Corte di Cassazione ordinanza n. 14302 depositata il 5 maggio 2022

deposito di nuovi documenti in appello – TARI – notifica

FATTI DI CAUSA

Hotel T.S. S.r.L. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria della Campania aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 5705/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli in rigetto del ricorso avverso avviso di pagamento TARI annualità 2014 emesso dal Comune di Forio.

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva riformato la sentenza di primo grado sul rilievo dell’ammissibilità dell’esame della produzione documentale effettuata in primo grado, sebbene tardivamente, dal Comune, rimasto poi contumace in appello, ritenendo inoltre l’atto impositivo adeguatamente motivato, con insussistenza dell’obbligo di notifica di prodromico avviso di accertamento, affermando infine che la documentazione prodotta dalla contribuente era inidonea a confutare la superficie imponibile accertata dai tecnici comunali.

Il Comune resiste con controricorso.

La società contribuente ha da ultimo depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (art. 32 Lgs. n. 546/1992 e art. 115 c.p.c.) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto ammissibile l’esame della documentazione prodotta in primo grado,sebbene tardivamente, dal Comune, che era poi rimasto contumace in appello.

1.2 La doglianza è infondata.

1.3 In tema di contenzioso tributario, la produzione di nuovi documenti in appello, sebbene consentita ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, deve avvenire, ai sensi dell’art. 32 dello stesso decreto, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza, ma l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e <<ritualmente>> nel giudizio di impugnazione (cfr. nn. 5429/2018, 24398/2016, 23616/2011).

2.1 Con il secondo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 1, commi 161 e 162, n. 297/2006) e si lamenta che la Commissione Tributaria Regionale abbia omesso di rilevare la mancata notifica di atto prodromico rispetto all’avviso di pagamento impugnato, che era stato emesso dal Comune sulla base di dati fattuali risalenti e non corrispondenti alle modifiche della superficie imponibile intervenute nel corso del tempo, come confermato anche da talune pronunce, in giudicato, emesse tra le stesse parti con riguardo ad annualità precedenti.

2.2 In diritto va evidenziato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, comma 1, in tema di tassa sui rifiuti, consente ai Comuni di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo, senza necessità di adottare e notificare un avviso di accertamento, soltanto nei casi in cui la liquidazione avvenga sulla base dei ruoli dell’anno precedente, cioè sulla base di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, in forza pertanto di una operazione puramente automatica.

2.3 Come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare, <<dall’esame di questa disposizione emerge chiaramente che il presupposto della sua applicazione e, quindi, del riconoscimento ai Comuni di tale facoltà – che costituisce pur sempre, nel panorama normativo, una eccezione, come tale non suscettibile di applicazioni estensive (Cass. n. 19165 del 2004) – risiede nel fatto che i dati relativi all’iscrizione a ruolo dell’anno precedente, utilizzati per la liquidazione, possano considerarsi acquisiti, cioè definitivi, risultando o dalla stessa dichiarazione del contribuente o da un accertamento dell’Ufficio divenuto inoppugnabile. La liquidazione diretta, proprio per il suo carattere di eccezionalità, richiede quindi, da un lato, l’identità dei dati utilizzati con quelli dell’anno precedente, dall’altro la stabilità o definitività degli stessi, nel senso che non devono essere né incerti né contestati. L’incertezza del dato utilizzato a seguito della contestazione dell’utente comporta, viceversa, la necessità dell’adozione dell’avviso di accertamento, dovendo l’Amministrazione esplicitare, ai sensi dell’art. 70, le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dai dati ed elementi indicati nella dichiarazione>> (Cass. n. 23582/2009; n. 22248/2015).

2.4 Nella specie, è incontestato che il Comune notificò un atto avente natura impositiva (avviso di pagamento), con il quale comunicò alla contribuente una pretesa tributaria ormai definita e come tale impugnabile ai sensi dell’art. 19 del lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

2.5 Questa Corte, sulla base di principi applicabili anche alla TARI, ha più volte affermato che alla fattura (assimilabile all’avviso di pagamento in oggetto), contenente la richiesta della tariffa di igiene ambientale (Tia), come al relativo procedimento di quantificazione e riscossione del prelievo in questione, si devono applicare i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione.

2.6 In particolare, la Corte ha ribadito quanto già espresso (cfr. n. 17526/2007) e quanto affermato dalla Consulta (sentenza 238/2009), ossia che gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata pubblicistica.

2.7 Ne consegue che, avendo natura di atti impositivi, anche le fatture (o l’avviso di pagamento in questione) debbono rispondere ai requisiti sostanziali propri di questi provvedimenti e possono essere impugnate davanti alle commissioni tributarie, nonostante non siano espressamente ricomprese tra l’elenco degli atti opponibili (nel senso che la relativa impugnazione costituisce per il contribuente una facoltà, e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo – Cass. nn. 5966/2015, 16100/2011).

