente ai suddetti interessi e spese per il personale, come determinata ai sensi del comma 1.
3. I contribuenti che alla data di entrata in vigore del presente decreto non hanno presentato domanda hanno diritto al rimborso previa presentazione di istanza all’Agenzia delle entrate, esclusivamente in via telematica, qualora sia ancora pendente il termine di cui al d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38.
4. Il rimborso di cui al comma 2 è eseguito secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze di cui ai commi 2 e 3, nel rispetto dei limiti di spesa pari a 100 milioni di Euro per l’anno 2009, 500 milioni di Euro per il 2010 e a 400 milioni di Euro per l’anno 2011. Ai fini dell’eventuale completamento dei rimborsi, si provvederà all’integrazione delle risorse con successivi provvedimenti legislativi. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze ed ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo.
(…)”.
La lettura del dato testuale non evidenzia alcun dubbio in ordine all’esplicita ed inequivoca volontà del legislatore di circoscrivere la retroattività degli effetti della sopravvenuta deducibilità parziale e forfettaria dell’Irap ai soli periodi d’imposta, “anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008”, per i quali il termine di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 che decorre “dalla data del versamento”, non fosse scaduto, o per essere stata “comunque presentata”, entro lo stesso termine, istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’IRAP; oppure, per i contribuenti che non avessero già proposto tale istanza, per essere ” ancora pendente” il ridetto termine.
A fronte di tale disciplina intertemporale specifica, l’interpretazione dei ricorrenti, secondo i quali il dies a quo del termine decadenziale per la domanda di rimborso dovrebbe iniziare a decorrere dall’entrata in vigore dello stesso d.l. n. 185 del 2008, che ha previsto la (parziale) deducibilità dell’Irap, sino ad allora (integralmente) non consentita dal legislatore, non trova alcun riferimento nella volontà espressa dal legislatore.
Tanto premesso, deve rilevarsi che la disciplina normativa in questione, come interpretata in base all’univoco dato testuale, neppure evidenzia quei dubbi di illegittimità costituzionale che, invero genericamente, sollecitano nel mezzo i ricorrenti.
Premessa invero (come argomentato a proposito del primo motivo) la manifesta infondatezza della pretesa illegittimità incostituzionale dell’Irap in sè e della sua indeducibilità (totale o parziale) dalle imposte sul reddito, nel prevedere successivamente una sua parziale e forfettaria deducibilità il legislatore era libero dal derogare discrezionalmente, in tutto o in parte, al principio generale in tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 3 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disp. gen., secondo cui va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista. Peraltro, le disposizioni del suddetto Statuto costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione e interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, ma non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la modifica o la deroga, purché espressa e non ad opera di leggi speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa che si ponga in contrasto con esse non è suscettibile di disapplicazione, né può essere per ciò solo oggetto di questione di legittimità costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità (Cass., 20/02/2020, n. 4411; conforme, ex multis, Cass. 20/06/2018, n. 16227).
Tanto meno, nel caso di specie, l’esercizio, da parte del legislatore, della deroga al principio di irretroattività delle norme tributarie può essere tacciato di illegittimità costituzionale, ai sensi della Cost., artt. 3 e 53, come sostengono (invero genericamente) i ricorrenti, per non essere stata estesa l’efficacia ex tunc della retroattività anche ai periodi d’imposta, anteriori al 2008, per i quali era già scaduto il termine di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 con decorrenza dal versamento, come previsto da quest’ultima norma.
Infatti il differente trattamento cui sarebbero sottoposti i contribuenti, in ipotesi di pari capacità contributiva, che, rispetto agli anni d’imposta anteriori al 2008, hanno presentato (“comunque”, quindi anche in costanza della norma sull’indeducibilità assoluta ed anche a prescindere da quest’ultima) domanda di rimborso, rispetto a quelli che invece non l’hanno presentata, ovviamente non dipende irrazionalmente da capacità divinatorie e predittive dei primi, circa il sopravvenire della norma sulla deducibilità, come ripetutamente dedotto nel ricorso. Piuttosto, non appare irrazionale che il legislatore, libero di decidere se rendere o meno retroattiva la deducibilità dell’Irap, abbia scelto di contenerne l’efficacia retroattiva in corrispondenza ai limiti del termine decadenziale di cui al ridetto d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 che trova fondamento nell’esigenza, di natura pubblica, di assicurare, in relazione a situazioni giuridiche indisponibili, la stabilità delle entrate tributarie entro un periodo di tempo definito (cfr., ex plurimis, Cass. 23/03/2012, n. 4670, in ordine alla rilevabilità d’ufficio della relativa decadenza).
