Corte di Cassazione ordinanza n. 14893 depositata l’ 11 maggio 2022
revocazione – contenzioso tributario – IVA – detraibilità – operazioni inesistenti
FATTI DI CAUSA
1. La Immobiliare B.U. s.r.l. in fallimento propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 23 febbraio 2015, che, in parziale accoglimento dell’appello erariale, ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, relativo all’anno 2006, limitatamente al rilievo concernente la maggiore v.a. contestata, confermando, nel resto, la decisione di primo grado.
1.1 Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva rettificato la dichiarazione resa dalla società contestando la sua natura di soggetto interposto in relazione ad alcune operazioni immobiliari.
1.2 Il giudice di appello ha riferito che la Commissione provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo riconoscendo la deducibilità dei costi documentati e la detrazione della relativa i.v.a. di rivalsa ed escludendo la correttezza del rilievo avente ad oggetto i maggiori ricavi accertati, se non con riferimento all’importo di due versamenti eseguiti dalla C. s.p.a. per l’importo di euro 1.000,00, ciascuno.
Quindi, premessa la legittimazione all’impugnazione dell’atto impositivo da parte della società, benché nelle more fallita, per mezzo dell’originario legale rappresentante legale, ha riconosciuto la natura fittizia della società contribuente e ritenuto dimostrato il suo ruolo di soggetto interposto nelle operazioni immobiliari rilevate.
Ha, tuttavia, concluso per la fondatezza del solo rilevo attinente all’illegittima detrazione dell’i.v.a., ma non anche di quello attinente alla indebita deduzione dei costi, in ragione della mancata dimostrazione della loro riferibilità a beni direttamente utilizzati per il compimento di atti qualificabili quale delitto colposo.
3. Il ricorso è affidato a sei motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
4. Avvero tale ricorso incidentale la Immobiliare B.U. s.r.l. in fallimento resiste con controricorso.
5. Con distinto ricorso l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso altra sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 16 marzo 2016, che, pronunciandosi su ricorso per revocazione della sentenza precedentemente richiamata del 23 febbraio 2015, ha accolto tale impugnazione e, per l’effetto, respinto integralmente l’appello dell’Ufficio su cui tale ultima sentenza di era pronunciato.
5.1 La sentenza impugnata ha accolto il ricorso a seguito della rilevazione dell’errore di fatto in cui sarebbe incorso il precedente giudice, consistente nel ritenere che l’avviso di accertamento ponesse a base del rilievo avente ad oggetto l’i.v.a. indebitamente detratta una specifica contestazione, laddove, al contrario, tale pretesa troverebbe origine nell’estensione della disciplina di cui all’art. 14, comma 4-bis, I. 1993, n. 537, ritenuta dalla medesima sentenza revocanda inapplicabile al caso in esame.
6. Il ricorso è affidato a cinque motivi.
7. Resiste con controricorso la B.U. Immobiliare r.l. in fallimento.
8. Quest’ultima deposita memoria con riferimento ad entrambi giudizi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre preliminarmente procedere alla riunione dei due ricorsi, nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione, che deve, pertanto, essere esaminato con precedenza (cfr. Cass., Sez. Un., 7 novembre 1997, n. 10933; in tal senso, successivamente, cfr., tra le altre, Cass. 5 agosto 2016, n. 16435; 4 novembre 2014, n. 23445).
1.1 Con riferimento a quest’ultima impugnazione deve premettersi che, secondo un tradizionale e consolidato orientamento di questa Corte, l’art. 64, comma primo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui subordina l’ammissibilità della revocazione ordinaria alla non ulteriore impugnabilità della sentenza sul punto dell’accertamento in fatto, non si riferisce all’inoppugnabilità derivante dalla scadenza dei termini per l’impugnazione, ma a quella derivante dalle preclusioni relative all’oggetto del giudizio, ovverosia, per le sentenze di secondo grado, all’impossibilità di contestare l’accertamento in fatto in sede di legittimità, per cui è ammissibile la revocazione ordinaria avverso una sentenza della commissione tributaria regionale inoppugnabile sotto il profilo dell’accertamento in fatto, ancorché non sia ancora scaduto il termine per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr., ex multis, Cass., ord., 26 settembre 2017, n. 22385; Cass. 18 marzo 2016, n. 5′ 1398; Cass. 16 luglio 2008, n. 19522; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26305);
L’impugnazione per revocazione, in relazione ai casi previsti dai nn. 4) e 5) dell’art. 395 c.p.c. potrebbe, dunque, essere proposta avverso le sentenze d’appello delle Commissioni Tributarie Regionali anche se nei confronti delle stesse sia stato già proposto ricorso per cassazione o pendesse il termine per proporlo, visto che nel giudizio di cassazione non sono ammessi nuovi accertamenti di fatto, né possono essere proposti motivi che domandano una rivalutazione del giudizio sul fatto compiuto dal giudice d’appello.
