Corte di Cassazione ordinanza n. 14476 depositata il 6 maggio 2022
imposta di registro – interpretazione negozio giuridico
RILEVATO CHE
La ricorrente espone di avere acquistato in data 16 Dicembre 2010 ha acquistato la partecipazione totalitaria nella società Sara Lee Body Care Italy s.r.l. Società che era stata precedentemente costituita dalla Sara Lee Household and Body Care Italy s.p.a., alla cui costituzione aveva fatto seguito un aumento del capitale sociale Con l’avviso di liquidazione notificato in data 1 ottobre 2013 l’Agenzia delle entrate ha rideterminato l’imposta di registro dovuta, riqualificando l’operazione come un’unica fattispecie produttiva di un unico effetto giuridico finale da identificarsi nella cessione di ramo di azienda, Contestando le finalità elusive dell’operazione
Le società ha proposto ricorso avverso il predetto avviso di liquidazione che è stato respinto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, sentenza impugnata dalla società. L’appello è stato respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia la quale ha ritenuto l’equivalenza sostanziale tra l’operazione posta in essere e la cessione diretta del ramo di azienda, atteso che che l’art. 20 del DPR 131/1986 può applicarsi n base all’analisi delle complessive vicende precedenti o successivi alla stipula del negozio preso in esame valorizzando il comportamento sostanzialmente unitarie, nonché l’assenza di prova delle ragioni di ordine organizzativo dedotte dalla società.
Hanno proposto ricorso per Cassazione entrambe le società indicate in epigrafe, con separati ricorsi iscritti ad un unico numero di ruolo ed entrambe affidandosi a cinque motivi. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. Le parti hanno presentato memorie. La causa è stata trattata all’udienza camerale del 15 marzo 2022.
RITENUTO CHE
1.- – Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c. p.c. la violazione dell’art. 2560 c.c. e dell’art. 14 del D.lgs. n. 472 del 1997 rilevando che vi sono evidenti differenze sotto il profilo degli effetti tra la compravendita di un ramo d’azienda e la compravendita di una partecipazione societaria. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 26 Aprile 1986 n. 131 rilevando che è impropria la qualificazione dell’art. 20 come norma antielusiva a carattere generale. Parte ricorrente rileva che l’imposta di registro deve essere applicata tenendo conto dell intrinseca natura e dell’effetto dell’atto presentato registrazione E che gli altri considerati dalla agenzia non concorrono alla formazione progressiva di un’unica fattispecie ne producono il risultato di una cessione a titolo oneroso di azienda. Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 112. La società deduce che è pur avendo sollevato la questione della mancata risposta da parte dell’ufficio ai chiarimenti forniti da essere ricorrente in risposta al questionario, il giudice d’appello non si è pronunciato sul punto, violando così Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 37 bis del DPR 600/1973 per assenza di contraddittorio preventivo. Con l quinto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 e 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 del Dlgs 146 del 1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per la motivazione gravemente carente resa dal giudice d’appello, che non tiene conto delle circostanze fattuali allegate dalle parti rinviando acriticamente a una generica formula di stile.
3.- Il secondo motivo può esaminarsi prioritariamente in quanto potenzialmente assorbente. Il motivo è fondato.
3.1.- Ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/ 1986, come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/2018, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione deve avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Prima degli interventi normativi del 2017/2018 la giurisprudenza di questa Corte, con alcune isolate pronunce, aveva affermato il principio secondo cui l’attività riqualificatoria dell’Ufficio, “che non è tenuto ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella ” forma apparente “alla quale lo stesso art. 20, (nella formulazione anteriore alla L. n. 205 del 2017), fa riferimento”, incontra il limite dell’insuperabilità della forma e dello schema negoziale tipico in cui l’atto presentato alla registrazione risulti inquadrabile, “pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici”, per cui, in mancanza di prova, a carico dell’Amministrazione finanziaria, di un disegno elusivo, ricorre piuttosto “un’ipotesi di libera scelta di un tipo negoziale invece di un altro” (Cass. n. 2054/2017, n. 722/2019 e n. 6790/2020). In effetti, anche nella precedente formulazione della disposizione, in cui non vi era il riferimento esplicito alla irrilevanza degli elementi esterni all’atto, l’art. 20 fondava l’imposizione sugli effetti giuridici dell’atto e sulle conseguenze che questi erano idonei a produrre. Ciononostante, la giurisprudenza maggioritaria era orientata nel senso che dovesse indagarsi la causa reale o concreta dei negozi, dando rilievo al collegamento negoziale tra contratti al fine di valutarne l’effetto finale, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate (Cass. n. 13610/2018).
L’intervento legislativo è avvenuto in due tempi: dapprima con la legge di bilancio 2018 (legge 25/2017) affermando la necessità di applicare l’imposta “sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati” e la seconda con la legge di bilancio 2019 (legge 145/2018) affermando che si tratta di una norma di interpretazione autentica e quindi dotata – per definizione – di efficacia retroattiva (cfr. Cass., n. 23549/19), essendo stato chiarito il senso di una norma preesistente, eliminando oggettive incertezze interpretative e rimediando ad una interpretazione giurisprudenziale non in linea con la politica del diritto voluta dal legislatore medesimo.
In questi termini si è espressa la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 158/2020, allorquando ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, posta da questa Corte di legittimità (ord. n. 23549/2019), in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extra testuali.
3.2- La Corte Costituzionale, premesso che l’interpretazione evolutiva, cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro, non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, ha osservato che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri costituzionali. Con successiva sentenza n. 39 del 16 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost.. Nel richiamare la precedente pronuncia la Corte ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avuto riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, e che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente.
3.3.- In sintesi, il legislatore, con un intervento ritenuto conforme ai parametri costituzionali, ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto.
La più recente giurisprudenza di questa Corte si è pertanto orientata nel senso che: “In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 – nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017 che, secondo l’art.1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto” (Cass. 10688/2021; Cass. 9065/2021; Cass. n. 2677/2022).
4.- Né può dirsi che la riqualificazione sia diretta di per sé a far rilevare una forma di abuso del diritto o di elusione fiscale, ai sensi dell’art. 10-bis, legge n. 212 del 2000, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare. L’azione accertatrice, in tali casi, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.
Pertanto, se una diversa lettura dell’art. 20, DPR. n. 131 del 1986, così come risulta autenticamente interpretato dal legislatore, non appare più consentita dopo la sentenza n. 158/2020 della Corte Costituzionale, ove ricorra l’abuso del diritto, mediante l’applicazione dell’art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, stante l’espresso richiamo contenuto nell’art. 53 bis, d.p.r. n. 131 del 1986, si richiede, per superare la qualificazione formale dell’atto, la prova dell’illegittimo risparmio fiscale, oltre che il rispetto delle garanzie procedimentali di cui si è detto (Cass. 10688/2021). Eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile rilevano sotto il profilo dell’abuso del diritto, ma alla loro repressione, non è funzionale la disposizione di cui al citato art 20 (Cass. 5715/2022).
Dalle superiori considerazioni consegue, in accoglimento del secondo motivo di ricorso assorbiti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito accogliendo l’originario ricorso delle società contribuenti.
Le spese del complessivo giudizio possono essere compensate, per la complessità della questione interpretativa trattata, e in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza nei termini sopra precisati.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso delle società contribuenti. Compensa interamente le spese del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità.
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