CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 13754 depositata il 18 maggio 2023
Lavoro – Collaboratore esperto linguistico – Trattamento retributivo – Illegittima reiterazione del rapporto a termine – Ex lettori divenuti collaboratori linguistici – Diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti – Rinvio alla contrattazione collettiva per la determinazione della retribuzione – Rigetto
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Lecce ha respinto l’appello proposto da M. V. G., collaboratore esperto linguistico assunto con contratti a tempo determinato succedutisi senza soluzione di continuità dal 1° aprile 2000 e con rapporto a tempo indeterminato dal dicembre 2008, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato le domande, formulate nei confronti dell’Università del Salento, volte ad ottenere: a) il risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183/2010 per illegittima reiterazione del rapporto a termine; b) l’accertamento del diritto a godere del medesimo trattamento retributivo previsto per gli ex lettori, divenuti collaboratori esperti linguistici, dalla legge n. 63/2004, da parametrare a quello riservato ai ricercatori universitari a tempo definito; c) la condanna dell’Università al pagamento delle differenze retributive;
2. la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria, rilevando che la stessa doveva essere proposta nel giudizio, definito con sentenza passata in giudicato, che aveva accertato l’illegittimità dei termini e dichiarato l’unicità del rapporto a far data dal 1° aprile 2000;
3. ha escluso la fondatezza della domanda di adeguamento retributivo, perché l’appellante non poteva invocare l’applicazione della normativa dettata per gli ex lettori, divenuti collaboratori esperti linguistici, e, pertanto, correttamente l’Università aveva applicato la contrattazione collettiva richiamata nei contratti individuali di lavoro;
4. ha precisato che il lavoratore subordinato non può pretendere una maggiorazione retributiva solo perché attribuita ad altro lavoratore ed ha aggiunto che, anche qualora si volesse ritenere applicabile il principio della parità di trattamento, sarebbero comunque legittime differenziazioni fondate sul dato oggettivo temporale e sulla conseguente diversità delle situazioni in rilievo;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. V. G. sulla base di dieci motivi, illustrati da memoria, ai quali hanno opposto difese l’Università del Salento e l’INPS.
Considerato che
1. con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 3 Cost., delle sentenze della Corte di Giustizia UE 26 giugno 2001 in causa C-212/1999 e 18 luglio 2006 in causa C-119/2004, in relazione alla L. n. 236 del 1995, art. 4, all’art. 51 CCNL 1996 comparto Università ed alla L. n. 63 del 2004, art.1; la ricorrente sostiene che la categoria degli ex lettori assunti ex d.P.R. n. 382/1980, art. 28, è transitata in quella dei collaboratori ed esperti linguistici introdotta dalla L. n. 236/1995 e che all’interno di tale nuova categoria non esiste alcuna distinzione tra collaboratori-ex lettori e collaboratori assunti dopo l’entrata in vigore del nuovo regime, venendo così a mancare di base la diversità di disciplina individuata nella sentenza impugnata; aggiunge che il contratto di ateneo dell’anno 1995, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’appello, non era relativo alla figura degli ex lettori ma, come disposto dall’art. 1, a tutto il personale con qualifica di CEL; rileva che, essendo incontestate la identità di mansioni tra i collaboratori-ex lettori ed i collaboratori di prima nomina e la parità della loro retribuzione fino al momento dell’entrata in vigore della L. n. 63 del 2004, il parametro di riferimento imposto dalla Corte di Giustizia, ossia quello tratto dalla retribuzione dei ricercatori a tempo definito, doveva essere esteso anche ai collaboratori di nuova assunzione;
2. con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 3 Cost., della L. n. 236 del 1995, del CCNL 1996 e di quelli successivi, della L. n. 63 del 2004, art. 1, dell’art. 2099 c.c. nonché del principio di non discriminazione sancito dai trattati UE e dell’art. 117 Cost. e si sostiene che la contrattazione collettiva, inquadrando i CEL nell’area tecnico-amministrativa, avrebbe svalutato la valenza didattica delle loro mansioni e fissato una retribuzione non adeguata alla loro professionalità; deduce che non a caso il contratto decentrato di ateneo dell’anno 2009 aveva riconosciuto l’equiparazione retributiva della categoria a quella del ricercatore confermato a tempo definito, equiparazione che andava estesa anche al periodo pregresso;