Nella sostanza, quindi, la disposizione in questione non disciplina la decadenza dal diritto al rimborso in misura diversa dalla norma generale di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 che anzi espressamente richiama, ma, nel regolare la retroattività della sopravvenuta deducibilità parziale dell’Irap dalle imposte sui redditi, la limita in concomitanza con la stabilità dell’entrata tributaria, che sia derivata dalla scadenza del termine di cui al ridetto art. 38, senza che alcuna domanda di rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’Irap sia stata comunque mai presentata. Non si tratta, quindi, di una norma che incida sulla decadenza in quanto tale, ma di una disposizione intertemporale relativa alla sopravvenuta deducibilità parziale ed alla sua limitata retroattività.
Va poi ricordato che le disposizioni che prevedono ipotesi di deducibilità ai fini fiscali sono da sempre affidate alla discrezionalità del legislatore e sono insindacabili, sempre che non trasmodino in arbitrio, come reiteratamente ribadito dalla Corte Costituzionale, la quale ha precisato che “norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001; sentenze nn. 117 del 2017 e 17 del 2018) – che nel caso di specie non ricorre – e per tale ragione devono ritenersi inammissibili questioni volte a censurare la discrezionalità del legislatore in ordine alla concessione di agevolazioni fiscali, nonché ai limiti ed alle condizioni di esse (Corte Cost., 27/12/1991, n. 494; Corte Cost., ord., n. 319 del 1987; Corte Cost., ord., n. 113 del 1989).
Pertanto, anche la deduzione forfettaria, pari al 10 per cento dell’Irap versata, prevista dal d.l. n. 185 del 2008, art. 6 introducendo la parziale deducibilità, ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa al costo del lavoro ed agli interessi passivi, costituisce esercizio legittimo del potere discrezionale esercitato nella disciplina agevolativa, avendo il legislatore con tale disposizione normativa inteso consentire – nei limiti temporali non arbitrariamente, né irrazionalmente, individuati – alle imprese, anche al fine di fronteggiare l’emergenza venutasi a creare con la crisi finanziaria che ha investito l’economia italiana e mondiale, di beneficiare di una parziale detassazione riferita a costi, quali gli oneri finanziari ed i costi del personale, che incidono in modo determinante nell’attività d’impresa, con l’evidente scopo di incentivare la produttività del lavoro (costi del personale) e gli investimenti mediante credito (interessi).
Di conseguenza, posto che tramite l’agevolazione fiscale il legislatore vuole promuovere la competitività delle imprese nell’interesse generale, non può dirsi sussistente né un obbligo per il medesimo legislatore di estendere la misura agevolativa, neanche sotto il profilo temporale e retroattivo; né tanto meno la palese arbitrarietà o irrazionalità nella scelta discrezionale di non estendere il beneficio, scelta che avrebbe comportato, non solo un aumento delle risorse necessarie per attuare la misura, ma anche un allargamento degli obiettivi generali perseguiti (Corte Costituzionale 27/06/2017, n. 153 in relazione a: sentenze nn. 86 del 1985, 292 del 1987, 431 del 1997, 27 del 2001, 275 del 2005, 6 del 2014, 111 del 2016, ordd. nn. 10 del 1999, 174 del 2001, 144 del 2009, 203 del 2011, 103 del 2012).
Può quindi formularsi il seguente principio di diritto ” E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per ritenuta violazione della Cost. artt. 3 e 53, del d.l. n. 185 del 2008, art. 6, commi 2 e 3, conv., con modif., nella l. n. 2 del 2009, nella parte in cui prevede che, in relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31/12/2008, la deduzione forfettaria dalle imposte sui redditi del 10% dell’Irap non si applichi ai contribuenti che non abbiano comunque presentato istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’Irap riferita agli interessi passivi ed oneri assimilati ovvero alle spese per il personale dipendente e assimilato, entro il termine di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, n. 602, art. 38, qualora detto termine non sia ancora pendente alla data di entrata in vigore dello stesso D.L. “.
La CTR non si è discostata da tali criteri nel ritenere che le istanze di rimborso dei contribuenti, presentate il 24 dicembre 2007, precludessero, ai sensi del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 l’efficacia retroattiva della deducibilità forfettaria prevista da quest’ultima norma, essendo tardive (come non è contestato), quanto all’anno d’imposta 2002, rispetto al termine di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 computato nel caso di specie dalla CTR a far data dalla scadenza del termine ultimo (21 luglio 2003) per effettuare il versamento a saldo dell’Irpef dovuta per l’anno d’imposta 2002, ma in realtà già decorrente dalla data, precedente, del versamento effettivo (cfr. Cass. 29/03/2019, n. 8847; Cass. 1/02/2018, n. 2533) e, quindi, tanto più maturato.
