Corte di Cassazione ordinanza n. 13229 depositata il 27 aprile 2022
deducibilità IVA – spese pubblicitarie e di sponsorizzazioni – sanzioni favor rei
Rilevato che:
1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Lombardia, disattendendo l’appello di Borsa Italiana S.p.a., ha confermato la sentenza (n. 1435/02/2014) della Commissione tributaria provinciale di Milano che, per quanto ancora rileva, aveva respinto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento, ai fini Iva e Irap, per il 2006, che recuperava a tassazione costi indeducibili/indetraibili riguardanti spese di rappresentanza che la società aveva qualificato come spese di pubblicità;
2. la C.T.R., richiamata la distinzione tra tali due categorie di spese operata dalla giurisprudenza di legittimità, ha premesso che (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) «I servizi di cui si discute sono servizi per eventi e servizi di catering, spese sostenute dalla società e non riaddebitate agli interessati per prestazioni di supporto volte all’organizzazione, alla gestione e alla realizzazione di convegni, conferenze ed eventi (affitto della struttura, servizi taxi, alloggio dei partecipanti…), oltre che spese per il vitto e il catering offerto durante i predetti eventi», ed ha spiegato che (ibidem) «A detta della Società, i costi per organizzare eventi ai quali partecipavano intermediari finanziari rientrerebbero nelle spese di pubblicità, quindi deducibili, in quanto volti a incrementare nel pubblico degli investitori la conoscenza della gamma di strumenti finanziari offerti in vendita e ad aumentare i ricavi realizzati sotto forma di Questo anche in forza del fatto che Borsa non opera in regime di monopolio». Per la Commissione tributaria regionale, tuttavia, le spese per “viaggi” e quelle per “eventi rivolti anche agli intermediari finanziari” rientrano tra le spese di rappresentanza essendo dirette più ad accrescere l’immagine ed il prestigio dell’impresa che a promuoverne i prodotti finanziari. Del resto, prosegue la C.T.R., la contribuente non ha fornito la prova che il servizio offerto fosse inserito in un contesto in cui era già in atto una trattativa commerciale o, comunque, che i destinatari del servizio avessero già posto in essere un comportamento sintomatico di un minimo di interesse all’acquisto. Anche le spese per le “competizioni sportive”, ad avviso del giudice tributario di appello, sono spese di rappresentanza (e non di pubblicità) perché sono finalizzate ad accrescere l’immagine della società presso i clienti già acquisiti e non presso potenziali nuovi clienti;
3. la contribuente propone ricorso, con tre motivi, illustrati con una memoria, per la cassazione della sentenza di appello, e l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso [«1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 108, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’art. 2697 c.c. […] (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha affermato che le spese sono di rappresentanza e non di pubblicità qualora il contribuente non provi o la diretta connessione tra gli eventi organizzati e la sottoscrizione dei contratti da cui consegue un aumento di ricavi, o che gli eventi sono inseriti in un contesto ove è in atto una trattativa commerciale o che gli eventi sono diretti a soggetti che hanno già manifestato un interesse ai servizi pubblicizzati. In altri termini, si ascrive alla C.T.R. di avere imposto alla contribuente un onere non richiesto dalla legge né dalla costante giurisprudenza di legittimità;
2. con il secondo motivo [«1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 108, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 […] (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)»], la contribuente censura la sentenza impugnata nel caso in cui debba essere intesa come volta a qualificare quelle in esame come spese di pubblicità soltanto se esse abbiano materialmente portato alla conclusione di nuovi contratti o siano state dirette a destinatari già interessati ai prodotti o servizi oggetto di promozione;
3. con il terzo motivo la contribuente chiede che, in caso di rigetto del ricorso, siano rideterminate le sanzioni sulla base del principio del favor rei, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 24 settembre 2015, 158, che ha modificato il sistema sanzionatorio amministrativo;
4. il primo e il secondo motivo, suscettibili di essere esaminati insieme per connessione, non sono fondati;
4.1 si deve riaffermare il pacifico indirizzo sezionale (enunciata recentemente da Cass. 28/02/2022, n. 6540, che menziona Cass. 21/04/2021, n. 10440, la quale, in materia di tributi armonizzati, consolida precedenti arresti applicabili anche alle imposte dirette) secondo cui «In tema di Iva, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite.»;
4.2 nella specie, la T.R., sulla scia della giurisprudenza di legittimità, alla stregua di un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, ha sussunto le spese in esame entro la categoria delle spese di rappresentanza. Inoltre, senza violare il criterio di riparto dell’onere della prova tra fisco e contribuente, quale conferma della correttezza del proprio percorso argomentativo, il giudice tributario d’appello ha rimarcato che la società non aveva dato prova del proprio assunto, rimasto a livello di mera allegazione, secondo cui i componenti negativi in contestazione erano spese di pubblicità perché sostenuti per l’organizzazione e la realizzazione di eventi volti alla promozione di nuovi strumenti finanziari regolamentati sul mercato, la cui gestione costituisce l’oggetto dell’attività di Borsa Italiana S.p.a.;
4.3 in conclusione, per quanto sopra accennato (cfr. p. 4.2.) è ovvio che, nell’ipotesi in cui con le proprie difese la contribuente avesse inteso sollecitare una rivalutazione degli elementi oggettivi scrutinati dal giudice di merito, i motivi di ricorso sarebbero inammissibili;
5. il terzo motivo non è fondato;
posto che la richiesta della contribuente di un nuovo calcolo – alla luce dello ius superveniens e nel rispetto del favor rei – della sanzione amministrativa pecuniaria è del tutto generica, si deve dare seguito al condivisibile indirizzo sezionale (cfr. Cass. 16/09/2020, n. 19286) per il quale «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno ius superveniens migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata. (Nella specie, la S.C. ha accolto la richiesta subordinata di applicazione dello ius superveniens, avendo la società ricorrente trascritto nella memoria lo stralcio dell’avviso di accertamento dal quale risultava la violazione accertata e la sanzione in concreto applicata e avendo altresì rideterminato il “nuovo” minimo edittale da irrogare, corrispondente al 90 per cento della maggior imposta dovuta).»;
6. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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