3. con la terza critica è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – in relazione alla violazione degli artt. 36 e 3 Cost., dell’art. 2099 c.c. e del divieto di discriminazione sancito dal diritto Europeo e la ricorrente addebita, nella sostanza, alla Corte territoriale di non avere considerato: l’assoluta identità della posizione dei CEL di nuova assunzione rispetto a quella degli ex lettori; il successivo riconoscimento da parte della stessa contrattazione collettiva (art. 22 CCNL 2003 e contratto di Ateneo 2009) della equiparazione tra CEL e ricercatori confermati a tempo definito; la natura pubblica del datore di lavoro, con i sottesi doveri di trasparenza ed imparzialità (art. 45 TU n. 165/2001);
4. il quarto motivo è proposto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 36 e 3 Cost., dell’art. 2099 c.c., in relazione al richiamo alla contrattazione collettiva nazionale ed alla contrattazione decentrata dell’anno 2009, del principio di parità di trattamento, del divieto di discriminazione; è censurata la statuizione del giudice dell’appello di adeguatezza della retribuzione in quanto fissata della contrattazione collettiva, e la ricorrente osserva che il CCNL 1996, art. 51, al quale i successivi contratti nazionali avevano fatto rinvio, era stato ritenuto non conforme al principio di non discriminazione dalla Corte di Giustizia, con la sentenza dell’anno 2006 nel proc. C-119/2004, non rilevando il fatto che quel giudizio riguardava la posizione degli ex lettori;
5. la quinta critica torna a denunciare, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in questo caso rappresentato: dalla unicità ed illegittimità della contrattazione collettiva; dall’esistenza del nuovo CCNL dell’anno 2003 e del contratto di Ateneo dell’anno 2009; dal mancato riconoscimento ai CEL fino a tutto l’anno 2008 di progressioni economiche legate alla anzianità di servizio; si torna a dedurre il carattere discriminatorio del CCNL 1996 e si evidenzia che solo con l’art. 22 CCNL 2003 e con il contratto di ateneo del 2009 era stata stabilita una retribuzione adeguata, senza tuttavia sanare il periodo pregresso;
6. con il sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., comma 1, sull’assunto che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 36 Cost., considerando come equa la retribuzione riconosciuta dalla disciplina collettiva sino all’anno 2009;
7. la settima censura è articolata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione del D.L.vo n. 165 del 2001, art. 45, in relazione alla violazione della L. n. 236 del 1995; richiamando la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui al rapporto di lavoro dei CEL è applicabile il divieto di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, la parte ricorrente assume che da tale giurisprudenza deriverebbe la applicazione ai CEL del principio di parità di trattamento contrattuale ai sensi del D.L.vo n. 165 del 2001, ex art. 45, dal quale discende la doverosità dell’equiparazione retributiva dei CEL di nuova assunzione a quelli provenienti da un precedente rapporto di impiego come lettori;
8. l’ottavo motivo denuncia l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, rappresentato dall’appartenenza dei CEL alla categoria del pubblico impiego, sempre al fine dell’applicazione del principio di parità del trattamento retributivo;
9. la nona censura è proposta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2094, 2099 e 2103 c.c. e del divieto di discriminazione stabilito dal diritto Europeo; la ricorrente sostiene di avere domandato l’adeguamento retributivo anche in ragione dell’anzianità di servizio, non riconosciuta sino al gennaio 2009, e addebita alla sentenza gravata di avere confermato la decisione di prime cure che su detta domanda non aveva espressamente statuito; assume che, negando ai CEL il riconoscimento retributivo della anzianità di servizio, applicato invece a tutti i lavoratori nazionali, la Corte territoriale sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni delle norme di diritto interno e comunitario, operando una discriminazione per cittadinanza (rispetto ai lavoratori di nazionalità italiana) nonché per ragioni di età (visto che soltanto ai CEL più giovani, assunti dopo l’anno 1995, era stato negato il riconoscimento economico);
10. infine con il decimo motivo è denunciata la violazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010 e la ricorrente, richiamata giurisprudenza di questa Corte sulla natura dell’indennità risarcitoria, sostiene che l’unica condizione richiesta è l’accertamento dell’illegittimità del termine;
