CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 14535 depositata il 25 maggio 2023
Tributi – Cessione di quote societarie – Cessione di azienda – Avviso di accertamento – Imposta di registro – Art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 – Nomen iuris – Clausola antielusiva – Elementi extratestuali – Retroattività novità legislativa – Principio di capacità contributiva e di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria – Causa reale – Effetti giuridici del negozio – Rigetto
Ritenuto che
1. L’Agenzia delle Entrate, previo esame di una serie di operazioni collegate (costituzione della società (…) successivi aumenti di capitale di tale società; cessione di tutte le quote societarie di tale società a (…) s.r.l. e (…) (…) s.p.a., che ne diventavano socio rispettivamente al 30 e al 70 %), ha riqualificato la cessione di quote societarie in cessione di azienda e notificato avviso di accertamento per il recupero dell’imposta di registro. Le contribuenti hanno impugnato l’atto impositivo.
2. Il ricorso delle contribuenti è stato accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello. Nella sentenza impugnata (che ha anche accolto l’appello incidentale sulle spese presentato dalle contribuenti) si legge che l’Agenzia non ha provato alcun intento elusivo dell’operazione posta in essere, che trova una giustificazione reale economica.
3. Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate.
4. Si è costituita con controricorso la (…) (…) s.p.a.
5. Risulta depositata una memoria della controricorrente.
6. La causa è stata decisa all’adunanza camerale del 17 maggio 2023, successivamente alla decisione della Corte di Giustizia, che ha dichiarato irricevibile la questione di rinvio pregiudiziale in ordine alla compatibilità dell’attuale formulazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986 con il diritto comunitario (questione formulata in altra causa pendente dinanzi a questa Corte).
Considerato che
1. Con l’unico motivo si deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 20 d.P.R. 131 del 1986, 2697 cod.civ. e 53 Cost., dovendosi valutare la causa reale e complessiva dell’operazione ai fini della qualificazione e interpretazione dell’atto in vista dell’applicazione dell’imposta di registro, a prescindere da qualsiasi intento elusivo delle parti, e non dovendosi, quindi, né provare i presupposti né applicare le garanzie procedurali dell’art. 10-bis dello statuto del contribuente.
2. Il motivo deve essere rigettato.
L’esame della questione impone l’illustrazione delle novità legislative e dell’interpretazione offerta dalla recente giurisprudenza costituzionale.
3.1. L’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, anteriormente alle modifiche ad esso apportate con la legge di Bilancio 2018, prevedeva che: “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Secondo un primo orientamento la disposizione richiamata richiedeva che ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro si dovesse avere riguardo precipuamente al contenuto delle clausole negoziali e agli effetti giuridici dell’atto soggetto a registrazione, indipendentemente dal nomen iuris ad esso attribuito e aldilà dalla volontà delle parti, a nulla rilevando gli effetti economici di tale atto e gli elementi esterni all’atto stesso (Cass. n. 25005 del 2016; Cass. 2054 del 2017, Cass. n. 11959 del 1993, Cass. n. 75 del 1997).
Negli ultimi quindici anni, tuttavia, si era formato un filone giurisprudenziale, secondo cui la norma in commento aveva una portata più ampia, dandosi rilievo, ai fini della determinazione dell’imposta applicabile, all’intera operazione economica realizzata mediante il collegamento dell’atto sottoposto a registrazione con elementi extratestuali.
In un primo momento, la prevalente giurisprudenza di legittimità faceva riferimento alla portata essenzialmente antielusiva dell’art. 20 T.U.R., il quale, pertanto, aveva una funzione analoga a quella dell’oggi abrogato art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n.14900 del 2001, n. 6835 del 2013, n. 10273 del 2007). Questa impostazione venne successivamente abbandonata, sicché l’art. 20 T.U.R. non veniva più ritenuto espressione di una clausola antielusiva, anche se la norma poteva consentire, comunque, di oltrepassare il nomen iuris e gli effetti negoziali dell’atto sottoposto a registrazione, per ricostruire la “causa reale” dell’intera operazione economica realizzata.
