CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 14905 depositata il 29 maggio 2023

Tributi – Esenzione da imposta degli interessi pagati a società residenti in altri Stati membri dell’Unione Europea – Ritenuta a titolo d’imposta, nel caso di corresponsione di interessi su finanziamenti da una società residente ad una non residente – Interessi passivi su finanziamenti – Regime fiscale dei flussi transfrontalieri di interessi – Direttiva IRD – Individuazione del beneficiario effettivo – Accoglimento

Rilevato che

1. (…) s.a.r.l., società di diritto lussemburghese, invocando il d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater – che prevede l’esenzione da imposta degli interessi pagati a società residenti in altri Stati membri dell’Unione Europea-presentò domanda di rimborso delle ritenute IRPEF, relative all’anno d’imposta 2007, subite, ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 5, – riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta, nel caso di corresponsione di interessi su finanziamenti da una società residente ad una non residente- sugli interessi che le erano stati pagati, a fronte di contratti di finanziamento, da cinque società italiane da essa controllate.

2. Avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Ufficio, la società propose ricorso dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, che lo ha rigettato, ritenendo che la ricorrente non avesse dato prova di essere stata la beneficiaria effettiva degli interessi e che tali interessi fossero stati assoggettati ad imposizione in Lussemburgo.

3. La contribuente ha impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo-sezione staccata di Pescara, che lo ha accolto con la sentenza di cui all’epigrafe.

La CTR ha ritenuto, infatti, che la società avesse provato la qualifica di beneficiario effettivo.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per la cassazione l’Ufficio, formulando tre motivi.

5. La contribuente resiste con controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo, l’Agenzia censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la decisione impugnata per l’omessa od apparente motivazione.

Il motivo è infondato. Va infatti rammentato che “La riformulazione dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053).

Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non è affetta da nessuna di tali patologie, consentendo di ricostruire il percorso logico-giuridico, non contraddittorio, che ha condotto alla decisione. Ne’ difetta, peraltro, nella motivazione il riferimento, per quanto sintetico, alle fonti istruttorie valutate dal giudice a quo.

Tutt’altra questione, ovviamente, è invece quella della fondatezza o meno della stessa decisione, sindacata con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, ai sensi dell’ art. 360, comma 1 n. 3,  c.p.c..

2. Con il secondo motivo, l’Agenzia censura, ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la decisione impugnata per la violazione e/o la falsa applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater e dell’art. 2697 c.c., relativamente al riconoscimento, da parte della CTR, in capo alla contribuente della qualità di beneficiario effettivo degli interessi in questione, contestata specificamente dall’Agenzia nei gradi di merito (come da autosufficienti riferimenti inseriti nel corpo del ricorso).

Assume infatti la ricorrente che la CTR avrebbe errato nel ritenere sufficiente l’accertamento che gli interessi siano entrati nel bilancio dell’esercizio 2007 della contribuente, mentre l’individuazione del beneficiario effettivo deve essere interpretato in senso sostanziale, occorrendo verificare non soltanto che i relativi importi siano prevenuti nel patrimonio di chi ne risulti formalmente percipiente, ma anche il titolo effettivo di tale acquisizione, al fine di accertare se esso attribuisse alla contribuente la titolarità e la piena disponibilità, giuridica ed economica, della relativa ricchezza, sicché possa dirsi che essa non sia solo transitata nella sfera patrimoniale dell’accipiens e che quest’ultimo fosse legittimato, anche sostanzialmente, a trattenerla e ad impiegarla autonomamente.

Il motivo è fondato.

2.1. Al fine di meglio rimarcare i profili essenziali della lite, è utile innanzitutto ricordare che si controverte dell’applicabilità del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater, che prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea, qualora ricorrano determinate condizioni previste dal legislatore.

Nel caso di specie, la condizione oggetto della censura di cui al secondo motivo è dettata dal comma 4, lett. c), n. 1, del ridetto art. 26-quater del d.p.r. n. 600 del 1973, secondo cui ” La disposizione di cui al comma 1 (ovvero l’esenzione) si applica se: (…) c) le società non residenti di cui alla lettera a) e le stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società aventi i requisiti di cui alla lettera a) sono beneficiarie effettive dei redditi indicati nel comma 3; a tal fine, sono considerate beneficiarie effettive di interessi o di canoni: 1) le predette società, se ricevono i pagamenti in qualità di beneficiario finale e non di intermediario, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona;(…)”.

