Corte di Cassazione ordinanza n. 14487 depositata il 6 maggio 2022
TIA – adeguata motivazione – onere a carico del contribuente per esclusione superfice per rifiuti speciali – contenzioso tributario – motivi di appello – nuovi documenti
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
§ 1. P. srl, società di riscossione per conto del Comune di Alife (CE), propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento con sanzioni notificato alla E. K. Italia sas, per Tarsu 2012, in relazione allo stabilimento di produzione di camini e caldaie da quest’ultima condotto nel territorio comunale.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
- contrariamente a quanto sostenuto dal concessionario, i motivi di appello proposti dalla società contribuente dovevano ritenersi sufficientemente specifici, anche se richiamanti gli stessi motivi di opposizione già dedotti in primo grado;
- inammissibili erano le produzioni documentali effettuate dal concessionario in grado di appello, sia perché quest’ultimo non aveva dimostrato la forza maggiore ovvero il caso fortuito che ne avevano impedito la produzione in primo grado, sia perché non risultava comunque rispettato il termine preclusivo di cui agli articoli 32 e 58, co. 2^ lgs 546/92;
- l’avviso di accertamento in questione risultava solo in parte motivato perché, per quanto provvisto dell’indicazione dei fatti necessari a determinare la pretesa tributaria (individuazione dell’immobile, destinazione ad uso industriale, superficie tassabile, ammontare unitario e totale dell’imposta, sanzioni) non indicava tuttavia ‘la norma statuale o regolamentare sulla quale il comune fonda la propria potestà impositiva relativamente ad aree produttive di rifiuti industriali pericolosi’;
- nel caso di specie, il contribuente aveva comunque documentato sia le aree dello stabilimento che erano produttive di rifiuti industriali, sia lo smaltimento in proprio attraverso imprese specializzate;
- il concessionario, per contro, non aveva indicato né provato l’esistenza di norme regolamentari legittimanti la percentuale di riduzione applicabile al caso dei rifiuti industriali non assimilati;
- in conseguenza di ciò, non sussistevano i presupposti per la sanzione, dal momento che la non tassabilità delle superfici di produzione di residui industriali e speciali comportava il venir meno dell’obbligo di denuncia, fermo restando quello di comunicazione dell’estensione di tali superfici e di asporto in proprio (come nella specie avvenuto).
Resiste con controricorso la società contribuente. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8- bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
§ 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, co.1^, n.3) cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art.53, co. 1^, d.lgs 546/92, posto che i motivi di appello della società contribuente risultavano in effetti generici perché costituenti mera riproduzione, priva di mirate censure alla sentenza di primo grado, dei motivi di opposizione di cui al ricorso introduttivo;
§ 2.2 Il motivo è infondato, dovendosi qui richiamare l’indirizzo interpretativo di legittimità secondo cui (Cass.n. 32954/18, altre volte ribadita): “nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci”; depone in tal senso anche quanto stabilito da Cass.n. 30341/19, secondo cui: “nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. È pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni”.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di questi principi, anche in ragione della natura prettamente tecnico-giuridica delle doglianze di appello (riassunte a pag. 2 della sentenza) concernenti essenzialmente la validità formale dell’avviso ed il regime legislativo e regolamentare di tassazione delle superfici produttive di rifiuti industriali non assimilati.
§ 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 32 e 58 d.lgs 546/92, dal momento che nel processo tributario la produzione di nuovi documenti poteva avvenire anche in grado di appello e che, nel caso di specie, tali documenti (regolamento comunale e comunicazione di variazione di ampliamento del capannone industriale Eta Kamino) erano stati prodotti (9 ottobre 2015) nei prescritti termini di controdeduzione rispetto all’udienza di discussione (30 ottobre 2015), come comprovato dalla ricevuta rilasciata a mano (stante il non funzionamento in quel momento dei sistemi informatici dell’ufficio) in atti (alleg. 7-8).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione dell’articolo 7 d.lgs 546/92, dal momento che il giudice regionale aveva basato il proprio convincimento sull’erroneo presupposto della inutilizzabilità del regolamento comunale e degli elementi istruttori di cui alle produzioni ritenute tardive, senza tuttavia avvalersi dei poteri istruttori d’ufficio di cui all’articolo 7 cit..
