Corte di Cassazione ordinanza n. 13994 depositata il 3 maggio 2022
motivazione apparente – mancata esplicitazione del fondamento logico e normativo
FATTI DI CAUSA
1. Risulta dalla sentenza impugnata che il 30 luglio 1984 la STET s.p.a. (successivamente, a seguito di incorporazione, Telecom Italia s.p.a.) presentò, relativamente al periodo d’imposta 1983, dichiarazione dei redditi Mod.760/84, con la quale:
- ai fini del calcolo del rapporto di indeducibilità degli interessi passivi ex 58 e 74, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, qualificò come reddito esente da Irpeg il 60 % del dividendo ricevuto dalla SOFTE, consociata estera residente in Lussemburgo;
- relativamente ai dividendi ricevuti da consociate residenti in Italia e incassati nell’anno di imposta 1983, calcolò un credito di imposta pari al 42,85 % dei dividendi stessi.
Tuttavia, nella medesima dichiarazione, la contribuente formulò una riserva scritta di rettifica, cui diede seguito con successiva istanza di rimborso, presentata il 3 novembre 1984, con la quale chiese la riliquidazione della dichiarazione, sostenendo che il dividendo ricevuto dalla SOFTE dovesse considerarsi, ai fini del rapporto di indeducibilità degli interessi passivi, come interamente concorrente alla formazione del reddito imponibile, con conseguente minor recupero a tassazione da parte dell’Ufficio.
Infatti l’art. 58 del d.P.R. n. 597 del 1973 ammetteva la deducibilità degli interessi passivi per la parte corrispondente al rapporto tra ( al numeratore) l’ammontare dei ricavi che concorrono a formare il reddito di impresa e ( al denominatore) l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, anche se non imponibili perché esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. Nel calcolare questo rapporto la contribuente aveva prudenzialmente considerato il 60 % dei dividendi provenienti da SOFTE come reddito non imponibile, anche ai sensi dell’art. 58 d.P.R. n. 597 del 1973, in quanto, in base all’art. 6, terzo comma, legge 16 dicembre 1977, n. 904, gli utili distribuiti da società collegate ai sensi dell’ articolo 2359 cod. civ. non residenti in Italia concorrevano a formare il reddito imponibile per il 40 % del loro ammontare.
Solo nella successiva istanza di rimborso la contribuente – anticipando quanto espressamente dirà poi l’art. 63, comma 2, lettera d) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, con effetto dall’1 gennaio 1988- aveva ritenuto l’intero ammontare dei dividendi distribuiti da SOFTE come imponibile, ai fini della determinazione delle quote indeducibili di interessi passivi. Conseguentemente dalla riliquidazione del suddetto rapporto, il cui numeratore risultava di maggiore entità rispetto a quanto previsto nella iniziale dichiarazione, era conseguita una significativa variazione in diminuzione delle somme dovute a titolo di imposta, con conseguente istanza di rimborso.
Con la medesima istanza, la contribuente chiese inoltre una nuova liquidazione del credito Irpeg che, rideterminato nella misura del 56,25% dei dividendi incassati, piuttosto che in quella del 42,85 % , corrispondeva ad una maggior somma. Infatti, ai sensi dell’art. 2, primo comma, legge 25 novembre 1983, n. 649 il credito Irpeg riconosciuto alle persone giuridiche, con decorrenza dal periodo d’imposta in corso all’ 1 dicembre 1983, veniva stabilito nella misura uniforme di nove sedicesimi (56,25 %) degli utili che concorrono a formare il reddito imponibile dei soci.
L’Agenzia delle entrate non concesse alcun rimborso.
2. Avverso il diniego opposto dall’Ufficio, la STET s.p.a. propose ricorso che la Commissione tributaria di primo grado di Torino, ritenendo fondata l’ istanza di rimborso, accolse integralmente. Tale decisione venne poi confermata dalla Commissione Tributaria di secondo grado di
3. L’Ufficio ha successivamente impugnato la sentenza di secondo grado e l’adita Commissione tributaria centrale, sezione di Torino, ha accolto il relativo ricorso con la sentenza di cui all’epigrafe.