Pertanto, la controversia si colloca, sul piano normativo, nel perimetro della direttiva 2003/49/CE (c.d. direttiva IRD) – che è alla base dell’introduzione, nella normativa nazionale, del citato art. 26-quater – sulla quale si innestano rilevanti decisioni della Corte di giustizia e di questa sezione tributaria: Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16; Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-116/16, C-117/16, (tali decisioni vengono indicate come le “sentenze danesi”: la prima pronuncia (di seguito più volte richiamata) riguarda la materia degli interessi passivi su finanziamenti; la seconda pronuncia attiene all’esenzione da imposta dei dividendi distribuiti da società di uno Stato membro a società di altri Stati membri); Cass. 10/07/2020, n. 14756; Cass. 30/09/2019, n. 24297.

2.2. Delineate, sinteticamente, la normativa e la giurisprudenza sovranazionale e di legittimità cui occorre fare riferimento, va rilevato che la direttiva IRD prevede sì l’obbligo generale dello Stato di residenza di assoggettare a tassazione il soggetto destinatario degli interessi (dei canoni etc.), ma fa salva l’applicazione della c.d. clausola del beneficiario effettivo (beneficial owner). A chiarirlo è la stessa Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16), secondo cui lo scopo della direttiva è di assicurare ai flussi di interessi (etc.) tra consociate (o stabili organizzazioni di consociate) di due diversi Stati membri, (beninteso) in possesso dei necessari requisiti applicativi, il trattamento fiscale ad essi riservato nelle operazioni intercorse all’interno di un unico Stato membro. A tal fine si dispone che gli interessi (etc.) siano esenti dalla ritenuta nello Stato della fonte, per essere assoggettati ad imposta una sola volta nello Stato di residenza del creditore, il quale deve esercitare il potere impositivo che gli è stato affidato in via esclusiva (ibidem, punti 151 e 152).

2.3. Il regime fiscale dei flussi transfrontalieri di interessi impone, pertanto, di stabilire se il percettore “formale” ne sia o meno il beneficiario effettivo, senza tralasciare che, per la direttiva IRD (art. 1, par. 4), “Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona” (in termini, Cass. n. 14756/2020, cit., pagg. 8-9).

Pertanto, l’indagine sul beneficiario effettivo s’interseca necessariamente con la verifica del ruolo concretamente assunto dall’eventuale società intermediaria (conduit company o socie’te’ relais), con l’ulteriore notazione, da parte dalla dottrina, che nell’ordinamento Eurounitario la clausola del beneficiario effettivo ha lo scopo di impedire che possa attuarsi una particolare forma di abuso, tanto delle convenzioni contro le doppie imposizioni che della stessa direttiva IRD, mediante l’interposizione, reale (se la società esiste effettivamente) o fittizia (se la società è una costruzione puramente artificiosa, c.d. letter box), di società conduit in un flusso reddituale transfrontaliero. Infatti, può accadere che, tramite la società relais, il soggetto interponente fruisca di un regime impositivo di favore – che, altrimenti, gli sarebbe precluso a causa del luogo di residenza o per la mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla normativa unionale e da quella degli Stati membri – per una finalità di ottimizzazione del carico fiscale complessivo gravante sul flusso transfrontaliero.

In termini generali, tuttavia, l’abuso in senso tecnico – che è una costruzione artificiosa per cui la società di un gruppo è posta nelle condizioni di beneficiare delle esenzioni fiscali concesse dalla direttiva IRD e dalla normativa nazionale di recepimento – va tenuto distinto dalla verifica se la società percettrice dei flussi reddituali risponda o meno ai requisiti per fruire di vantaggi che, altrimenti, non le sarebbero dovuti. Infatti, una cosa è l’abuso del diritto, altra sono i requisiti da soddisfare affinché spettino i benefìci riconosciuti da disposizioni ispirate ad una finalità antiabusiva (ed è quest’ultimo il campo nel quale s’inscrive la figura del beneficiario effettivo). Si tratta di diversi piani di indagine, anche dal punto di vista della concreta attività accertatrice e della ripartizione, tra fisco e contribuente, dell’onere della prova.