§ 3.2 I due motivi in esame, evidentemente connessi per vincolo logico- giuridico di consequenzialità, sono fondati, posto che: (Cass.n. 29087/18 ed innumerevoli altre): “nell’ambito del processo tributario, l’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva”.
Quanto diversamente affermato dal giudice di appello (richiamante inconferenti nozioni di forza maggiore e caso fortuito impeditivi di pregressa produzione) si pone, dunque, effettivamente in violazione delle norme processuali in questione, aventi natura speciale e derogatoria di quanto previsto dall’articolo 345 cod.proc.civ. per il giudizio di appello con rito ordinario.
Dalle risultanze in atti, liberamente attingibili da questo giudice in sede di ricostruzione del fatto processuale, emerge inoltre (v. ricevute di deposito all. 7-8) come le produzioni in questione siano state effettivamente eseguite in allegato all’atto di controdeduzioni in appello (9.10.15) e nel rispetto di 20 giorni liberi prima dell’udienza di trattazione (30.10.15).
L’erroneo convincimento sul punto del giudice regionale ne inficia dunque, di per sé, la decisione, dal momento che quest’ultima si basa sulla mancata indicazione da parte del concessionario, seppure in corso di causa, delle fonti regolamentari della tassazione Tarsu in questione, là dove le produzioni ritenute tardivamente eseguite riguardavano invece proprio il regolamento Tarsu del maggio 2005 qui applicabile (alleg. 9), oltre alla relazione tecnica di ampliamento delle superfici industriali E. K. del settembre 2007 (alleg. 10).
Sicchè non può dirsi che, nel decidere, la commissione tributaria regionale si sia basata, come avrebbe dovuto, sulla disciplina regolamentare di riferimento, nè sui completi dati istruttori di superficie rinvenienti dalla relazione tecnica di ampliamento.
§ 4.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione dell’articolo 7 l.212/00, dal momento che l’avviso di accertamento in questione (allegato al ricorso sub.n.2) conteneva tutti gli elementi essenziali di conoscenza della pretesa impositiva, essendo del resto esso riferito alla tassazione non già di ‘aree produttive di rifiuti industriali pericolosi’, come affermato in sentenza, bensì ad aree e locali destinati ad uso industriale, con richiamo alle relative disposizioni legislative e regolamentari.
§ 4.2 Il motivo è fondato, posto che è il medesimo giudice regionale a riferire che l’avviso di accertamento in questione conteneva tutti i dati identificativi essenziali (immobile, destinazione industriale, superfici, importi distinti per imposta, interessi, addizionali e sanzioni), dovendo da ciò discendere l’opposto convincimento di sufficienza motivazionale dell’atto impositivo per quanto concerne i presupposti di fatto dell’imposizione medesima.
Per quanto attiene alle ragioni giuridiche, rileva che l’avviso in questione (anch’esso per autosufficienza allegato al ricorso per cassazione sub 2)), recava in premessa l’indicazione delle norme legislative di riferimento per quanto concerneva sia l’imposizione Tarsu in sé, sia la determinazione accessoria delle sanzioni e degli interessi; esso faceva inoltre richiamo al vigente regolamento comunale per l’applicazione del tributo (elemento normativo fatto oggetto di pubblicazione ai sensi di legge e , come tale, liberamente attingibile dal contribuente senza necessità di materiale allegazione all’avviso stesso).
Si è in proposito affermato (Cass.n. 20620/19) che: “in tema di TARSU, la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della l. n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa”.
Si osserva, a seguito di quanto così ritenuto circa la violazione dell’art.7 l.212/00, che ove in effetti la commissione tributaria regionale avesse ritenuto l’invalidità dell’avviso di accertamento per vizio formale di motivazione (come pare), certo essa non avrebbe dovuto proseguire nell’esercizio della propria giurisdizione sul merito della pretesa, dovendo piuttosto limitarsi all’annullamento puro e semplice dell’atto impositivo. Pur tenendo a mente la peculiarità del processo tributario quale giudizio di ‘impugnazione-merito’, rileva che in tanto il giudice tributario può e deve attingere al merito del rapporto giuridico d’imposta, in quanto l’atto impositivo superi il vaglio di legittimità formale intrinseca.
