Corte di Cassazione ordinanza n. 12760 depositata il 21 aprile 2022
frode carosello – riparto della prova – motivazione apparente o inesistente
considerato che:
dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che:
l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Antonio Romaniello, titolare della ditta individuale Car Service, esercente l’attività di riparazione meccanica e vendita di autoveicoli, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno 2005, aveva rettificato il reddito di impresa ed il valore della produzione ai fini Irpef ed Irap, disconosciuto la detraibilità dell’iva e la deducibilità dei costi in quanto relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti e irrogate le conseguenti sanzioni; avverso l’atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Lazio ha parzialmente accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’avviso di accertamento era sufficientemente motivato; con riferimento alla detrazione dell’Iva, relativa alla contestazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, era onere del contribuente dare la prova circa il proprio stato soggettivo in ordine alla effettiva provenienza delle operazioni dal soggetto che ha emesso fattura; doveva essere riconosciuto, comunque, il diritto alla deduzione dei costi;
avverso la suddetta pronuncia il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione affidato a otto motivi di censura;
l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, e 21, comma 7, d.p.r. n. 633/1972, nonché dell’art. 2697, cod. civ., per avere negato il diritto alla detrazione dell’Iva;
in particolare, parte ricorrente evidenzia che, essendo la controversia relativa a operazioni soggettivamente inesistenti, il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che mancasse il requisito dell’inerenza e, inoltre, che fosse da porsi a carico del contribuente l’onere di provare la propria buona fede;
il motivo è fondato;
questa Corte ha precisato, in tema di riparto dell’onere della prova, che, nell’ambito di una frode carosello o meno, l’Amministrazione ha l’onere di provare solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ossia la sua non operatività, oltre che la consapevolezza del destinatario di essere parte di un’evasione, anche in via presuntiva in quanto avrebbe dovuto conoscere l’inesistenza del contraente, dovendo poi provare il contribuente di aver rispettato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo ragionevolezza e proporzionalità, essendo irrilevante la regolare contabilità, la regolarità dei pagamenti, e anche la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018 n. 9851);
è stato, peraltro, ancor più specificamente affermato in tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello che, quando l’operazione soggettivamente inesistente è caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. 21 aprile 2017 n.10120);
il giudice del gravame non si è attenuto ai suddetti principi, avendo erroneamente posto a carico del contribuente l’onere di provare la propria buona fede, senza tenere conto, invece, se sussistevano prove, anche indiziarie, fornite dall’amministrazione finanziaria, in ordine alla circostanza che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della partecipazione alla frode;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per avere omesso di motivare in ordine alla fittizietà soggettiva dell’operazione;
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546/1992, per omesso di motivare in ordine alla sussistenza della fittizietà soggettiva dell’operazione;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono fondati; in ordine alla sussistenza della natura fittizia dell’operazione il giudice del gravame si è limitato ad affermare che: “In tema di Iva ed in ipotesi di operazione soggettivamente inesistente, come accertato nel caso in esame.. ‘ senza alcuna indicazione del procedimento logico seguito al fine di giustificare l’affermazione;
va quindi osservato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053);
nel caso di specie, l’accertamento della inesistenza soggettiva delle operazioni si è svolto in modo apparente, avendo il giudice meramente affermato che nella fattispecie le operazioni dovevano essere considerate soggettivamente inesistenti, senza alcuna specifica indicazione del procedimento logico seguito per addivenire alla suddetta conclusione;
con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame circa fatti decisivi e controversi per il giudizio, non avendo esaminato gli elementi di prova forniti dal contribuente in ordine alla propria diligenza e, quindi, alla propria condizione di buona fede;
il motivo è fondato;
il giudice del gravame ha escluso che il contribuente avesse fornito la prova circa la propria condizione di buona fede facendo unicamente riferimento alla avvenuta consegna della merce ed al pagamento, senza avere, tuttavia, tenuto conto di elementi, prospettati dal contribuente, relativi alla circostanza che il fornitore aveva una sede secondaria in Germania e che i prezzi di acquisto non si discostavano da quelli di mercato;
i suddetti elementi fattuali, invero, astrattamente rilevanti ai fini della prova contraria del contribuente circa la propria condizione soggettiva, non sono stati presi in considerazione dal giudice del gravame, che si è limitato, come detto, ad enunciare che il presupposto della natura soggettivamente inesistente dell’operazione risultava “accertato nel caso in esame”, incorrendo, in tal modo, nel vizio di difetto motivazionale;
con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nella versione precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 83/2012, per omessa motivazione circa un fatto decisivo per la controversia relativo alla dimostrazione di avere seguito la dovuta diligenza;
con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, per non avere ritenuto sufficiente la condotta tenuta dal contribuente al fine di provare la propria buona fede, ponendo, in tal modo, a carico del medesimo, oneri di prova contrastanti con il principio di proporzionalità;
con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti relativi alla insussistenza dei presupposti per ritenere la fittizietà dell’operazione;
con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nella versione precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 83/2012, per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti relativi alla insussistenza dei presupposti per ritenere la fittizietà dell’operazione;
l’esame dei suddetti motivi è assorbito dalle considerazioni espresse in relazione ai precedenti motivi;
in conclusione, sono fondati i motivi da uno a quattro, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese.
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