Corte di Cassazione ordinanza n. 14154 depositata il 4 maggio 2022
violazioni sostanziali – violazioni formali -violazioni meramente formali -sanzioni
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della società Parker Hannifin Manufacturing Srl atto di contestazione per l’irregolare tenuta dei registri Iva, per l‘irregolare compilazione degli elenchi Intrastat e, infine, per l’omessa autofatturazione di operazioni imponibili, tutte violazioni relative al periodo d’imposta 2005.
L’impugnazione della contribuente, limitata al primo e al terzo rilievo, era accolta dalla CTP di Milano quanto alla contestata violazione del regime del reverse charge. La sentenza era confermata dal giudice d’appello, che riteneva la violazione meramente formale per l’assenza di danni al fisco per l’assenza del debito tributario.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con un motivo, cui Hannifin Manufacturing Srl resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato con tre motivi.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va disattesa, preliminarmente, l’eccepita improcedibilità del ricorso per il mancato deposito di copia della sentenza priva della relata di notifica, avvenuta in data 18 giugno 2015.
L’eccezione, dedotta con il controricorso, resta infatti superata dalla avvenuta allegazione della decisione della CTR con la relata di notifica da parte della stessa contribuente.
È ben vero, infatti, che qualora, per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio, risulti che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, il mancato deposito della copia con la notifica determina l’improcedibilità del ricorso (v. già Sez. U, n. 9004 e n. 9005 del 16/04/2009; da ultimo v. Cass. n. 20883 del 15/10/2015).
Occorre tuttavia osservare che, come ormai più volte affermato dalle stesse Sezioni Unite, «in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Sez. U, n. 10648 del 02/05/2017; Sez. U, n. 4370 del 14/02/2019; v. anche Cass. n. 19695 del 22/07/2019).
2. L’unico motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 10, comma 3, l. n. 212 del 2000, 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 472 del 1997 e 6, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 per aver la CTR ritenuto meramente formale la violazione per l’omessa
3. Il motivo, oltre che ammissibile, avendo l’Ufficio riprodotto l’intera decisione impugnata e specificamente indicato quanto statuito dalla CTR, censurando, con chiarezza, l’erroneità della tesi giuridica del giudice di merito sulla natura della violazione, è
3.1 Ha carattere preliminare, invero, la disamina dei seguenti tre profili: a) caratteristiche del regime dell’inversione contabile o reverse charge (cd. autofatturazione); b) distinzione tra violazioni sostanziali, formali e meramente formali; c) specificità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione.
4. Quanto alla prima questione – il regime del reverse charge – appare opportuno partire dalle modalità di assolvimento ordinario dell’imposta.
4.1 Nel sistema ordinario dell’Iva, infatti, il prestatore/cedente applica l’aliquota in fattura che addebita al committente/cessionario e poi versa la somma all’erario, mentre il secondo, che ha ricevuto la fattura e pagato l’Iva al primo, matura un corrispondente diritto di detrazione verso lo Stato.
Tale modalità è derogata in alcuni casi, per i quali l’ordinamento interno e unionale ha previsto il diverso sistema del reverse charge (o inversione contabile).
Giova sottolineare che l’istituto, regolato, specialmente, dall’art. 17 d.P.R. n. 633 del 1972 (in particolare, dai commi 5 e 6), assolve, nella sua concezione originale e tradizionale, allo scopo di permettere l’ingresso nel sistema contabile delle operazioni rilevanti ai fini Iva in Italia realizzate da imprese non residenti (in ispecie, per operazioni intracomunitarie come quelle alla base della vicenda in giudizio) (cd. reverse charge esterno)
Accanto a questa finalità, invero, si è progressivamente valutato il modello in questione come risposta alle esigenze di contrasto alle frodi perché idoneo ad evitare un incontrollato (ed abusivo) esercizio del diritto di detrazione (v. l’art. 199 quater della Dir. 2006/112/CE, introdotto con l’art. 1 Dir. 2018/2057/UE, che ha introdotto una più vasta applicazione dell’istituto).