§ 5.1 Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 62 e 70 d.lgs 546/92 posto che le superfici di produzione industriale, suscettibili anche di produzione di rifiuti promiscui, non erano per ciò solo esentate dalla tassa, potendo ad esse unicamente applicarsi una riduzione dell’imposizione (come stabilito dall’articolo 19 del regolamento comunale sulla base del terzo comma dell’articolo 62 d.lvo 507/93), sul presupposto della avvenuta denuncia o comunicazione di tali superfici da parte del contribuente (mentre nel caso di specie la società non aveva previamente presentato al Comune né denuncia né comunicazione avente ad oggetto l’individuazione e la descrizione delle superfici asseritamente escluse).
§ 5.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.
In base all’art.62 d.lvo 507/93: (co.3) “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune puo’ individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta”.
La riduzione della superficie tassabile muove dunque non dalla generica destinazione dell’immobile ad attività industriale, ma dalla specifica indicazione e dimostrazione delle aree che, all’interno dello stabilimento, producono prevalentemente rifiuti (speciali) esenti da privativa comunale, perché non assimilati né assimilabili ai rifiuti urbani e, come tali, assoggettati ad autosmaltimento.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie ex art.62 cit. (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento).
In particolare, ha osservato Cass.n.16235/15 che “l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale”.
Si legge in Cass.n. 7187/21 (con principio estensibile anche alla Tarsu) che: “Va, poi, osservato che questa Corte (ex plurimis Cass. n. 12979 del 2019, n.10634 del 2019) ha affermato che è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali, prova assente nel caso di specie, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA.”
Ora, nel caso di specie risulta che il concessionario assumesse che la società contribuente non aveva comunicato i presupposti della invocata riduzione e che, comunque, questi ultimi non potevano venire riconosciuti che nei limiti del 20 % della superficie, con richiamo a quanto stabilito (art.62, 3^ co. l.cit.) dal Regolamento comunale (art.19) con riguardo all’ipotesi, qui ricorrente, di contestuale produzione di rifiuti urbani o speciali assimilati e di rifiuti speciali non assimilabili, tossici e nocivi.
La stessa commissione tributaria regionale, trattando delle sanzioni, riferisce che il contribuente non aveva ‘dimostrato’ di aver presentato la relativa denuncia Tarsu (sent.pag. 5), elemento che certo doveva invece da lui essere comprovato.
Sicchè la tesi della totale ed indistinta espunzione da tassazione delle superfici per la sola loro destinazione industriale è risultata in contrasto non solo con la previsione legislativa (sostanzialmente recepita dal Regolamento comunale) basata sulla considerazione che le aree industriali producono anche rifiuti non esenti, perché ordinari ovvero a questi assimilati, ma anche con il quadro istruttorio vagliato dal giudice di merito, privo della considerazione delle superfici industriali ‘riducibili’ in base all’effettiva produzione di rifiuti industriali non rientranti nella privativa ed alla disciplina regolamentare della produzione promiscua; quest’ultima comportante una riduzione del 20 % che non risulta, in base all’avviso opposto, essere in effetti stata qui riconosciuta.
Le conclusioni qui accolte non contrastano con quanto deciso da Cass.n. 8222/22, citata dalla società E. K. nella memoria, considerato che anche in quel caso l’onere probatorio (in fattispecie di imballaggi non assimilabili) venne posto a carico del contribuente.
§ 6. Ne segue, in definitiva, il rigetto del primo motivo e l’accoglimento degli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla commissione tributaria regionale della Campania la quale, in diversa composizione, riesaminerà la fattispecie alla luce dei principi indicati, provvedendo anche sulle spese del presente procedimento di legittimità.
PQM
La Corte
- accoglie i motivi di ricorso diversi dal primo;
- cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa
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