In sostanza, come è stato ben sottolineato in dottrina, l’abuso in senso tecnico e, cioè, la pratica di porsi artificiosamente nelle condizioni per beneficiare delle esenzioni concesse dalle (normative di recepimento delle) Direttive, differisce dai comportamenti interessati da specifiche previsioni che pure siano ispirate da finalità antiabuso, le quali, nell’ambito delle Direttive, sono tipicamente concepite come requisiti da soddisfare affinché spettino i benefici tributari. Infatti, laddove tali comportamenti siano posti in essere e siano nondimeno invocati i vantaggi tributari previsti dalle Direttive, non si è tecnicamente in presenza di abuso, dato che il contribuente non ha in realtà soddisfatto i requisiti per beneficiare di tali vantaggi, che dunque non spettano. In particolare, la condizione di “beneficiario effettivo” degli interessi costituisce appunto un requisito da soddisfare affinché spettino i benefici concessi dalla direttiva e, come tale, non deve essere confuso con l’applicazione delle norme antiabuso. Sotto il profilo logico, deve innanzitutto stabilirsi se il percipiente sia o meno il “beneficiario effettivo” degli interessi o canoni secondo la definizione fornita dalla normativa di recepimento della direttiva interessi-royalties, e qualora la risposta sia negativa i benefici della direttiva non spettano e possono essere disconosciuti senza ricorrere alle norme antiabusive.

2.4. In merito alla clausola, cruciale, del “beneficiario effettivo“, il percorso argomentativo della Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16) chiarisce che “il termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale” (cfr. punto 6 della decisione che richiama il punto 8 del Commentario OCSE, edizione 2003. Tale aspetto è precisato ulteriormente nell’edizione 2017 del Commentario, par. da 9 a 14, dove, in particolare al par. 9.1., si puntualizza che, proprio in ragione della finalità antielusiva della clausola: “The term “beneficial owner” is therefore not used in a narrow technical sense (such as the meaning that it has under the trust law of many common law countries), rather it should be understood in its context, in particular in relation to the words “paid to a resident”, and in light of the object and purposes of the Convention, including avoiding double taxation and the prevention of fiscal evasion and avoidance”).

2.5. L’individuazione del “beneficiario effettivo”, talvolta (ma non necessariamente) non disgiunta dall’interferenza di una società “conduit”, non può prescindere da un approfondito scrutinio della fattispecie concreta ad opera del giudice di merito, che sia idoneo a gettare luce sulla sostanza economica dell’operazione finanziaria. Al riguardo, la già citata Cass. n. 14756/2020 (la quale richiama Cass. 28/12/2016, n. 27112, in materia di dividendi; cfr., altresì, le sentenze “gemelle” nn. 27113/2016, 27115/2016, 27116/2016) afferma che una subholding pura – che è sufficiente abbia una struttura “leggera”, ma adeguata – può essere considerata “beneficiario effettivo” degli interessi (etc.) all’esito della valutazione di una serie di “parametri spia”, che indicano la padronanza e l’autonomia di gestione del flusso di reddito, nonché l’assenza di indici di artificiosità e di abusività, come delineati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia., Inoltre, considerato che la condizione di “beneficiario effettivo” degli interessi costituisce un requisito da soddisfare affinché spettino i benefici concessi dalla direttiva, lo Stato d’origine può imporre alla società percettrice degli interessi di dimostrare di esserne il beneficiario effettivo, nel senso di rappresentare l’entità che benefici effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e disponga, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione (Corte di giustizia, sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, cit., punti140-145 e 122, primo trattino). Spetta quindi alla società contribuente, anche per il principio di vicinanza della prova (art. 2697 c.c.), dimostrare di essere il “beneficiario effettivo”, sul piano sostanziale e non meramente formale (in termini, Cass. n. 17746/2021); invece, in caso di superamento del primo step di verifica, in ossequio alla regola generale sull’onere della prova, all’Amministrazione spetterà dimostrare l’eventuale abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa.

L’indagine si articola in tre test, autonomi e disgiunti, che, a seconda della fattispecie concreta, prendono in considerazione dei “parametri spia” o “indici segnaletici, e sono stati denominati dalla dottrina, la quale ha razionalizzato i principi cardine enunciati dalla giurisprudenza, comunitaria e di legittimità, e dalle Corti anglosassoni e mittelEuropee in noti leading case: i) il substantive business activity test; (ii) il dominion test; (iii) il business purpose test.

Il primo test mira a verificare se la società interposta sia o meno una costruzione artificiosa in quanto, per i principi generali del diritto dell’Unione Europea, gli Stati membri non possono avvalersi in maniera fraudolenta e abusiva delle norme di diritto Eurounitario. Se una società non supera la prova dello svolgimento di un’attività economica effettiva, si è in presenza di un abuso e alla società non è precluso soltanto di fruire del regime fiscale riservato dalla direttiva IRD al beneficiario effettivo, ma anche di avvalersi del fascio di libertà e diritti riconosciuti dal TFUE.

