Corte di Cassazione ordinanza n. 14500 depositata il 6 giugno 2018
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
AR, AG, ARA e AS hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1493/2014 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 5 agosto 2014. Resiste con controricorso il Condominio SR II di Novi Ligure.
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.
La Corte d’Appello di Torino ha accolto l’appello del Condominio SR contro la pronuncia di primo grado resa 1’11 febbraio 2010 dal Tribunale di Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure. Il Tribunale era stato adito con citazione del 22 marzo 2006 da AR, AG, ARA e AS, titolari di servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla strada di proprietà del Condominio SR II di Novi Ligure (come da titolo costitutivo del condominio stesso del 4 gennaio 1966), i quali lamentarono la costruzione in adiacenza alla parete dell’edificio condominiale di un ascensore esterno che aveva ridotto il passaggio in questione da m. 4,15 a m. 2,50. La sentenza di primo grado ravvisò la violazione dell’art.1067 c.c. a causa del restringimento del transito provocato dall’ascensore, anche interpretando la norma in esame in senso costituzionalmente orientato alla luce dell’esigenza del condominio convenuto di eliminare le barriere architettoniche. Il Tribunale argomentò come, in forza dell’espletata CTU, un’analoga opera, adeguata alla tutela dei portatori di handicap, poteva essere realizzata lungo la parete posta sul retro dell’edificio condominiale, senza scarificare il diritto reale degli attori. La Corte d’appello, adita con gravame dal Condominio SR II, ravvisata la sussistenza della servitù imposta sull’area condominiale nell’atto del 4 gennaio 1966, affermò, in riforma della sentenza di primo grado, che la collocazione dell’ascensore nell’area gravata da servitù di passaggio in favore dei signori Adinolfi, aventi causa del comune venditore geometra Cavo, fosse l’unica soluzione praticabile idonea ad eliminare le barriere architettoniche. La soluzione alternativa, emersa dalla CTU e consistente nell’installare l’impianto sul retro dell’edificio condominiale, venne ritenuta inadeguata sia per l’ubicazione del sito e la realizzabilità dell’intervento (possibile presenza di condutture interrate, ostacolo all’ingresso in un box di proprietà esclusiva di terzi), sia per le difficoltà di raggiungimento dell’ascensore da persone in condizioni di inabilità fisica (accesso dalla via pubblica e dal cortile interno servendosi di percorso più lungo e ricoperto da ghiaia, oppure tramite l’atrio comune ed il “locale biciclette”). Inoltre, ritennero i giudici di secondo grado, l’installazione dell’ascensore nel lato del cortile interno avrebbe avuto costi molto elevati, avrebbe compromesso la facciata del fabbricato ed avrebbe creato nuovi ingressi dall’esterno nei balconi di proprietà esclusiva, i quali avrebbero dovuto essere allungati con la creazione di ballatoi e muniti di cancelletti o di porte per motivi di sicurezza. La sentenza impugnata, in definitiva, escluse la violazione dell’art. 1067 c.c., in quanto il restringimento del passaggio oggetto di servitù da m. 4,15 a m. 2,50 di larghezza consente comunque il passaggio di autoveicoli di tale ultima dimensione ed impedisce unicamente la manovra di inversione di marcia.
I. Il primo motivo di ricorso di AR, AG, ARAi e AS deduce l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quanto alla mancata considerazione di una diversa opera comunque in grado di superare le barriere architettoniche, costituita dall’installazione di un servo scala a partire da piano terra e per tutti i piani, come avvenuto nel vicino condominio. Tale ulteriore soluzione era stata ipotizzata e dibattuta nella sentenza di primo grado, nei chiarimenti resi dal CTU all’udienza del 28 marzo 2008 davanti al Tribunale, nella consulenza di parte dei signori Adinolfi, nonché nella comparsa di costituzione e nella memoria di replica degli appellati del giudizio di secondo grado.
II. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art.1067 c.c., con riferimento alla lettura “costituzionalmente orientata” che ne ha fatto la Corte d’Appello, ispirata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999, la quale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo. Viene al riguardo ancora una volta richiamata la praticabilità della idonea soluzione impiantistica alternativa oggetto del primo motivo di ricorso, soluzione che avrebbe altrimenti consentito l’accesso diretto alle unità immobiliari.
III. Il terzo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione obiettivamente perplessa e incomprensibile, avendo la Corte di Appello dapprima definito l’impianto di ascensore realizzato dal Condominio SR II l’unico praticabile che consenta di eliminare le barriere architettoniche e poi precisato che comunque lo stesso intervento già attuato comporta le necessità di installare un servo scala per la rampa che collega l’attuale fermata al piano intermedio dell’ascensore con il pianerottolo di ingresso delle singole abitazioni. Il quarto motivo di ricorso deduce, infine, la violazione degli artt. 1058, 1068, 1350, n. 4, c.c., e dell’art. 112 c.p.c., in quanto la servitù di passaggio oggetto di lite è stata modificata nella sua estensione indicata nell’atto costitutivo di essa senza che il Condominio SR II abbia mai formulato una domanda in tal senso.
I.1. I quattro motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione e si rivelano infondati.
Tutti i motivi si incentrano sull’ambito di applicazione dell’art. 1067, comma 2, c.c., a norma del quale il proprietario del fondo servente (nella specie, il Condominio SR II) non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo (e ciò con riguardo al passaggio sulla porzione censita al mappale 489, foglio 27, Comune di Novi Ligure, di proprietà Condominio SR II, servitù costituita con atto del 4 gennaio 1966 in favore dell’attuale proprietà Adinolfi). L’art. 1067, comma 2, c.c. esclude perciò la facoltà del proprietario del fondo servente di eseguire opere che, incidendo sull’andatura e sull’estensione della servitù, riducano la possibilità per il proprietario del fondo dominante di trarre dalla stessa servitù la più ampia utilitas assicurata dal titolo. Conseguentemente, per interpretazione consolidata di questa Corte, in tema di servitù di passaggio, non comporta diminuzione dell’esercizio della servitù l’esecuzione di opere, ovvero la modifica dello stato dei luoghi che, pur riducendo la larghezza dello spazio di fatto disponibile a tal fine, la conservino, tuttavia, in quelle dimensioni che non comportino una riduzione o una maggiore scomodità dell’esercizio delle servitù (cfr. Cass. Sez. 2, 03/11/1998, n. 10990; Cass. Sez. 2, 19/04/1993, n. 4585).
L’indagine sulla natura, sull’entità e perciò sulla rilevanza delle innovazioni o delle trasformazioni apportate nel fondo servente, e sul correlativo pregiudizio derivabile dalle stesse al fondo dominante, con riferimento all’art 1067, comma 2, c.c., costituisce apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito (e qui compiutamente operato dalla Corte d’Appello di Torino), apprezzamento sindacabile in sede di legittimità soltanto nell’ambito del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.c.
Ai fini del giudizio di liceità, ex art. 1067, comma 2, c.c., degli atti di godimento compiuti dal proprietario del fondo servente sullo stesso, non rileva perciò in alcun senso la valutazione (propria invece, ad esempio, dell’art. 1051 c.c., in tema di imposizione del passaggio coattivo) circa la praticabilità di soluzioni alternative, più o meno convenienti, oppure più o meno comode, quanto la verifica dell’incidenza di tali atti sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù. Tale conclusione vale da sola a privare di “decisività” (ovvero del carattere di astratta idoneità a determinare un esito diverso della controversia) la circostanza, su cui poggiano i primi due motivi di ricorso, della mancata considerazione che l’installazione di un servo scala a partire da piano terra e per tutti i piani sarebbe stata comunque in grado di superare le barriere architettoniche. L’opera realizzata sul fondo servente, in sostanza, non viola l’art. 1067, comma 2, c.c., sol perché altrove realizzabile dal proprietario dello stesso con uguale comodità e convenienza.