2.8 Quanto alle doglianze relative all’emissione dell’avviso di pagamento sulla base di elementi fattuali non corrispondenti alla realtà, in quanto basati su accertamenti risalenti nel tempo, che non tenevano conto della successiva riduzione della superficie imponibili, si osserva che, in materia di tasse sui rifiuti, incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, poiché, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere la riduzione o l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile (cfr. Cass. 12979/2019, 22130/2017, 18054/2016, 16235/2015).

2.9 Questa Corte ha altresì già affermato il principio, al quale questo Collegio intende dare continuità, secondo cui, se la modifica ha luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione, mentre, se la modifica ha luogo dopo la notifica dell’avviso, pur non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta (cfr. Cass. nn. 453/2018, 11192/2013, 2926/2010, 20852/2007, 5361/2006).

2.10 In materia di tributi locali, inoltre, ai sensi dell’art. 51 del lgs. n. 507 del 1993, nel regolare il procedimento di emissione da parte del Comune dell’avviso di accertamento in rettifica o d’ufficio, in caso di omessa dichiarazione resa dal contribuente, non esige alcuna forma di contraddittorio con il contribuente, il quale potrà avvalersi degli strumenti di tutela attivabili successivamente all’adozione dell’atto, come l’autotutela tributaria e la difesa in sede contenziosa (cfr. Cass. nn. 31718/2018, 15079/2004).

2.11 Nel caso in esame, la Commissione Tributaria Regionale ha quindi correttamente evidenziato che per la prima delle due strutture alberghiere, di proprietà della contribuente, la superficie tassata dal Comune corrispondeva a quella indicata dalla società nella dichiarazione resa nel 1990, né la contribuente aveva allegato o dimostrato di aver presentato successivamente alcuna dichiarazione in variazione al riguardo, rilevando altresì l’inconferenza delle prove prodotte dalla contribuente, trattandosi di documentazione risalente nel tempo (<<vecchia licenza … del 1990 … relativa ad una situazione di circa 25 anni prima anteriore rispetto a quella oggetto dell’imposizione>>).

2.11 Con riguardo alla seconda struttura alberghiera, invece, a fronte dell’omessa dichiarazione resa dalla contribuente la Commissione Tributaria Regionale ha evidenziato che il Comune aveva determinato il presupposto impositivo <<sulla scorta dell’accertamento compiuto in data 28.10.2004 da tecnici incaricati che …(avevano)… provveduto alla misurazione della superficie>>, mentre la contribuente si era limitata a produrre documentazione (perizia di parte) <<priva di planimetrie relative allo stato dei luoghi, … del tutto inidonea a confutare il dato accertato dai tecnici comunali>>.

2.12 Premesso dunque che nella fattispecie è stato emesso atto avente natura impositiva, corrispondente ad avviso di accertamento (avviso di pagamento) e che la Commissione Tributaria Regionale ha riscontrato la mancanza di elementi probatori, idonei a suffragare le argomentazioni della contribuente circa la riduzione della superficie imponibile, va altresì evidenziato che nessun rilievo assumono le pronunce, in giudicato, aventi ad oggetto l’annullamento di cartelle esattoriali, relative ad annualità precedenti, per <<assenza di atti prodromici>>, atteso che ciò, come si è detto, non ricorre nel caso in esame.

2.13 Neppure assume valore decisivo che la medesima Commissione Tributaria Regionale avesse difformemente deciso, con pronuncia priva di efficacia di giudicato, l’annullamento di precedente avviso di accertamento per accertata minore superficie imponibile relativa all’annualità 2009.

2.14 Le doglianze circa l’omessa valutazione di tale pronuncia nella sentenza impugnata trovano smentita in un principio, già enunciato da questa Corte (cfr. nn. 15846/2017, 1772/1980), secondo cui, esposti in modo conciso i motivi di fatto e di diritto della propria decisione, il giudice non deve dimostrare esplicitamente l’infondatezza o la non pertinenza dei precedenti giurisprudenziali eventualmente difformi (neppure se si tratti, come in questo caso, di cosiddetti <<autoprecedenti>>), poiché i motivi della decisione in tanto possono essere viziati in quanto siano di per sé erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, non già in quanto eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche.

2.15 Lungi dal far emergere un’erronea qualificazione giuridica della fattispecie, le censure impingono, quindi, esclusivamente nella ricognizione della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., che non è stata tuttavia formulata al riguardo dalla ricorrente.

3. Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare le spese di lite in favore del Comune controricorrente, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.