11. preliminarmente rileva il Collegio che deve essere disattesa la richiesta, formulata con la memoria difensiva ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., di trattazione della causa in pubblica udienza e di invio degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, giacché vengono in rilievo questioni già esaminate in plurime decisioni di questa Corte, in relazione alle quali, per quanto si dirà nell’esame dei motivi, non si ravvisano gli estremi per disporre l’invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
12. come già ritenuto da Cass. n. 18523/2022, pronunciata in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto di causa, deve essere dichiarata l’inammissibilità del terzo, del quinto e dell’ottavo motivo di ricorso, articolati con riferimento al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., posto che le doglianze, al di là della formulazione della rubrica, attengono a questioni di diritto o alla violazione di contratti collettivi di lavoro di carattere nazionale e non all’omesso esame di fatti storici ritualmente individuati;
13. le censure, nella parte in cui denunciano il mancato esame della contrattazione di Ateneo del 2009, difettano di specificità, in quanto non riproducono il contenuto delle norme della contrattazione integrativa rilevanti né illustrano le ragioni della loro decisività rispetto alla complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla diversità di carriera degli ex-lettori rispetto ai CEL e sulla idoneità della contrattazione nazionale a costituire garanzia di retribuzione adeguata ex art. 36 Cost.;
14. inammissibile è anche il decimo motivo che difetta della necessaria riferibilità al decisum della sentenza impugnata, con la quale la domanda risarcitoria formulata ex art. 32 della legge n. 183/2010 è stata ritenuta non infondata bensì inammissibile, sul rilievo che la stessa doveva essere proposta nel giudizio, già definito con sentenza n. 3160/2011 della stessa Corte d’Appello, avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità dei termini apposti ai contratti a tempo determinato intercorsi fra le parti; il motivo non individua l’error in procedendo nel quale, così ragionando, la Corte distrettuale sarebbe incorsa, non eccepisce la nullità in parte qua della sentenza impugnata e svolge considerazioni che attengono alla fondatezza nel merito della domanda (non a caso è denunciata ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010) e non alla sua ammissibilità;
15. per il resto, le censure sono infondate, per le ragioni già indicate dalla citata Cass. n. 18523/2022, in continuità con un orientamento espresso da plurime decisioni di questa Corte (Cass. n. 18346/2020, Cass. n. 12877/2020, Cass. n. 8617/2020 e giurisprudenza ivi citata);
16. dalla ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale che si legge nella motivazione di Cass. n. 16464/2022, alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., emerge con evidenza che sia le pronunce della Corte di Giustizia, sia gli interventi normativi che alle stesse hanno fatto seguito, hanno riguardato unicamente la categoria degli ex lettori, assunti ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, divenuti collaboratori linguistici ai sensi del d.l. n. 120/1995, convertito dalla legge n. 236/1995, e della decretazione d’urgenza non convertita, della quale lo stesso d.l. aveva conservato gli effetti;
16.1. ha osservato, in particolare, Cass. n. 12877/2020, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. n. 6341/2019 e Cass. n. 28502/2019, che ai collaboratori esperti linguistici assunti ai sensi del richiamato d.l. n. 120/1995 è riservato il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e non già quello dettato dalla diversa disciplina di cui al d.l. n. 2 del 2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 63 del 2004, applicabile solo ai collaboratori linguistici ex lettori di madrelingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del d.P.R. n. 382 del 1980;
16.2. il principio di diritto, che trova riscontro anche nella motivazione dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 38/2012, è stato affermato valorizzando, da un lato, il tenore letterale della norma e del successivo intervento di interpretazione autentica, dall’altro la ratio della stessa, finalizzata a dettare un criterio oggettivo per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, che rispondesse alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia con la sentenza 26 giugno 2001, in causa C-212/99, che aveva censurato lo Stato italiano per non «aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali»;