5. Con il quarto motivo i contribuenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del combinato disposto del d.l. n. 185 del 2008, commi 2 e 3 dell’art. 6 per avere la CTR ritenuto, con riferimento all’anno d’imposta 2003, che i ricorrenti, che avevano “comunque” presentato istanza di rimborso tempestiva relativamente all’anno d’imposta 2003, pur non essendo decaduti dal diritto al rimborso ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 sarebbero tuttavia comunque decaduti per non aver presentato nuovamente anche ulteriore istanza telematica.
Il motivo è fondato.
Invero il d.l. n. 185 del 2008, comma 2 dell’art. 6 non prevede, per coloro che abbiano già presentato l’istanza di rimborso prima dell’entrata in vigore della medesima disposizione, l’obbligo di presentare un’ulteriore domanda al fine di richiedere ed ottenere il relativo rimborso.
Tanto meno, poi, può essere sufficiente, a determinare l’effetto preclusivo invocato, il mero inserimento, nelle istruzioni per la compilazione dell’istanza telematica allegate al provvedimento direttoriale emesso in attuazione del comma 4 dello stesso art. 6, della precisazione per cui ” per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2008, per i quali alla data di entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008 (29 novembre 2008) sia stata presentata – nel rispetto del termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento – istanza di rimborso ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 (…) per rendere più spedite le procedure di gestione, anche in questo caso è necessario presentare apposita istanza di rimborso utilizzando il presente modello, avendo cura di compilare il quadro RI con i dati richiesti;”.
Infatti, delle mere istruzioni di compilazione, peraltro dichiaratamente finalizzate ad esigenze organizzative dell’Amministrazione, non possono di per se’ sole incidere sul diritto del contribuente al rimborso, esercitato già tempestivamente con l’originaria istanza (della quale del resto le stesse istruzioni riconoscono la persistente efficacia) e coltivato anche in giudizio a fronte del rifiuto opposto dall’Amministrazione.
Invero questa Corte (Cass. 6/07/2019, n. 15341, cit., in motivazione, pagg. 17-21), con riferimento alla disciplina conseguente alla sopravvenienza, in tema di deducibilità forfettaria del dieci per cento dell’Irap relativa alle spese per il personale, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha già ricostruito i rapporti tra l’originaria istanza di rimborso e quella telematica successiva.
All’esito dell’esame del relativo quadro normativo, nonché del punto 1.3.2. della circolare del 14 aprile 2019, n. 16/E della stessa Agenzia delle Entrate, si è infatti concluso che per i contribuenti che, come i ricorrenti, alla data di entrata in vigore del decreto n. 185 del 2008 avevano già presentato tempestiva istanza ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 il rimborso della maggiore imposta assolta non è subordinato alla presentazione dell’istanza telematica prevista dal d.l. n. 185 del 2008, comma 3 del citato art. 6 che è necessaria al solo fine di comunicare all’Amministrazione finanziare l’entità del rimborso di cui si chiede la restituzione e consentire alla stessa Amministrazione di quantificare l’importo eventualmente dovuto in restituzione.
In sostanza, data la retroattività (nei limiti già chiariti) della norma, il contribuente effettua una riliquidazione, ex post, della dichiarazione già presentata e richiede il rimborso mediante l’utilizzo dello strumento dell’istanza di rimborso in via telematica, nel rispetto delle modalità specificatamente stabilite nelle istruzioni allegate al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di cui al d.l. n. 185 del 2008, comma 4 dello stesso art. 6, ma senza che il mancato adempimento di tale ulteriore incombente possa determinare una decadenza non prevista ne’dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ne dallo stesso art. 6 D.L. n. 185 del 2008.
Può quindi enuclearsi il seguente principio di diritto: “In materia di sopravvenuta deducibilità forfettaria dell’Irap ai fini delle imposte sul reddito ex d.l. n. 185 del 2008, art. 6 comma 2, per i contribuenti che al 29/11/2008, nel rispetto del termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, abbiano già inoltrato istanza di rimborso relativa ai medesimi periodi, non determina decadenza dal diritto al rimborso la mancata presentazione, con le modalità di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 86440/2009, dell’ulteriore istanza telematica di rimborso per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008”.
Ha pertanto errato la CTR nel ritenere che la mancata presentazione della “prevista istanza telematica” abbia di per sé sola determinato la decadenza dei contribuenti dal diritto al rimborso per l’anno d’imposta 2003.
Il quarto motivo va quindi accolto e, cassata in parte qua la sentenza impugnata, la causa va rinviata al giudice d’appello per i necessari accertamenti.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso e, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.