Una siffatta tesi risulta coerente con la previsione di cui all’art. 398, quarto comma, c.p.c. – applicabile al giudizio tributario per effetto dei rinvii disposti dagli artt. 1, secondo comma, 61 e 66, d.lgs. n. 546 del 1992 – che afferma il principio della tendenziale non interferenza del giudizio di merito (in revocazione) e del giudizio di legittimità, prevedendo, allo scopo di realizzare la economia dei mezzi processuali, la facoltà – attribuita in via esclusiva al giudice di merito avanti il quale è proposto il ricorso per revocazione – di sospendere, su istanza di parte e qualora non ritenga il ricorso per revocazione manifestamente infondato, i termini per la proposizione del ricorso per cassazione, ovvero – se già proposto – di sospendere la prosecuzione del giudizio di legittimità fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione (cfr., in tema, Cass. 18 marzo 2016, n. 5398).
Tale norma, infatti, sarebbe priva di portata prescrittiva nel caso in cui la proposizione del ricorso per cassazione rendesse per ciò solo inammissibile il giudizio revocatorio.
1.2 La riferita tesi risulta ricevere l’avallo anche dalla novella di cui al lgs. 24 settembre 2015, n. 156, la quale, con l’art. 9, primo comma, lett. cc), ha modificato l’art. 64, d.lgs. n. 546 del 1992, stabilendo che «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile».
A questa disposizione può attribuirsi rilevanza a fini interpretativi anche della previgente disciplina, pur in assenza di una sua esplicita valenza interpretativa, atteso che, come emerge dal contenuto della relazione illustrativa, la stessa è stata approvata «allo scopo di eliminare le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo il testo vigente».
1.3 La persuasività delle argomentazioni poste a sostegno della tesi illustrata inducono a disattendere l’opposto orientamento – pur affermatosi presso questa Corte (ed espresso, da ultimo, da Cass., , 23 maggio 2018, n. 12784) – secondo cui nel processo tributario i ricorsi per revocazione proposti ai sensi dell’art. 64, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 (nella formulazione anteriore all’entrata in vigore dell’art. 9, comma 1, lett. cc), d.lgs. n. 156 del 2015), sono ammissibili solo nei confronti di sentenze che, involgendo accertamenti di fatto, non siano ulteriormente impugnabili sul punto controverso o non siano state impugnate nei termini con i mezzi ordinari di gravame, tra i quali rientra il ricorso per cassazione, per cui, per converso, non sarebbe ammissibile se tali sentenze fossero già impugnate con ricorso per cassazione o se, con riferimento ad esse, fossero ancora pendenti i termini per esperire il ricorso per cassazione.
2. Ciò posto, può essere prioritariamente esaminato, in applicazione del criterio della ragione più liquida, il secondo motivo del ricorso iscritto al 23999/16 R.G. con cui l’Agenzia denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver la sentenza impugnata ritenuto sussistente l’errore di fatto benché vertente su circostanza di fatto che aveva costituito un punto controverso della decisione.
2.1. Il motivo è fondato.
Come noto, l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione non può cadere su un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi, ossia su un punto che ha formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (cfr., ex coeteris, Cass. 9 arile 2019, n. 9527; Cass., ord., 30 ottobre 2018, n. 27570).