Pertanto, l’art. 20 T.U.R. non era solo “una norma interpretativa degli atti registrati”, ma una “disposizione intesa ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario” (Cass. n. 25001 del 2015), che imponeva di dare rilevanza principale nell’imposizione di un negozio giuridico, alla causa reale e alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti anche se attraverso ulteriori accordi extratestuali, prescindendo, però, da intenti elusivi che potevano eventualmente ricorrere” (Cass. n. 7335 del 2014, Cass. n. 19752 del 2013). Quindi l’art. 20 T.U.R. aveva natura di regola interpretativa e non di norma antielusiva, sicché l’Amministrazione poteva procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale (Cass. n. 8619 del 2018).
Sulla base di questo indirizzo veniva sottoposto ad imposizione non già l’atto in sé, ma l’intera operazione economica che l’atto intendeva realizzare, operazione che veniva individuata anche mediante il collegamento negoziale con elementi extratestuali alla luce dell’obiettivo economico concretamente perseguito e delle intenzioni delle parti. Si riteneva, infatti, che: “In tema di imposta di registro, l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (nella formulazione anteriore alla l. n. 205 del 2017) deve essere inteso nel senso che, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, l’Ufficio è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto configurabile una cessione di azienda nell’ipotesi di conferimento societario di un’azienda e di successiva cessione da parte del conferente a soggetti tersi delle quote della società, avendo riguardo alla vicinanza temporale degli atti”) – così Cass. n. 13610 del 2018.
3.2. Il Legislatore è, poi, intervenuto con l’art. 1, comma 87, della l. n. 205 del 2017 (la c.d. legge di bilancio 2018), disposizione che ha apportato significative modifiche agli artt. 20 e 53 bis del d.P.R. n. 131 del 1986 (T.U.R.), rubricati rispettivamente “interpretazione degli atti” e “attribuzioni e poteri degli Uffici”, espressamente vietando di utilizzare elementi estranei all’atto ai fini dell’interpretazione di quest’ultimo. La conseguenza dell’intervento legislativo ha determinato l’impossibilità di utilizzare, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’art. 20 T.U.R. quale parametro per risolvere le eventuali discrepanze tra effetti negoziali e gli effetti sostanziali dell’atto da registrare.
L’art. 20 T.U.R., infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Bilancio 2018, attualmente recita: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
3.3. La Corte di cassazione, con indirizzo ampiamente condiviso, ha negato la natura interpretativa delle modifiche introdotte (ex plurimis v. Cass. n. 4407 del 2018; Cass. n. 4589 del 2019) dalla legge di Bilancio 2018, sia perché non vi sarebbe stata una esplicita previsione dell’efficacia retroattiva all’interno della norma stessa, sia in ragione della mancanza di “adeguati motivi di interesse generale” per giustificare la retroattività della disposizione.
Il Legislatore, quindi, è intervenuto per superare le difficoltà interpretative della giurisprudenza in ordine alla retroattività della novità legislativa, affermando la natura di interpretazione autentica delle modifiche normative introdotte nel 2017 ed, in particolare, precisando che: “l’art. 1, comma 87, lettera a) della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”.
3.4. A seguito dell’intervento legislativo, questa Corte, con ordinanza n. 23549 del 2019, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 20 T.U.R., ritenendo che tale norma, come modificata dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019, contrastasse con agli artt. 53 e 3 Cost.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 158 del 2020, con riferimento alle argomentazioni espresse con la suddetta ordinanza, è intervenuta ad escludere i denunciati rilievi di incostituzionalità della l. n. 145 del 2018.
La Consulta ha rilevato che l’art. 20 T.U.R., nell’attuale formulazione censurata, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
La Corte, infatti, ha affermato che “il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa all’art. 1, comma 87, della legge n. 205 del 2017) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare quello sistematico) convergono unicamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986” (Corte cost. n. 158 del 2020)”. Il giudice delle leggi ha pure precisato che la Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione, esclude essa stessa “decisamente (indicando a sostegno l’indirizzo più recente della giurisprudenza di legittimità) che l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 abbia una specifica funzione antielusiva”.