Il dominion test è il centro dell’indagine e, prescindendo da costruzioni artificiose, punta al cuore del significato economico della specifica operazione (substantial economic effect) indagata, atteso che, in ipotesi, la stessa società ben può essere beneficiario effettivo riguardo i flussi finanziari provenienti da alcune operazioni del gruppo e non esserlo invece rispetto ad altre. Con esso si valuta la capacità della società di disporre liberamente degli interessi percepiti, se cioè essa ne sia o meno il beneficiario effettivo. Il “dominio” degli interessi ricevuti si ha quando la percipiente ne può disporre liberamente e non è tenuta a rimettere il flusso reddituale ad un terzo (che può essere anche una società appartenente allo stesso gruppo multinazionale). L’obbligazione restitutoria può risultare da un contratto o può essere desunta da elementi fattuali, quali, a titolo di esempio: il ristretto arco di tempo tra la ricezione degli interessi e il pagamento della rata del finanziamento ricevuto; la regolarità dei trasferimenti alla controllante; l’esiguità del margine di guadagno sugli interessi ricevuti; l’identità del management della società interposta e di quella destinataria finale del flusso reddituale; la circostanza che la società interposta non abbia deliberato il finanziamento, che non ne sopporti il rischio, o, ancora, che non possa rinunciare alle somme prestate (in termini, Cass. nn. 32840/2018, 32842/2018, in materia di royalties; Cass. n. 26920/2022, in materia di dividendi). Se una società non supera il dominion test non può essere considerata il beneficiario effettivo, ma non le è precluso di godere degli altri diritti e libertà sanciti dal diritto Europeo. Il business purpose test indaga sulle ragioni della deviazione del flusso reddituale, onde appurare se la “triangolazione” sia finalizzata soltanto al risparmio fiscale o se invece risponde ad altre motivazioni economiche.

2.6. Da un’ultima angolazione, per la Corte di giustizia si può verificare se la società terza per la quale agisce la società conduit abbia in proprio i requisiti per fruire del regime di esenzione della convenzione o della direttiva e, in caso di risposta affermativa, il beneficio fiscale deve essere riconosciuto (c.d. approccio look through). Infatti, per i Giudici del Lussemburgo (ibidem, punto 94) “la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non ne sia il “beneficiario effettivo” non esclude necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. E’, infatti, concepibile che gli interessi medesimi siano esentati a tal titolo, nello Stato della fonte, nel caso in cui la società percettrice ne trasferisca l’importo ad un beneficiario effettivo stabilito nell’Unione che risponda peraltro a tutti requisiti indicati dalla direttiva 2003/49 ai fini del beneficio dell’esenzione”. L’approccio look through, in ogni caso, resta circoscritto al perimetro applicativo della direttiva, in quanto ” solamente un’entità stabilita nell’Unione può costituire un beneficiario effettivo degli interessi, idoneo a godere dell’esenzione prevista dall’art. 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49″ (punto 89 della citata sentenza). Tanto meno il look through approach può essere utilizzato per riconoscere il regime di esenzione della direttiva ad un beneficiario effettivo che, per quanto residente all’interno dell’Unione, sia tuttavia privo dei requisiti tassativamente richiesti. Al riguardo, è lo stesso art. 3, comma 1, lett. b), della direttiva IRD (tradotto nell’ordinamento interno dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater, comma 2, lett. b),), che – con chiarezza letterale tale da non dare adito a dubbi o divergenze nella sua interpretazione – configura la partecipazione rilevante necessariamente come “diretta” e consente agli Stati membri di sostituire, come ha fatto l’Italia, il criterio della partecipazione di una quota minima nel capitale con quello di una quota minima “dei diritti di voto”.

In questo senso, del resto, questa Corte ha già chiarito che “In tema di agevolazioni, ai fini dell’applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater, comma 1, il quale dispone l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea, la detenzione, da parte della società che riceve il pagamento dei canoni o interessi, del 25% dei diritti di voto nella società che effettua il pagamento deve essere diretta, sicché la stessa non può essere anche indiretta in quanto, per un verso, trattandosi di disposizione avente natura agevolativa, è di stretta interpretazione e, per un altro, tale interpretazione è conforme all’art. 3 della direttiva Consiglio 2003/49/CE.” (Cass. 30/09/2019, n. 24297).