Orbene, il meccanismo così contemplato sposta sul cessionario l’onere di versare l’Iva: in particolare, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l’Iva in fattura e non è debitore verso l’erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l’Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite.
Per consentire, poi, il sorgere e l’esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui all’art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972), l’annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità.
In termini essenziali, si può dire che il regime in questione addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta) l’onere di pagare l’Iva sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo.
4.2 La peculiarità del meccanismo non interferisce, peraltro, con l’obbligatorietà e tempestività dell’emissione dell’autofattura che – come la fattura – deve essere emessa, ai sensi dell’art. 21, quarto comma, P.R. n. 633 del 1972, «al momento di effettuazione dell’operazione determinata a norma dell’art. 6» del medesimo d.P.R., obbligo che, anzi, resta rafforzato dalla previsione, in caso di reverse charge, di specifici adempimenti (art. 17, quinto comma) idonei a consentire la regolare e compiuta ricostruzione delle operazioni effettuate, quali la duplice registrazione e l’integrazione della fattura ricevuta entro termini determinati (entro il mese del ricevimento o anche successivamente ma entro 15 giorni dal ricevimento).
L’autofattura e il documento ricevuto dal cedente, debitamente integrato, vanno, infatti, annotati dal cessionario o committente sul registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi ex artt. 23 e 24 d.P.R. n. 633 del 1972, mentre l’annotazione sul registro degli acquisti ex art. 25 rileva ai fini della successiva detrazione, sì da assicurare la neutralità dell’operazione.
5. Il secondo profilo – la distinzione tra le diverse tipologie di violazioni – è di rilievo decisivo nel presente giudizio.
5.1 Va dato atto, sul punto, che la distinzione tra le diverse situazioni, già oggetto di reiterati interventi di questa Corte (v. da ultimo n. 16450 del 10/06/2021; Cass. n. 28938 del 17/12/2020), deve ritenersi ancorata alle seguenti caratteristiche:
– le violazioni sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento;
– le violazioni sono formali se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento;
– le violazioni sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, sull’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo.
Si è poi precisato, ai fini della concreta distinzione tra diverse ipotesi, che tra violazioni formali e violazioni meramente formali la valutazione «deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento» (Cass. n. 28938/2020 cit.) e, dunque, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione.
Viceversa, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali «è necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo» (Cass. n. 16450/2021 cit.).
6. Occorre tener conto, infine, della peculiarità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione e reverse charge – già oggetto di specifica considerazione da parte di questa Corte con la recente sentenza 1690 del 20/01/2022 -, la quale si caratterizza per l’assenza, in linea di principio, di un omesso versamento dell’imposta e si interseca, nella sua evoluzione, con i principi affermati, a più riprese, dalla Corte di Giustizia.
6.1 La violazione degli obblighi di autofatturazione, infatti, era regolata, fino al 31.12.2007, dalla disposizione generale di cui all’art. 6, comma 1, lgs. n. 471 del 2007, per la quale «Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio».
6.2 L’art. 1, comma 155, n. 244 del 2007, peraltro, ha introdotto, con vigenza dal 1° gennaio 2008, il comma 9-bis all’art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, che, nella sua formulazione originaria, irrogava la medesima sanzione al cessionario o committente, nonché al cedente o prestatore, che «non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile», e introduceva una sanzione meno gravosa (pari al 3%) ove l’imposta fosse stata assolta ancorché irregolarmente.
6.3 La materia è stata poi oggetto di un articolato intervento da parte del legislatore con il d.lgs. n. 158 del 2015 – qui in rilievo quale ius superveniens indicato, oltre che dalla contribuente nella memoria depositata, dallo stesso Procuratore Generale nelle sue conclusioni ed applicabile per il principio del favor rei -, per cui la disciplina in questione risulta oggi strutturata su una ipotesi di carattere generale (art. 6, comma 9 bis, oggetto di riformulazione e con un trattamento sanzionatorio più mite) e su alcuni regimi speciali (in particolare, i commi 9 bis.1, 9 bis.2 e 9 bis.3, non rilevanti ai fini del presente giudizio), con una sempre più chiara traslazione sul piano sanzionatorio della reazione dell’ordinamento all’illiceità della condotta e con il contestuale riconoscimento della possibilità di detrazione dell’imposta.