Piuttosto, si è in passato sostenuto in giurisprudenza che, qualora il proprietario di un fondo gravato da una servitù di passaggio proceda ad opere di ristrutturazione incidenti sull’esercizio della servitù, il giudice non potrebbe ritenere giustificata la trasformazione solo in considerazione della dinamica dei rapporti e dell’evolversi delle situazioni sociali, dovendo comunque vagliare la compatibilità della trasformazione con il libero e comodo ingresso che l’art. 1067, comma 2, c.c. vuole garantito al titolare del diritto di passaggio (Cass. Sez. 2, 29/08/1990, n. 8945). Ancora più risalente, ma tuttora attuale, è il precedente di questa Corte secondo cui non possono comunque ritenersi compresi nel divieto posto dall’art. 1067, comma 2, c.c. quegli atti che, restando contemperate le esigenze del fondo dominante con quelle del fondo servente, rappresentino l’esercizio compiuto civiliter dal proprietario delle facoltà di godimento del fondo servente stesso, facoltà che l’esistenza della servitù non può totalmente elidere (Cass. Sez. 2, 03/01/1966, n. 10). Tra tali facoltà di godimento del fondo servente, che il diritto di passaggio su esso gravante non può obliterare, vi sono certamente, come argomentato dalla Corte d’Appello di Torino, anche (o soprattutto) quelle finalizzate a consentire una piena accessibilità alla casa di abitazione da parte di qualsiasi portatore di handicap o persona con ridotta capacità motoria. Questa Corte ha già chiarito come la pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999 abbia imposto un mutamento di prospettiva, in forza del quale l’istituto della servitù di passaggio non è più limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma è proiettato in una dimensione dei valori della persona, di cui agli art. 2 e 3 Cost., che permea di sé anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14103; si vedano anche Cass. Sez. 2, 28/01/2009, n. 2150; Cass. Sez. 2, 16/04/2008, n. 10045).
La Corte d’Appello di Torino ha apprezzato in fatto, aderendo alle conclusioni del CTU, che il restringimento del passaggio destinato all’esercizio della servitù da m. 4,15 a m. 2,50, cagionato dall’ingombro dovuto alla costruzione dell’impianto di ascensore, conserva comunque il diritto reale dei proprietari del fondo dominante in dimensioni che non compromettono significativamente l’esercizio dello stesso. Allo stesso tempo, l’impianto di ascensore realizzato dal Condominio SR II appaga le esigenze di accessibilità del fabbricato, pur necessitando dell’installazione di un servo scala al piano intermedio per il collegamento con il pianerottolo di ingresso delle singole abitazioni. Questa Corte ha altresì precisato come la meritevolezza di un intervento innovativo consistente nell’installazione di un ascensore allo scopo di eliminare le barriere architettoniche vada valutata in termini di idoneità dello stesso quantomeno ad attenuare – e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. Sez. 6-2, 09/03/2017, n. 6129); sicché nessuna inconciliabilità o implausibilità affligge le argomentazioni adoperate dalla Corte d’Appello nel valutare la piena funzionalità dell’impianto di ascensore in concreto allestito dal Condominio SR, pur necessitante di un servo scala per il collegamento con i pianerottoli.
Poiché, infine, la sentenza impugnata, rigettando la domanda di AR, AG, ARAi e AS, ha escluso che il Condominio SR II avesse violato il divieto sancito dal capoverso dell’art 1067 c.c., in quanto l’opera realizzata sul fondo servente non ha ingenerato alcuna permanente riduzione dell’esercizio della servitù di passaggio, la pronuncia resa dalla Corte d’Appello di Torino non ha comportato affatto una modifica dell’originaria servitù convenzionale costituita con atto del 4 gennaio 1966, né pertanto occorreva una apposita domanda giudiziale del Condominio, o una convenzione scritta, ex art. 1350, n. 4, c.c., le quali, invero, si impongono soltanto per i mutamenti di esercizio che implicano variazioni nel contenuto della servitù medesima.
II. Il ricorso va perciò rigettato. I ricorrenti vanno condannati a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi C 3.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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