16.3. si tratta, quindi, di una finalità chiaramente non ravvisabile per i collaboratori esperti linguistici assunti ab origine sulla base della normativa dettata dal richiamato d.l. n. 120/1995, con il quale il legislatore, pur qualificando il contratto di diritto privato, in linea con il processo di contrattualizzazione dell’impiego pubblico già all’epoca in atto, ha abilitato la contrattazione collettiva a fissare il trattamento retributivo dei collaboratori, non equiparabili ai docenti universitari, perché chiamati a soddisfare «esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche» (art. 4 d.l. 120/1995) e, quindi, a svolgere una funzione che, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche (Cass. n. 5909/2005 e Cass. n. 18709/2019);
16.4. la disciplina dettata presuppone, dunque, una transizione dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica, diversamente disciplinati pur nella sostanziale continuità delle figure professionali coinvolte, e non può venire in rilievo nei casi in cui il collaboratore non abbia mai stipulato un contratto ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980;
17. gli argomenti sviluppati nel ricorso e nella memoria difensiva non sono idonei ad indurre una rimeditazione dell’orientamento già espresso, perché infondatamente assumono, da un lato, l’asserito carattere discriminatorio della disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici e, dall’altro, l’inadeguatezza della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva, per non avere tenuto conto di quella, di diverso e maggiore ammontare, goduta dai ricercatori universitari a tempo definito;
17.1. quanto al primo aspetto va evidenziato che il legislatore con il d.l. n. 120/1995, pur qualificando il rapporto di natura privatistica, ha rinviato alla contrattazione collettiva che, in ragione della natura pubblica del datore di lavoro, è quella di comparto, disciplinata, all’epoca, dall’art. 45 del d.lgs. n. 29/1993 e, successivamente, dagli artt. 40 e seguenti del d.lgs. n. 165/2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo;
17.2. il rinvio alla contrattazione collettiva non realizza alcuna discriminazione in ragione della nazionalità e, al contrario, è pienamente in linea con i principi che, all’esito della privatizzazione dei rapporti di impiego pubblico, ispirano la disciplina dell’impiego contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, principi che la Corte Costituzionale ha più volte richiamato e valorizzato;
17.3. la recente Corte Cost. n. 253/2022 ha ribadito che «L’attribuzione alla contrattazione collettiva della disciplina della retribuzione nel rapporto di lavoro pubblico costituisce indubbiamente principio ispiratore e conformativo della riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, avviata dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e sistematizzata con il d.lgs. n. 165 del 2001. L’esercizio di tale funzione regolatoria da parte dell’autonomia collettiva, nel contrastare fenomeni sperequativi tra i diversi settori della pubblica amministrazione, è funzionale sia ad un incisivo controllo delle dinamiche del costo del lavoro pubblico, sia ad una più efficiente e tendenzialmente unitaria gestione del personale nei vari settori….»;
17.4. in ragione del ruolo centrale che la contrattazione collettiva assume nell’impiego pubblico privatizzato questa Corte da tempo ha affermato che il principio di parità di trattamento vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva ma non costituisce parametro per giudicare le eventuali differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali (Cass. nr. 2718/2020; Cass. nr. 6553/2019 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. nr. 19043/2017, Cass. nr. 1037/2014, Cass. nr. 10105/2013, Cass. nr. 4971/2012);
17.5. la previsione di un trattamento differenziato per i collaboratori esperti linguistici di nuova assunzione rispetto a quelli che in precedenza avevano ricoperto la qualifica di lettori non contrasta, dunque, né con il diritto interno né con quello eurounitario, perché tutte le pronunce della Corte di Giustizia intervenute sulla disciplina dettata per i lettori di lingua straniera hanno riguardato il passaggio dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica e sono state rese sulla premessa di un trattamento differenziato rispetto a quello riservato ai lavoratori di nazionalità italiana, condizione questa che, per quanto evidenziato nel punto che precede, non ricorre nella fattispecie;
18. alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve, poi aggiungere che infondatamente la ricorrente assume che, in ragione della qualità della prestazione resa, la retribuzione dei collaboratori esperti linguistici dovrebbe essere equiparata a quella dei ricercatori universitari;
18.1. anche sul punto questa Corte (si rimanda fra le tante a Cass. n. 18709/2019) si è già espressa evidenziando che sia l’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, sia l’art. 4 del d.l. n. 120/1995, nel prevedere, rispettivamente, l’assunzione di lettori di madre lingua straniera «in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti» e di C.E.L., per soddisfare «esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche» evidenziano una sostanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti, perché la prima, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere funzione strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche;
18.2. la sostanziale diversità delle prestazioni a confronto non consente l’invocata parificazione e detta conclusione non è smentita, bensì è confermata, dal d.l. n. 2/2004 che alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito ha fatto riferimento solo in via parametrica e prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore);
18.3. va, poi, ribadito che quel parametro è stato indicato dal legislatore italiano e ritenuto congruo dalla Corte di Giustizia (sentenza 18 luglio 2006, in causa C-119/04, punti 36 e 37) all’esclusivo fine di individuare «un criterio oggettivo, che permette di far fronte alle difficoltà inerenti ad una valutazione caso per caso della carriera di tutti gli ex lettori» (Corte UE, cit. punto 36) in un contesto in cui, a seguito dell’abrogazione dell’art. 28 d.P.R. n. 382/1980 e della disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici dal d.l. n. 120/1995, si era passati da un sistema nel quale il trattamento retributivo era rimesso ai singoli Atenei, ai quali era imposto solo un limite massimo non superabile (commi 4 e 5 del richiamato art. 28), ad una nuova disciplina che, in linea con quella dell’impiego pubblico privatizzato, ha riservato alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione spettante per l’esercizio delle funzioni strumentali e di supporto rispetto all’attività didattica;
18.4. un’analoga esigenza si è posta per i cosiddetti «lettori di scambio» divenuti C.E.L., dei quali le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate con la sentenza n. 21972/2017, pronuncia che non può essere invocata nella fattispecie, sia perché le Sezioni Unite, diversamente da ciò che afferma la ricorrente nella memoria difensiva, sull’applicazione del parametro fissato dal d.l. n. 2/2004, utilizzato dalla Corte territoriale, si sono limitate a prendere atto della non contestazione da parte dell’Università (punto 24 di pag. 25), sia in quanto in quel caso l’estensione analogica poteva essere giustificata dall’eguale passaggio fra due diversi regimi e dalla necessità di ottemperare alle indicazioni date dalla Corte UE con la sentenza 15 maggio 2008, in causa C-276/07 (secondo cui «l’art. 39, n. 2, CE osta a che, nell’ambito della sostituzione di un contratto di lavoro a tempo determinato come lettore di scambio con un contratto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratore linguistico, una persona che si trovi nella situazione della ricorrente nella causa principale si veda negare il riconoscimento dei diritti acquisiti sin dalla data della sua prima assunzione, con conseguenze per quanto riguarda la retribuzione, il calcolo dell’anzianità e il versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, laddove un lavoratore nazionale in una situazione analoga avrebbe beneficiato di un siffatto riconoscimento.»);
19. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore dell’Università del Salento, liquidate come da dispositivo;
19.1. va disposta, invece, la compensazione delle spese quanto al rapporto processuale con l’INPS che, pur avendo notificato controricorso, non ha svolto alcuna attività difensiva, limitandosi a dare atto delle richieste della ricorrente ed a rimettersi alle decisioni della Corte;
20. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore dell’Università del Salento, liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Compensa le spese del giudizio di cassazione quanto al rapporto processuale con l’INPS.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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