Giova sottolineare che tale assetto appare in linea con le pronunce della Corte di Giustizia che ha ritenuto il regime di “autoliquidazione” (istituito già con l’art. 21, par. 1, lett. d), dir. n. 77/388/CEE) idoneo ad assicurare la neutralità dell’imposizione, senza perdita del diritto di detrazione, sempreché gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, e ciò anche se taluni obblighi formali sono stati invece omessi dai soggetti passivi (v. Corte di Giustizia, sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, Idexx Laboratoires Italia, sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland; da ultimo, sentenza 18 marzo 2021, in C-895/19, Dyrektor Krajowej Informacji Skarbowej), restando però salva la possibilità per il legislatore nazionale di «corredare gli obblighi formali dei soggetti passivi di sanzioni tali da incoraggiare questi ultimi a rispettare detti obblighi al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema dell’IVA», ferma la necessaria osservanza di criteri di proporzionalità (Corte di Giustizia, sentenza 26 aprile 2017, in C-564/15, Tibor Farkas, par. 59 e ss.; sentenza 2 luglio 2020, in C-835/18, SC Terracult SRL).
L’intervento normativo, inoltre, ha regolato con autonomia la posizione del cessionario/committente (oggetto del comma 9 bis cit.) rispetto a quella del cedente/prestatore (oggetto del novellato comma 2 della norma), in precedenza regolato dalla medesima disposizione.
L’art. 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, attualmente vigente, prevede: «È punito con la sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o prestatore agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all’emissione di fattura ai sensi dell’articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile».
6.4 I primi tre periodi del comma 9 bis disciplinano fattispecie che, pur distinte ed autonome, rivelano l’attenzione e la consapevolezza del legislatore per le conseguenze della violazione degli obblighi di autofatturazione ponendosi, in un certo qual modo, in un rapporto di
6.5 Il primo periodo, infatti, sanziona il fatto, oggettivo, di chi «omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile».
Qui, dunque, viene in rilievo l’inadempimento degli obblighi – tutti quelli previsti attesa l’unitarietà del procedimento – stabiliti per l’esatta e corretta esecuzione dell’inversione contabile.La finalità, ben visibile, è quella di consentire all’Amministrazione finanziaria di poter esercitare le attività di controllo connesse alla puntuale osservanza della procedura di inversione contabile.
La natura formale della violazione – non essendo prevista, né richiesta una effettiva lesione sull’imposta e/o sulla determinazione della base imponibile – è comprovata dalla irrogazione di una sanzione in misura fissa (da 500 a 20.000 euro).
6.6 Il secondo periodo considera la medesima condotta prevista dal primo periodo, caratterizzata, tuttavia, da un evento, peculiare, di danno in quanto relativo non all’Iva ma al reddito complessivo (del soggetto) come significativamente dispone la norma con la locuzione «se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi dell’art. 13 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973» (ossia ai fini delle imposte sui redditi).
Occorre considerare, difatti, che l’assolvimento dell’Iva con la procedura di inversione contabile esclude, in linea generale, che vi sia un omesso versamento della medesima poiché, strutturalmente, viene attuata una sorta di “compensazione immediata”.
Infatti, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l’Iva in fattura e non è debitore verso l’erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l’Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite.
Come già detto, poi, per consentire il sorgere e l’esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui all’art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972), l’annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità. In questa ipotesi, la violazione degli obblighi relativi all’inversione contabile, ancorché non sia fonte di una sottrazione/perdita in materia di Iva, incide sulla determinazione della base imponibile reddituale – ed è, dunque, violazione più grave e di natura sostanziale – poiché l’operazione, inosservante degli obblighi connessi al reverse charge, resta occultata, ossia neppure risulta dalla contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, quale, ad es., il libro giornale o il registro degli acquisti.
