Corte di Cassazione ordinanza n. 13983 depositata il 3 maggio 2022

cittadini non residenti – competenza ufficio 

FATTI DI CAUSA

1. La contribuente C.A., iscritta all’A.I.R.E. e residente nel Principato di Monaco, ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2007, con il quale venivano accertati, a seguito di indagini finanziarie ex 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 eseguite in relazione a un conto corrente acceso in Italia e all’utilizzo di carte di credito intestate a società di cui la contribuente era socia e amministratrice, maggiori redditi prodotti in Italia, recupero di maggiore IRPEF, addizionali e irrogazione di sanzioni. L’avviso di accertamento veniva emesso dall’Agenzia delle Entrate di Prato, luogo di elezione di domicilio della contribuente indicato nella dichiarazione dei redditi.

2. La contribuente ha dedotto – per quanto qui rileva – l’incompetenza dell’Ufficio che aveva proceduto all’accertamento, essendo l’ultima residenza della contribuente indicata in Firenze; la contribuente ha, inoltre, dedotto la violazione del contraddittorio endoprocedimentale per non essere stata informata con processo verbale di contestazione degli accertamenti, nonché l’infondatezza dell’accertamento nel merito.

3. La CTP di Prato ha respinto il ricorso.

4. La CTR della Toscana, con sentenza in data 27 febbraio 2017, ha rigettato l’appello della Il giudice di appello ha ritenuto che la competenza per gli accertamenti in Italia di soggetto residente nel Principato di Monaco si determini in base alla residenza fiscale indicata dalla contribuente in Italia nella dichiarazione. Ha, poi, rigettato la preliminare eccezione di difetto di contraddittorio endoprocedimentale, essendo il contraddittorio riservato al caso di accesso presso la sede del contribuente e non per le verifiche effettuate tramite accertamenti bancari.

5. Propone ricorso per cassazione la contribuente, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

6. La causa è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza in data 13 ottobre

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 31 e 58 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto la competenza dell’Agenzia delle Entrate di Prato sulla base del domicilio dichiarato dalla La ricorrente osserva che, a termini dell’art. 31, secondo comma, d.P.R. n.600/1973, la competenza per l’accertamento dei maggiori redditi spetta all’Ufficio distrettuale ove si trova il domicilio fiscale e che, a termini dell’art. 58 d.P.R. ult. cit., i cittadini italiani residenti in Paesi a fiscalità privilegiata ex art. 2, comma 2-bis d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato, che nella specie sarebbe il Comune di Firenze, come avvenuto per avvisi di accertamento di precedenti periodi di imposta. Sotto un secondo profilo, la ricorrente deduce che la competenza per i contribuenti non residenti, ancorché residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, dovrebbe individuarsi nel Comune di produzione del reddito o, in ogni caso, nel luogo di produzione del reddito più elevato. Ne conseguirebbe che – essendo il maggior reddito accertato relativo a maggiori redditi diversi risultanti da movimentazioni bancarie presso un istituto bancario in Firenze – la competenza sarebbe in ogni caso dell’Agenzia delle Entrate di Firenze. Osserva, infine, che l’avere l’Ufficio accertato maggiori redditi tramite l’Agenzia delle Entrate di Firenze in precedenti periodi di imposta comporterebbe violazione del principio di affidamento a termini dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212.

1.2 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 24 l. 7 gennaio 1929, 4, dell’art. 12 l. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione ai medesimi profili, osservando come l’atto impositivo non sarebbe stato preceduto da PVC, la cui redazione sarebbe obbligatoria per ogni genere di attività ispettiva, comprese le verifiche «a tavolino» e quelle bancarie.

1.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ. violazione o falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973, per mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti ai fini dell’accertamento del maggior reddito. Osserva la ricorrente che il maggior reddito sarebbe stato accertato in base al fatto che la contribuente rivestisse cariche di amministratore e socia in alcune società operanti in Italia nel campo della moda, società dalle quali la contribuente non avrebbe percepito compensi. La ricorrente contesta all’Ufficio di non avere verificato l’estraneità delle movimentazioni bancarie a redditi della «sfera societaria», il che avrebbe comportato che l’unica presunzione addotta dall’Ufficio si sarebbe tradotta nella mera detenzione di un conto corrente in Italia sul quale sono affluite diverse movimentazioni, insufficiente a costituire elemento indiziario dotato di pregnanza indiziaria.