Orbene, come già rilevato, il giudice della revocazione ha affermato che sussistesse l’allegato errore di fatto consistente nell’aver ritenuto che il rilievo avente ad oggetto l’indebita detrazione dell’i.v.a. fosse fondato su una specifica contestazione, diversa da quella su cui si basava per il recupero per l’indebita deduzione dei costi, rappresentata dal precetto di cui all’art. 14, comma 4-bis, l.n. 537 del 1993.
Dall’esame degli atti emerge che la circostanza relativa all’accertamento delle ragioni poste alla base del recupero erariale risulta essere stata introdotta in giudizio, sin dal ricorso originario, dalla contribuente, la quale aveva allegato che il rilievo in esame era giustificato con la violazione del richiamato art. 14, comma 4-bis.
Sul punto l’Agenzia si era difesa contestando l’assunto della contribuente e sostenendo che il rilievo si fondava sul diverso presupposto dell’inesistenza delle operazioni.
In ordine a tale questione, sollevata dalla contribuente anche nelle sue controdeduzioni in appello, la Commissione regionale, nella sentenza revocanda, ha deciso, escludendo, sia pure implicitamente, la correttezza della ricostruzione fattuale della contribuente e ritenendo che il rilievo fosse fondato su diversa, specifica contestazione.
Da quanto riferito consegue che il supposto errore di fatto in cui sarebbe incorsa il giudice di appello verte su un punto controverso, in quanto introdotto nel giudizio e oggetto del contraddittorio svoltosi tra le parti.
Si tratta, dunque, di un errore che, anche laddove effettivamente sussistente, non si presta ad essere dedotto con lo strumento del ricorso per revocazione.
3. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso segue, previo l’assorbimento dei motivi residui, la cassazione della sentenza di revocazione.
4. L’accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza di revocazione rende ammissibile l’esame del ricorso proposto sulla originaria sentenza di appello, iscritto al 26485/2015 R.G.
4.1. Al riguardo, con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per difetto di motivazione, nella parte in cui ha richiamato altra sua sentenza emessa con riferimento al medesimo atto impositivo, nel giudizio di impugnazione proposto dall’avv. S.L., e relativa alla ingerenza di quest’ultimo nella gestione della società contribuente, mentre ha omesso alcun richiamo ad altre decisioni della medesima Commissione regionale, passate in giudicato, emesse con riferimento alla posizione di altre società asseritamente coinvolte nelle operazioni rilevate, che hanno escluso la sussistenza della contestata frode fiscale.
5. Con il secondo motivo formula analoga censura di nullità della sentenza per difetto di motivazione nella parte in cui ha ritenuto indetraibile l’i.v.a.
5.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.
Il giudice di appello ha ritenuto, sulla base di una sua autonoma valutazione degli elementi di prova, sia pure coincidente, quanto ai risultati raggiunti, con quello dalla medesima espressa in altro giudizio vertente sulla legittimità del medesimo atto impositivo nei confronti di altro soggetto, che la contribuente era un soggetto fittizio, in quanto privo di sede effettiva, struttura operativa e dipendenti, e che, con riferimento alle operazioni immobiliari in oggetto, aveva operato quale soggetto fittiziamente interposto, al solo fine di realizzare una frode ai danni dell’erario.
Per tali ragioni la Commissione regionale ha ritenuto che fosse «legittimo il recupero delle detrazioni (ai fini dell’i.v.a.) effettuato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato».
Una siffatta argomentazione è idonea a rendere palese l’iter logico giuridico seguito dal giudice, per cui si sottrae alle censure formulate.
6. Con il terzo motivo la contribuente deduce, con riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., per aver dichiarato, quanto al rilievo avente ad oggetto la detraibilità dell’i.v.a., la legittimità dell’atto impositivo per ragioni diverse da quelle poste a fondamento del medesimo.
6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la mancata riproduzione dell’atto impositivo, nella parte relativa al rilievo in esame, non consente di poter esprimere un giudizio in ordine alla fondatezza della censura.
7. Con il quarto motivo la società si duole dell’omesso esame di un fatto deciso e controverso del giudizio, consistente nel fatto che essa ha intrapreso trattative con il fisco per il pagamento dei propri debiti verso l’erario.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Il fatto storico asseritamente non esaminato è privo del carattere della decisività, in quanto l’esistenza formale di una società di capitali, a seguito della sua iscrizione del registro delle imprese, e la sua interlocuzione con uffici amministrativi non determina necessariamente che le operazioni alla stessa formalmente riferibili corrispondano ad atti dalla medesima posti in essere nell’esercizio di un’attività di impresa e, dunque, ad operazioni dalla stessa effettivamente poste in essere.
8. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per aver la sentenza impugnata ritenuto che essa fosse un soggetto meramente interposto e sussistesse uno «schema frodatorio».
8.1. Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve, essenzialmente, in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959).
9. Con l’ultimo motivo la contribuente critica la sentenza di appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17, Dir. 77/388/CEE, nonché del principio di neutralità dell’i.v.a., per aver escluso il diritto alla detrazione dell’i.v.a. pur in assenza di un vantaggio fiscale per essa contribuente la quale aveva provveduto al versamento dell’i.v.a. di rivalsa sugli acquisti compiuti.
9.1. Il motivo è infondato.
Il diritto alla detrazione dell’i.v.a. è subordinato al fatto che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e, a monte, che detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo (cfr., ex coeteris, Corte Giust. 19 ottobre 2017, se Paper Consult; Corte Giust. 22 ottobre 2015, Ppuh).
Per tale ragione, il diritto alla detrazione non spetta quando, come nel caso in esame, le operazioni commerciali non sono (in tutto o in parte) mai state poste in essere nei confronti delle apparenti parti contraenti e la fattura è mera espressione cartolare di eventi non avvenuti.
Ad una siffatta conclusione non osta il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici per l’assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI).
Pertanto, la sentenza di appello, nell’escludere la detrazione dell’i.v.a. di rivalsa assolta dalla contribuente sul presupposto della mancata effettuazione della relativa operazione, ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto.
10. Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Agenzia censura la sentenza impugnata, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia in ordine alla legittimità del terzo rilievo, avente ad oggetto la indebita deduzione di costi relativi a due fatture emesse dalla Trade Estate Consulting s.r.l. per inesistenza delle relative operazioni.
10.1 Il motivo è fondato, atteso che la parte ha offerto idonea dimostrazione di aver proposto un motivo di appello in ordine al capo di sentenza relativo a tale oggetto, attraverso la sua riproduzione e che la Commissione regionale ha omesso alcuna pronuncia in proposito.
10.2 Infondata è, in proposito, l’eccezione di inammissibilità della contribuente, sollevata in ragione dell’asserita irrilevanza del motivo per infondatezza del rilievo.
Non può, infatti, condividersi la tesi espressa sul punto dalla società, in quanto l’eventuale dimostrazione dell’inesistenza delle operazioni condurrebbe alla negazione del diritto alla deduzione dei costi esposti nelle relative fatture.
11. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 136, secondo comma, 4, c.p.c. e 1, secondo comma, e 36, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui ha riconosciuto la deduzione dei costi, ritenuti non relativi a beni direttamente utilizzati per il compimento di atti qualificabili quale delitto non colposo con affermazione apodittica.
11.1. Il motivo è infondato, in quanto la sentenza, dopo aver diffusamente riferito in ordine in ordine alle modalità con cui le operazioni in oggetto sono state poste in essere e, dunque, al ruolo rivestito dalla contribuente, ha concluso che le spese da quest’ultima poste in essere per il compimento di tali operazioni non fossero riconducibili ad una fattispecie delittuosa non colposa.
Così argomentando ha reso palese l’iter logico-giuridico seguito.
12. Con l’ultimo motivo la ricorrente incidentale si duole, con riferimento al medesimo rilievo, dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso della decisione, per aver il giudice di appello omesso di considerare che il disconoscimento del diritto alla deduzione dei costi era stato motivato con l’inesistenza della contribuente, in quanto soggetto interposto.
10.1. Il motivo è infondato, in quanto la Commissione regionale ha preso in considerazione tale circostanza, ma ciononostante, ha ritenuto che i costi fossero deducibili in ragione della loro non riconducibilità a condotte delittuose non colpose.
12. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
la Corte, quanto al ricorso 23999/16 R.G., accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; quanto al ricorso 26485/15 R.G., rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata ricorso con rifermento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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