CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 13132 depositata il 12 maggio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEF – Istanza di conciliazione giudiziale – Rinvio udienza – Assegnazione termine – Istanza di ricusazione – Redditometro – Inversione onere della prova – Pubblica udienza – Inammissibilità
Rilevato che
In data 1/7/2011 l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Potenza, notificò l’avviso di accertamento n. (…) avente ad oggetto Irpef per l’anno 2006, procedendo ad un recupero d’imponibile e d’imposta e all’irrogazione delle sanzioni.
Il R. (d’ora in poi, anche “il contribuente” o “l’odierno ricorrente”) propose ricorso alla C.T.P. di Potenza, presentando istanza di conciliazione giudiziale della controversia, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48.
In data 4/12/2012 il difensore, al fine di esperire il tentativo di conciliazione, chiese il rinvio dell’udienza fissata per il giorno 7/12/2012.
Il ricorrente ha dedotto che la C.T.P., in violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48 che “impone” la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per la formazione di una proposta di accordo, non solo non avrebbe rinviato l’udienza, ma, con una nuova composizione del collegio giudicante, mai comunicata al ricorrente, rigettò il ricorso.
Il R. propose appello, riproponendo le doglianze avverso l’avviso di accertamento già proposte in primo grado e censurando la sentenza di primo grado per la presenza nel collegio di prime cure dell’Avv. A.M., che sarebbe stato in comprovato rapporto di grave inimicizia e “pendenza di causa” con l’odierno ricorrente, oltre che per la violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48 a causa della mancata concessione di un termine entro cui esperire il tentativo di conciliazione.
La C.T.R. respinse l’appello.
Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, il primo dei quali articolato in tre profili.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il contribuente ha depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..
Considerato che
1.1.Con il primo profilo del primo motivo, rubricato “Denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62; denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il contribuente contesta la mancata applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48 in quanto all’udienza del 7/12/2012, tenutasi in camera di consiglio, il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto della presentazione dell’istanza di conciliazione giudiziale e non avrebbe assegnato un termine entro cui poter esperire il tentativo di conciliazione.
1.1.a. Il motivo è inammissibile.
Il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48, comma 4, nella versione vigente ratione temporis, prevedeva che “qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine non superiore a sessanta giorni, per la formazione di una proposta ai sensi del comma 5”.
Appare chiaro, dunque, che il rinvio dell’udienza, in presenza di una proposta di conciliazione, è, secondo la norma citata, una mera facoltà, non un obbligo, del giudice, che deve vagliarne preventivamente le condizioni di ammissibilità ai sensi del richiamato comma 5.
Si osserva, inoltre, che la concessione del termine era finalizzata alla formulazione della proposta da parte dell’Ufficio, con la conseguenza che se il giudice avesse accertato in udienza che non vi erano le condizioni per la formulazione di una proposta da parte dell’Ufficio o di una adesione di quest’ultimo alla proposta formulata dal contribuente, non vi sarebbe stato luogo all’assegnazione del termine.
1.2. Con il secondo profilo del primo motivo, il contribuente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 6 e dell’art. 51 c.p.c..
Deduce il R. che uno dei componenti il collegio di primo grado avrebbe dovuto astenersi dal concorrere alla decisione.
Censura la sentenza di appello nella parte in cui ha affermato che l’eventuale obbligo di astensione avrebbe dovuto farsi valere con la ricusazione e non con l’impugnazione per nullità della sentenza di primo grado.
Il contribuente deduce in sostanza che non sarebbe stato posto nelle condizioni di ricusare il componente suspectus del collegio giudicante, in quanto la nuova composizione di quest’ultimo, con l’introduzione del giudice ricusando, non gli era stata comunicata prima che si tenesse l’udienza.
1.2.a. La doglianza è inammissibile, oltre che infondata.
E’ inammissibile perché difetta di autosufficienza: il contribuente non solo non allega al ricorso gli atti processuali a sostegno delle sue deduzioni, ma nemmeno li indica sicché la Corte possa andare a reperirli nel fascicolo di merito.
E’, comunque, infondato, perché, secondo l’orientamento di questa Suprema Corte, “la composizione del collegio giudicante è immodificabile solo dopo l’inizio della discussione, in quanto prima di tale momento la sostituzione del giudice relatore può essere liberamente disposta e risultare anche da semplice annotazione nel verbale di udienza, senza comunicazione; né tale ultima evenienza pregiudica il diritto di difesa, potendo la parte, cui non sia noto il nome dei giudici chiamati a trattare o decidere la causa, proporre istanza di ricusazione prima dell’inizio della trattazione o della decisione, ex art. 52 c.p.c., comma 2“.
Il contribuente, dunque, ben avrebbe potuto, all’udienza, resosi conto della presenza nel collegio di un componente suspectus, proporre istanza di ricusazione, e, se non lo ha fatto, imputet sibi: è decaduto dalla possibilità di ricusarlo, e non poteva pretendere di recuperare tale possibilità perduta con l’impugnazione della sentenza di primo grado.
1.3. Con il terzo profilo del primo motivo, il contribuente si duole che la C.T.R. avrebbe legittimato l’accertamento sintetico dell’Ufficio con la “sola” motivazione della presenza di una situazione reddituale non compatibile con le spese accertate, “ignorando che nel caso di specie non siamo in presenza di spese effettivamente sostenute ma solo di un’applicazione standardizzata di elementi di capacità contributiva (il possesso di due immobili e di due autovetture) che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, costituiscono solo delle presunzioni semplici”.
1.3.a. Il motivo è inammissibile.
L’applicazione del cd. “redditometro”, che dà luogo all’accertamento di un maggior reddito con metodo sintetico, determina una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Il contribuente si duole non della mancanza dei presupposti legali per la determinazione del maggior reddito con il metodo sintetico, ma del fatto che non ha potuto dare la prova della insussistenza dei maggiori redditi recuperati a tassazione dall’ufficio, mentre nessuna censura può muoversi al giudice di appello che ha solo applicato il regime dell’onere della prova stabilito dalla legge (Cass., sez. 5 sentenza n. 21142 del 19/10/2016, Rv. 641453 – 01; Cass., sez. 5, sentenza n. 10037 del 24/04/2018, Rv. 648058 – 01).
2. Con il secondo motivo, rubricato “Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, il contribuente si duole che la causa sia stata decisa dalla C.T.R. in pubblica udienza anziché in camera di consiglio.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Il contribuente, infatti, non deduce quale interesse abbia a dolersi del fatto che la decisione sia stata presa dopo la trattazione in pubblica udienza, anziché in camera di consiglio.
3. In definitiva, il ricorso è inammissibile.
4. Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna R.M.D. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro milleseicento per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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