2. Il primo motivo è fondato nei termini che seguono. Dispone l’art. 31, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973 che «la competenza spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del oggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata». Tale norma determina la competenza a procedere all’accertamento per relationem in base al domicilio fiscale del contribuente, individuato a sua volta, a termini dell’art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, in virtù del Comune di residenza anagrafica («Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte»). Ai contribuenti persone fisiche residenti in Italia il legislatore equipara, poi, le persone fisiche nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria accerti che, benché non residenti, abbiano avuto in Italia «per la maggior parte del periodo di imposta» il domicilio, inteso come la sede dei propri affari (art. 2, comma 2, TUIR), riconoscibile ai terzi (Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11620). La ratio del combinato disposto di queste norme è quella di agganciare la competenza territoriale degli uffici alla residenza del contribuente, di diritto o di fatto a termini dell’art. 2, comma 2, TUIR. Per tutti questi contribuenti persone fisiche, residenti in Italia o di cui si accerti la residenza fiscale in Italia, si rende applicabile il principio della tassazione in Italia e al conseguente pagamento delle imposte in Italia sui redditi ovunque conseguiti (worldwide income taxation principle), vuoi perché formalmente residenti in Italia, vuoi perché sia accertata in Italia la residenza fiscale ex art. 2, comma 2, TUIR in base a uno dei tre alternativi criteri previsti da tale disposizione e, quindi, in costanza di una fittizia residenza all’estero del contribuente (Cass., V, 22 giugno 2021, n. 17849).

3. Per i cittadini non residenti, o per i quali l’Ufficio non ritenga di accertare la residenza in Italia, si applica il diverso principio della tassazione del solo reddito prodotto in Italia (cd. principio della fonte o source principle), la cui competenza per l’accertamento spetta all’Ufficio distrettuale del Comune in cui è stato prodotto il reddito, ovvero a quella del Comune dove è stato prodotto il reddito più elevato (art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973). La residenza fiscale in Italia, come osservatosi in dottrina, assurge a presupposto necessario e sufficiente per l’applicazione del principio secondo cui la persona fisica sconta l’imposta per i redditi ovunque prodotti nel Ove questa residenza fiscale non sia accertata in Italia, si applica il criterio residuale del reddito prodotto in Italia (art. 3 TUIR: «l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti […] e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato»).

4. A tali disposizioni si aggiunge l’art. 2, comma 2-bis TUIR, introdotto dall’art. 10 l. 23 dicembre 1998, n. 448, il quale prevede che «si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale». Tale norma, avente finalità antielusiva, non introduce un ulteriore criterio di individuazione della residenza fiscale, ma si limita a invertire sul contribuente l’onere della prova circa la effettiva residenza estera del contribuente, ove egli risieda formalmente in Paesi a fiscalità privilegiata e ove l’Ufficio ritenga che il contribuente abbia conservato la residenza fiscale in Italia. Non costituendo tale norma un tertium genus di criterio di collegamento tra contribuente e territorio dello Stato, bensì una mera inversione dell’onere della prova circa la residenza all’estero (a carico del contribuente), tale disposizione si applica al solo caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti come fittizia la residenza all’estero (nel Paese a fiscalità privilegiata). Ove, invero, non vi sia contestazione da parte dell’Ufficio della residenza estera, la norma non si applica e il contribuente risulterà residente all’estero, applicandosi il principio della tassazione della fonte di reddito.

5. Da tale quadro normativo emerge che ai contribuenti iscritti all’A.I.R.E. per i quali l’Ufficio non accerti la sussistenza della residenza effettiva in Italia e per i quali non contesti la residenza al di fuori del territorio dello Stato, si applica il principio della tassazione del reddito prodotto in Italia. Questo principio è applicabile sia ai contribuenti residenti nei Paesi non rientranti in black list per i quali non si accertino i presupposti di cui all’art. 2, comma 2, TUIR, sia ai contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio non contesti l’effettiva residenza anagrafica e, pertanto, per i quali non si faccia applicazione dell’art. 2, comma 2-bis

