CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 13748 depositata il 18 maggio 2023
Lavoro – Malattia professionale – Principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione – Nesso di causalità tra la malattia denunciata e il precedente vissuto lavorativo – Inammissibilità
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata l’11.6.2018, la Corte d’appello di Genova, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di A.M. volta al riconoscimento dell’etiologia professionale della sindrome bipolare di cui egli è portatore;
che avverso tale pronuncia A.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo dieci motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INAIL e P.I. s.p.a., intervenuta spontaneamente in grado d’appello, hanno resistito con distinti controricorsi;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 3, l. n. 241/1990, per avere l’INAIL rigettato la propria domanda in sede amministrativa sulla scorta di provvedimenti privi di adeguata motivazione;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte di merito dato ingresso all’appello dell’INAIL nonostante che difettasse della specifica indicazione delle parti della sentenza di primo grado che si intendevano impugnare, della richiesta di modifica della ricostruzione del fatto operata dal primo giudice, dell’indicazione delle circostanze da cui derivava la supposta violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della censura della decisione impugnata;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. per non avere la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’appello;
che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. per non avere l’INAIL specificamente censurato la CTU esperita in prime cure;
che, con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 344 e 404 c.p.c. e 10-11, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile l’intervento in appello di P.I. s.p.a., nonostante non si trattasse di intervento autonomo, ma di intervento adesivo;
che, con il sesto motivo, il ricorrente lamenta omesso esame della documentazione medica versata in atti e violazione degli artt. 191, 193 e 244 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che l’etiologia professionale della malattia sarebbe stata affermata dal giudice di primo grado sulla base di quanto riferitogli ex parte actoris;
che, con il settimo motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art. 342 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile l’appello proposto dall’INAIL nonostante che si basasse “su un assioma indimostrato, indimostrabile e scientificamente errato” (così il ricorso per cassazione, pag. 23);
che, con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 3, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte territoriale ritenuto che non vi fosse in concreto prova concreta e specifica della natura professionale della malattia denunciata;
che, con il nono motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 295 c.p.c. per avere la Corte di merito escluso che vi fosse prova del nesso di causalità tra la malattia denunciata e le sue pregresse vicende lavorative senza considerare la copiosa documentazione depositata e valorizzando piuttosto l’esito del precorso procedimento penale che aveva escluso tanto la ricorrenza del mobbing ai suoi danni che il nesso causale rispetto alla malattia di cui egli è portatore;
che, con il decimo motivo, il ricorrente si duole dell’avvenuta compensazione delle spese di causa “a causa dell’effettiva sussistenza della malattia e del difficile accertamento delle sue cause” (così il ricorso per cassazione, pag. 26);
che il primo motivo è inammissibile, dal momento che la questione circa la congruità o meno della motivazione dei provvedimenti con cui l’INAIL aveva rigettato la domanda dell’odierno ricorrente è vicenda di cui la sentenza impugnata nulla dice e, richiedendo accertamenti di fatto, non può essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità senza precisare come e quando essa sarebbe stata introdotta nei precedenti gradi di merito (così da ult. Cass n. 32804 del 2019);
che il secondo, il terzo, il quarto e il settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, tutti ruotando intorno al contenuto dell’atto di appello dell’INAIL, ritenuto a vario titolo inidoneo a instaurare validamente il gravame;
che, al riguardo, va premesso che la deduzione in questa sede di legittimità di un error in procedendo, che legittima l’esercizio da parte di questa Corte del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, da valutarsi in relazione ai principi di specificità e autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1°, nn. 4 e 6, c.p.c., che impongono non soltanto la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse ai fini della censura (così da ult. Cass. n. 3612 del 2022), ma altresì l’indicazione del luogo del fascicolo processuale e/o di parte in cui essi sono attualmente reperibili (così Cass. n. 28184 del 2020 cui hanno dato continuità, tra le più recenti, Cass. nn. 42047 del 2021, 3760, 24434 e 30378 del 2022);
che, sebbene le Sezioni Unite di questa Corte abbiano recentemente rimarcato che il principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU 28.10.2021, Succi et al. c/ Italia, non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (così Cass. S.U. n. 8950 del 2022), non pare al Collegio che tanto possa implicare la necessità di sottoporre a revisione gli anzidetti principi di diritto, ove si osservi che la stessa sentenza della Corte europea dianzi cit., nell’accertare la violazione dell’art. 6, § 1, CEDU, non ha in alcun modo stigmatizzato la necessità che il ricorrente debba brevemente trascrivere i “passaggi pertinenti” del documento su cui si fonda il ricorso e operare il necessario “riferimento al documento originale, rendendo così possibile la sua identificazione tra i documenti depositati con il ricorso”, ma ha semplicemente ritenuto che nel caso sottoposto al suo scrutinio, ad onta della declaratoria d’inammissibilità pronunciata da questa Corte, tali obblighi fossero stati rispettati (cfr. §§ 86-95 della motivazione);
che, nel caso di specie, il ricorrente ha bensì indicato in calce al ricorso il luogo ove sarebbe reperibile l’appello dell’INAIL, ma non ne ha trascritto il contenuto in modo da dare alle proprie censure un non opinabile fondamento fattuale, tanto più necessario a fronte della puntuale individuazione del contenuto che si legge alle pagg. 2-3 della sentenza impugnata;
che, conseguentemente, il secondo, il terzo, il quarto e il settimo motivo di ricorso vanno dichiarati inammissibili;
che del pari inammissibile è il quinto motivo, essendo consolidato il principio secondo cui i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa, con la conseguenza che chi deduce la nullità di un atto processuale ha l’onere, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, di indicare il danno in concreto arrecatogli dall’error in procedendo che ha denunciato (cfr. Cass. n. 15676 del 2014 e, più recentemente, Cass. nn. 2626 del 2018 e 26087 del 2019), ciò che nella specie non è dato leggere in ricorso;
che parimenti inammissibili sono il sesto, l’ottavo e il nono motivo, pretendendo di veicolare in questa sede di legittimità critiche al giudizio di fatto con cui i giudici territoriali, dopo aver rilevato che il giudizio del giudice di prime cure si era basato, quanto alla sussistenza del nesso di causalità tra la malattia denunciata e il precedente vissuto lavorativo dell’odierno ricorrente, su quanto da questi riferito al CTU, e che i capitoli di prova all’uopo formulati nel ricorso introduttivo (e non ammessi nel giudizio di primo grado) erano affatto generici, hanno escluso la sussistenza di alcuna prova concreta e specifica della natura professionale della malattia denunciata, ritenendola correttamente necessaria rispetto ad una malattia non tabellata a genesi multifattoriale, e richiamando ad abundantiam l’esito del procedimento penale con cui era stata disposta l’archiviazione rispetto ai fatti di mobbing denunciati dall’odierno ricorrente ai suoi danni;
che, rimanendo logicamente assorbito il decimo motivo, il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge per ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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