Corte di Cassazione ordinanza n. 12714 depositata il 21 aprile 2022
istanza di revocazione – errore di fatto
FATTI DI CAUSA
1. D.L. ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle entrate per la revocazione della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.21536/13, depositata il 20 settembre 2013, che ha rigettato il ricorso del contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di recupero del credito di imposta per gli investimenti agevolati effettuati nelle aree svantaggiate.
2. Con la sentenza impugnata, la Corte riteneva che l’imprenditore ammesso a beneficiare, ai sensi della l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, dei contributi, concessi sotto forma di credito d’imposta, per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del Paese, decade da tale beneficio ove abbia omesso di presentare (come previsto dalla l. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. e), nel termine del 28 febbraio 2003, la comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell’investimento effettuato (cosiddetto “modello CVS”), essendo il suddetto termine previsto dall’art. 62 l. n. 289 del 2002 a pena di decadenza, e non avendo, altrimenti, alcun senso la sua previsione ove il beneficio del contributo fosse subordinato alla realizzazione dell’investimento, e non anche all’invio della comunicazione telematica (Cass. 16442/2009; Cass. n. 3578/2009).
Secondo la Corte, << la norma di cui alla l. n. 289 del 2002, art. 62, è diretta espressione del potere, demandato al Ministro delle finanze, di stabilire con D.M. le procedure di controllo, prevedendo “specifiche cause di decadenza dal diritto di credito”, e trova la sua “ratio” nell’esigenza di definire entro un tempo determinato l’inerente onere finanziario , altrimenti sospeso ad libitum (Cfr. anche Cass. n. 15865/2005). Inoltre va osservato che la presentazione di tale modello, costituisce non già una facoltà del contribuente, ma un vero e proprio onere a suo carico, finalizzato all’accertamento delle condizioni necessarie all’attribuzione, in via definitiva, del beneficio in questione. Pertanto anche gli imprenditori che hanno già effettuato investimenti in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge decadono dall’agevolazione a seguito della omessa comunicazione anche in relazione agli investimenti concretamente già effettuati. Inoltre, la norma citata non dispone per il passato ma fissa per il futuro un obbligo di comunicazione di dati a pena di decadenza dal contributo, non rilevando che tale decadenza abbia a oggetto un contributo già conseguito, in quanto l’art. 62, comma uno, lett. a) l. n. 289/2002 non può che riferirsi a soggetti che hanno fruito automaticamente del contributo di cui all’art.8 l. cit.>>.
3. A seguito del ricorso dell’Agenzia delle entrate si costituiva ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza.
Il ricorso è stato fissato per l’udienza pubblica del 5 aprile 2021.
Il sostituto procuratore generale, A.C., ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con l’unico motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell’art.112 proc. civ. e l’errore ex art.395, n.4, cod. proc. civ.
Il ricorrente evidenzia che la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso promosso dal Sig. D.L., adducendo come ratio decidendi l’omessa presentazione, nel termine del 28 febbraio 2003, della comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell’investimento effettuato (cosiddetto modello CVS).
Secondo il ricorrente, l’Agenzia delle entrate dì San Severo (FG) aveva recuperato il credito d’imposta maturato nell’anno d’imposta 2002, ai sensi dell’art. 8 della l. n.388/2000, per l’importo di € 18.498,13 oltre sanzioni pari al 30 per cento ed interessi come per legge, in quanto riteneva che detta compensazione risultava essere stata effettuata indebitamente, poiché il combinato disposto del d.l. n. 253 del 12.11.2002 e dell’art. 62 della l. 289/2002 sospendeva la fruizione degli utilizzi dei contributi di cui all’art. 8 della l.n.388/2000 a decorrere dal 13.11.2002 e fino al 9.4.2003.
Il ricorrente sottolineava di aver maturato il diritto al credito d’imposta prima della data del 8.7.2002 e di essere in possesso di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi che avrebbero consentito di usufruire del predetto credito d’imposta, non ostando la successiva modifica legislativa.
Pertanto, conclude il ricorrente, oggetto del contendere non era mai stata l’omessa comunicazione telematica sul contenuto e la natura dell’investimento, cosiddetto modello CVS, tra l’altro regolarmente presentato in data 28.03.2003, ma semplicemente l’utilizzo da parte del ricorrente del predetto credito d’imposta nel periodo di sospensione imposto dal d.l. n. 253 del 12.11.2002 per il periodo dal 13.11.2002 al 9.4.2003.
1.2 Il motivo è inammissibile.
< < L’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4), cod. proc. civ., che ricorre nei casi in cui la decisione sia frutto di un’erronea percezione della realtà, dando luogo al contrasto tra quanto rappresentato nella sentenza e le oggettive risultanze degli atti processuali. Pertanto, tale rimedio non è ammissibile qualora si deduca un errore di diritto, consistente nella violazione o falsa applicazione di una norma>> (Cass. n.26074/2005).
Più di recente, le Sezioni Unite di questa corte hanno precisato che < <non costituiscono vizi revocatori delle sentenze della S.C., ex artt. 391 bis e 395, n. 4, c.p.c., né l’errore di diritto sostanziale o processuale, né l’errore di giudizio o di valutazione>> (Cass. S.U. n. 30994/2017; Cass. S.U. n.8984/2018).
Dunque, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (cfr. Cass. n. 442/2018).
E’ stato anche detto che l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si colloca in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod.proc.civ. (vedi Cass. n. 14937/2017).
Nel caso di specie il ricorrente lamenta che la Corte di cassazione abbia affermato la decadenza dal beneficio dei contributi, sotto forma di credito di imposta per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del paese (art. 8, l. 23.12.2000, n.388), in quanto il contribuente non aveva effettuato la prescritta comunicazione nel termine previsto dall’art. 62, comma 1, lett. a), secondo periodo, l. 27.12.2002, n. 289 (termine scaduto il 28.2.2003). Ciò, in quanto, secondo il ricorrente, la materia del contendere concerneva non tale decadenza, bensì la sospensione dei contributi dal 13.11.2002 al 9.4.2003, in forza del d.l. 12.11.2002, n. 253, non convertito in legge, ma fatto salvo dalla l. n. 289/2002.
La decadenza applicata nella sentenza revocanda, invece, non sarebbe mai stata eccepita in causa dall’amministrazione finanziaria e la Corte sarebbe incorsa in errore di fatto sul punto.
In realtà il ricorrente denunzia, non un errore di fatto, bensì un vizio di ultrapetizione da parte della Corte, vizio che, ove mai sussistente, costituirebbe una violazione della legge processuale da far valere con i mezzi ordinari di impugnazione (Cass. n. 2119/1968; n.2970/1966) e che, ove verificatosi nella fase di legittimità, configurerebbe un errar in procedendo che non può essere motivo di revocazione (Cass. S. U., nn. 8984/2018 e 30994/2017 citate).
Per quanto fin qui detto, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese, non avendo l’Agenzia delle entrate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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