In conclusione, secondo la Consulta, “la disciplina censurata non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria“, posto che, contrariamente all’interpretazione proposta dalla Corte di cassazione, che non è costituzionalmente necessitata (interpretazione secondo cui i fatti espressivi della capacità contributiva, a fondamento dell’imposta di registro, sono gli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione), il legislatore, riferendo la tassazione all’isolato atto portato a registrazione, ha inteso individuare, quale presupposto impositivo dell’imposta di registro, nell’ambito della sua discrezionalità, esercitata entro i limiti della coerenza e ragionevolezza, esclusivamente gli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, in modo conforme alla origine storica dell’imposta di registro (quale imposta d’atto), oltre che coerente a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata. La Consulta ha, infine, osservato che l’interpretazione evolutiva seguita dalla Corte di cassazione, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, consentendo all’Amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).
Queste conclusioni sono state ribadite dalla medesima Corte con la sentenza n. 39 del 2021.
I principi in esame sono stati condivisi, infine, anche dall’Agenzia delle entrate nella recente risposta all’interpello n. 371 del 17.9.2020, riguardo a fattispecie relativa all’applicazione dell’art. 20 T.U.R. in ipotesi di conferimento di ramo d’azienda seguito da cessione della partecipazione. L’Ufficio ha chiarito che la ratio sottostante alla modifica normativa introdotta dalla legge n. 205 del 2017 è quella “di circoscrivere l’ambito applicativo della stessa al contenuto del singolo atto sottoposto a registrazione, evitando così che elementi non espressi e/o desumibili anche da atti diversi possano essere presi in considerazione al fine di individuare il trattamento fiscale corretto”. Con riferimento alla specifica fattispecie relativa alla cessione di quote sociali preceduta dal conferimento del ramo d’azienda, l’Agenzia ha escluso che possa essere tassata alla stregua di una cessione d’azienda unitaria sulla base del disposto dell’art. 20 T.U.R. come modificato dalla legge di bilancio 2018.
4. Venendo all’esame della fattispecie negoziale per cui è causa, sulla base dei rilievi espressi, devono essere condivise le conclusioni a cui è giunta la Commissione Tributaria Regionale, essendo chiara la statuizione dell’art. 20 T.U.R., come recentemente interpretata dalla Consulta, secondo cui l’imposta di registro va applicata in relazione all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, prendendo in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati”.
Non può, pertanto, attribuirsi rilevanza – come pretende di fare l’Agenzia delle Entrate – ad altri atti posti in essere, anche dalle stesse parti e collegati a quello oggetto di registrazione, al fine di ricercare la causa concreta della complessiva operazione, colpendo l’imposta di registro la manifestazione di ricchezza espressa nello specifico atto. Un eventuale collegamento negoziale con altri atti, così come gli eventuali elementi extratestuali, possono assumere rilievo solo ed esclusivamente ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, con le relative garanzie procedurali e previa dimostrazione dei relativi presupposti applicativi – possibilità che consente di superare anche i dubbi di compatibilità dell’attuale formulazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 con la normativa comunitaria.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di questo giudizio devono essere compensate in considerazione degli interventi legislativi in corso di causa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese di questo giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 settembre 2019 - Non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di registro…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 agosto 2021, n. 23405 - L'imposta di registro è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27624 - L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 31 maggio 2021, n. 15131 - L'imposta di registro è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente
- Corte di Cassazione ordinanza n. 33244 depositata il 10 novembre 2022 - Il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza deve essere individuato nella stipulazione del contratto, sulla base sia della natura intrinseca e della configurazione giuridica…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20641 - In tema di imposta di registro, ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 - nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017 che, secondo l'art.1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, ne…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: travisamento della prova
In ordine all’omesso esame di un fatto decisivo il Supremo consesso (Cass….
- Unico 2023: compilazione del quadro RU per i credi
La compilazione del quadro RU della dichiarazione dei redditi 2023 per l’i…
- Si può richiedere il rimborso del credito d’
Il credito relativi a versamenti per imposta non dovuto se esposto in dichiarazi…
- L’avvocato deve risarcire il cliente per il
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26464 depositata il 13 settembre…
- In caso di fallimento della società cedente, il cu
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19806 depositata il 12 luglio 20…