6. Tale interpretazione non contrasta con l’ulteriore disposizione dell’art. 10, l. n. 448/1998, cit., che ha introdotto all’art. 58, secondo comma, P.R. n. 600/1973 un ulteriore periodo, secondo cui «i cittadini italiani (…) considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato». Tale norma si limita a stabilire che, per i contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio predichi la residenza in Italia (e, quindi, la apparenza della residenza estera) in applicazione dell’art. 2, comma 2-bis TUIR (quindi, nei casi in cui tale disposizione normativa entri concretamente in gioco), la competenza all’accertamento dei maggiori redditi, ovunque prodotti, spetti in ogni caso – al pari dei cittadini non residenti – all’Ufficio di ultima residenza in Italia. La norma coniuga il principio secondo cui il cittadino, all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., recide formalmente i legami con il territorio dello Stato, con il principio della domiciliazione in Italia dei contribuenti residenti in Paesi in black list quale presunzione semplice, domiciliazione che viene individuata nel luogo di ultima residenza anagrafica all’atto della cancellazione dall’anagrafe residenti. Il presupposto dell’applicazione di tale disposizione è che l’Ufficio invochi la presunzione di cui all’art. 2, comma 2-bis TUIR al fine di dedurre la fittizia residenza nel Paese in black list. Se si opinasse diversamente, dovrebbe ritenersi che il cittadino residente in uno dei Paesi in black list sarebbe presuntivamente sempre residente in Italia, laddove la norma viene in oggetto solo ove l’Ufficio contesti la residenza estera del contribuente e invochi, a proprio vantaggio, una norma che inverte l’onere della prova sul contribuente, senza creare un ulteriore criterio di collegamento tra territorio dello Stato e contribuente.

7. Riassuntivamente, deve concludersi che l’applicazione della presunzione semplice di residenza in Italia di cui all’art. 2, comma 2- bis TUIR opera unicamente ove vi sia contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la dissociazione tra il dato formale dell’iscrizione all’A.I.R.E. conseguente alla fissazione di residenza in un Paese in black list e il dato sostanziale della effettiva residenza fiscale del contribuente. Ove, invero, non vi sia contestazione alcuna che la cancellazione dall’Anagrafe residenti abbia, comunque, reciso i legami del contribuente con il territorio dello Stato, non può negarsi l’applicazione al criterio, residuale, della mera tassazione in Italia del solo reddito prodotto dal cittadino non residente. 

8. Da tale conclusione deve trarsi il corollario secondo cui, non essendo in contestazione (in tesi) la residenza estera della contribuente, né – di conseguenza – l’avvenuto troncamento del rapporto di domiciliazione tra la contribuente odierna ricorrente e il territorio dello Stato, non può avere alcun rilievo in tesi nel caso di specie – ancorché la contribuente sia residente in un Paese a fiscalità privilegiata – l’elezione di domicilio ai fini dell’accertamento del domicilio effettivo della contribuente, ancorché in luogo diverso dall’ultima residenza anagrafica all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., non essendo applicabile per i cittadini non residenti il criterio della tassazione del reddito ovunque posseduto, bensì quello del luogo di produzione del reddito, che prescinde dall’eventuale domicilio dichiarato dal contribuente.

9. Deve, pertanto, ritenersi fondato (e correttamente enunciato) il secondo profilo dedotto dalla ricorrente, ove afferma che il criterio che radica la competenza dell’Ufficio è quello del luogo del reddito prodotto e non quello del domicilio dichiarato. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto:

«In caso di contribuente residente in Paesi a fiscalità privilegiata, ove l’Ufficio non contesti la residenza del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che abbia rilievo l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia». La sentenza impugnata, nella parte in cui ha inteso dare rilievo al luogo di elezione di domicilio della contribuente (Prato) è incorsa in falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 31, 58 d.P.R. n. 600/1973, in quanto ha dato rilievo a un elemento, il domicilio fiscale in Italia della contribuente, in tesi irrilevante, trattandosi di soggetto residente all’estero.

10. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al primo motivo e, previo assorbimento degli ulteriori motivi, la causa va rinviata alla CTR a quo, in diversa composizione, per l’accertamento del luogo di maggior produzione del reddito in Italia, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli ulteriori motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.