6.7 Il terzo periodo, infine, individua l’ipotesi in cui la violazione degli obblighi ha inciso sulla detrazione Iva perché qui viene in rilievo «l’imposta che non avrebbe potuto essere detratta».
La previsione concretizza una ipotesi di violazione sostanziale (con danno riferito alla medesima imposta) in concorso («resta ferma») con le precedenti.
Infatti, oltre ad essere sanzionata la violazione degli obblighi in tema di reverse charge (in forza del primo o del secondo periodo del comma 9 bis a seconda dei casi), il terzo periodo ribadisce, con un rinvio all’art. 5, comma 4, e al successivo comma 6, che si applica anche la sanzione per l’indebita detrazione Iva in concreto effettuata (ad esempio, in caso di errata determinazione del pro-rata).
6.8 Dunque, la ratio della normativa – ratio che esce ulteriormente rafforzata per effetto dell’intervento operato con il d.lgs. n. 158 del 2015, che ha modificato il trattamento sanzionatorio in melius, anche introducendo una distinzione più chiara tra le diverse condotte lesive, senza, però, alterare la struttura dell’illecito – è quella di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un evidente pregiudizio all’esercizio delle attività di controllo anche quando l’inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti – e sulla regolarità e tempestività degli stessi – e sulla determinazione dell’imponibile (v. n. 1690 del 20/01/2022 cit.).
E, del resto, come sopra evidenziato, la lesione del bene giuridico in questione va valutata non ex post, o in concreto, ma in astratto, ex ante, alla stregua della fattispecie normativa, irrilevante che, di fatto, l’Amministrazione possa aver ugualmente esperito i propri controlli.
Tale conclusione, inoltre, trova riscontro anche nella previsione di una procedura di regolarizzazione in caso di fatturazione omessa od irregolare (prevista dal comma 8, richiamato dal comma 9 bis nel testo previgente e, attualmente, oggetto di specifica disciplina nello stesso art. 6, comma 9 bis), la cui effettività è strettamente correlata alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di un immediato controllo delle operazioni.
La presenza di eventi di danno – sul reddito complessivo o sull’Iva – determina un trattamento sanzionatorio più grave, ma la loro mancanza è ininfluente ai fini dell’effettività e sussistenza, in ogni caso, della violazione.
7. Alla luce dei principi esposti vanno, pertanto, esaminate le questioni dedotte in giudizio.
8. La CTR, invero, ha ritenuto meramente formale la contestata violazione affermando «la censura alla sentenza di primo grado proposta dall’Ufficio, ovvero che la mancata applicazione dell’Iva con il meccanismo dell’inversione contabile, rappresentando violazione sostanziale va sanzionata con le modalità previste dal d.lgs. 471/97, non incontra il parere favorevole di questa Commissione, per carenza di presupposto: una maggiore imposta Iva dovuta e non versata. Nel caso di specie di “reverse charge” non si verificano danni per il fisco proprio per l’assenza di debito tributario».
8.1 In evidenza, dunque, plurimi sono gli errori in cui è incorso il giudice di merito poiché:
– ha erroneamente valutato l’oggettività giuridica delle norme applicabili poiché ha considerato irrilevanti le omissioni contestate ed
accertate, che, pur integrando elemento costitutivo delle violazioni, ha apprezzato, con valutazione ex post (anziché ex ante), come inidonee a pregiudicare le azioni di controllo dell’Amministrazione finanziaria;
– ha erroneamente considerato l’asserita assenza del cd. “debito tributario” come elemento fondante ed idoneo a escludere la violazione mentre, al contrario, la presenza di tale evento è, semmai, idonea a determinare una più grave conseguenza sanzionatoria, restando la sua mancanza ininfluente ai fini della configurabilità dell’illecito.
9. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione per un nuovo esame alla luce dei principi sopra esposti.
10. Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.
Le questioni dedotte, peraltro, potranno essere riproposte davanti al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, assorbito quello incidentale condizionato proposto dalla Parker Hannifin Manufacturing Srl; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.
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