4. La contribuente ha quindi proposto ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria centrale, ed ha successivamente depositato
5. L’Ufficio si è costituito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo la contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 37 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. civ., per avere la Commissione tributaria centrale di Torino formulato una motivazione assolutamente inconferente rispetto alle questioni oggetto del giudizio di merito e non idonea a rendere palese la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata.
1.1 Il motivo è fondato e va accolto.
Infatti «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; conforme, ex multis, Cass. 12/10/2017, n. 23940).
Nel caso di specie, la Commissione tributaria centrale ha così argomentato l’accoglimento del ricorso presentato dall’Ufficio: “il Collegio, esaminata la documentazione in atti, ritiene di accogliere il ricorso dell’Ufficio. Per quanto riguarda gli interessi maturati sui crediti d’imposta, si ritiene che tali interessi non debbano essere assoggettati ad IRPEG o ILOR in quanto hanno natura compensativa e pertanto non possono essere qualificabili come reddito di capitale o reddito d’impresa. (…) In punto al credito d’imposta sul dividendo della partecipazione, il Collegio ritiene che correttamente abbia operato l’amministrazione con il (silenzio) diniego al rimborso di crediti d’imposta sui dividendi. Ciò in quanto il meccanismo del credito d’imposta sui dividendi, introdotto dall’articolo 1 della legge 904 del 13 dicembre 1977, si calcolava sull’ammontare lordo dei dividendi, non era applicabile nel caso di cedolare secca, mentre per i dividendi relativi a società non residenti, la tassazione dell’utile era, in sede di produzione, di pertinenza di altri Stati”.
1.2 Invero il thema decidendum principale della controversia si incentrava sulla questione se i dividendi delle società estere controllate dalla contribuente, ai fini del calcolo proporzionale (disciplinato dall’art.58 P.R. n. 597 del 1973) della percentuale di interessi passivi deducibile, andassero considerati per l’intera parte soggetta a tassazione, comprendendo anche il 60% esente, con applicazione retroattiva dell’art. 63, comma 2, lettera d) d.P.R. n. 917 del 1986.
Ebbene, sul punto la decisione resa dalla Commissione centrale, come dedotto sia dalla ricorrente che dal Procuratore generale, è nella sostanza priva di effettiva motivazione, atteso che l’argomentazione giuridica che dovrebbe sorreggerla è oggettivamente incomprensibile, in quanto ha per oggetto una questione del tutto estranea al thema decidendum. Infatti, la problematica relativa all’ assoggettabilità ad Irpeg ed Ilor degli interessi attivi maturati sui crediti di imposta non ha nulla a che vedere con il rapporto di indeducibilità degli interessi passivi di cui all’art. 58 e 74 d.P.R. n. 597 del 1973. Quindi quest’ultimo profilo, oggetto del ricorso di cui la Commissione dispone l’accoglimento, risulta invero sprovvisto di qualsiasi apparato motivazionale.
1.3 Per quanto concerne poi la questione, pure parte del thema decidendum, del riconoscimento del maggior credito d’imposta in ragione dell’applicabilità dell’art. 2, primo comma, legge n. 649 del 1983, risulta obbiettivamente incomprensibile l’argomentazione del giudice a quo, che si esaurisce nell’affermazione che tale credito si calcola “sull’ammontare lordo dei dividendi” e che “non era applicabile nel caso di cedolare secca”. Non è invero comprensibile quale sia l’iter logico seguito dalla Commissione centrale, non essendo chiaro come i profili richiamati incidano sul regime applicabile ai crediti di imposta per le dichiarazioni aventi ad oggetto il periodo d’imposta 1983. In particolare, non viene esplicitato quale sia il fondamento logico e normativo dell’ applicazione al caso di specie, da un lato, della cedolare secca, regime che a detta del giudice di merito escluderebbe l’applicazione del meccanismo del credito d’imposta, e, dall’altro, della liquidazione del credito d’imposta sull’ammontare lordo dei dividendi. Inoltre la motivazione impugnata non spiega come questi dati possano incidere sul regime impositivo di cui all’art. 1 legge n.904 del 1977, successivamente modificato dall’ art. 2, primo comma, legge n. 649 del 1983.
All’accoglimento del motivo consegue pertanto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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