2.7. In base alla corretta esegesi della direttiva IRD, fornita dalle “sentenze danesi”, pertanto, va ribadito, per quanto qui rileva, il principio di diritto più volte già enunciato da questa Corte (Cass. 28/02/2023, n. 6005; nello stesso senso, in motivazione, Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023; Cass. n. 6061/2023; Cass. n. 6050/2023; Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023), secondo cui:

In tema di esenzione degli interessi (e di altri flussi reddituali) dall’imposta ex d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater, in applicazione dell’ordinario riparto dell’onere probatorio tra fisco e contribuente, nonché per il principio di vicinanza della prova, spetta alla società contribuente, che ne adduca la qualità, la prova di essere il “beneficiario effettivo”; a tal fine è necessario che essa superi tre test, autonomi e disgiunti, (i quali, in rapporto alla fattispecie concreta, prendono in considerazione dei “parametri spia” o “indici segnaletici”): (i) il substantive business activity test, che verifica se la società percipiente svolga un’attività economica effettiva; (ii) il dominion test, che verifica se la società percipiente possa disporre liberamente degli interessi ricevuti o se invece sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo; (iii) il business purpose test, che verifica le ragioni dell’interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, e cioè se la società percipiente abbia una funzione nell’operazione di finanziamento, o se invece sia una mera conduit company (o socie’te’ relais), la cui interposizione è finalizzata esclusivamente ad un risparmio fiscale“.

2.8. Tornando al secondo motivo di ricorso, in ragione della già svolta premessa sulle norme ed i principi di diritto applicabili alla fattispecie, non è quindi corretta l’argomentazione portante della decisione della CTR, secondo cui dalla mera registrazione, nel bilancio del 2007, degli interessi tra i proventi percepiti dalla contribuente, “e’ ragionevole desumere la sua qualità di beneficiario finale dei pagamenti e non di intermediario, agente, delegato o fiduciario di altro soggetto”. Si tratta infatti di una conclusione errata in diritto, giacché difetta nell’interpretazione del concetto di “beneficiario effettivo”, che per tutte le ragioni già esposte, deve essere letto in chiave non meramente formale, ma sostanziale, ed accertato all’esito dei “parametri spia” da rapportare alla fattispecie concreta che, fermo restando l’onere della prova in capo alla contribuente, richiedeva quanto meno la verifica di cui al dominion test, tanto più in relazione alle contestazioni dell’Amministrazione appellante riguardo l’effettiva permanenza e disponibilità degli interessi nella sfera patrimoniale della percipiente.

2.9. Limitandosi quindi a constatare l’ingresso, con relativa attestazione contabile, delle somme in questione nel bilancio della percipiente, la CTR si è fermata ad una verifica meramente formale circa l’adempimento dell’onere probatorio gravante sulla contribuente in ordine alla qualità di “beneficiario effettivo”. Non osta a tale conclusione il generico richiamo, nella motivazione, alla prassi erariale che richiede che la percipiente tragga “un proprio beneficio economico dall’operazione posta in essere”, in quanto si tratta di affermazione formulata in via astratta, non seguita, con riferimento puntuale al caso concreto, da altro accertamento che non sia la risultanza del bilancio. Ne’ rileva, al fine di accertare che l’accipiens formale fosse anche il beneficiario effettivo, il riferimento al “certificato rilasciato dall’Autorità Fiscale del Lussemburgo che attesta la residenza fiscale della società nel (…) e la sua soggezione all’imposta sul reddito senza possibilità di opzione o di esenzione.”. In disparte la valutazione della rilevanza o meno di tale documento rispetto ad ulteriori requisiti dell’esenzione invocata, esso non comporta la verifica sostanziale anche dell’effettiva permanenza e disponibilità degli interessi nella sfera patrimoniale della percipiente, secondo i parametri del richiamato dominion test. Ne’, comunque, la stessa CTR ha specificamente attribuito al documento in questione rilevanza istruttoria rispetto al requisito, preliminare e sostanziale, della natura di beneficiario effettivo (inteso nel senso concreto già illustrato) della contribuente

2.10. La sentenza impugnata va pertanto cassata, per effetto dell’accoglimento del secondo motivo, con rinvio al giudice a quo, che provvederà agli accertamenti in fatto, secondo i principi già illustrati.

3. Con il terzo motivo, l’Agenzia censura, ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la decisione impugnata per la violazione e/o la falsa applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater e dell’art. 2697 c.c., relativamente alla prova dell’avvenuto assoggettamento a doppia imposizione degli interessi in questione in capo alla contribuente che li ha percepiti, assumendo che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente il “certificato rilasciato dall’Autorità Fiscale del Lussemburgo che attesta la residenza fiscale della società nel (…) e la sua soggezione all’imposta sul reddito senza possibilità di opzione o di esenzione.”, mentre sarebbe stato necessario accertare l’effettiva tassazione operata nel caso concreto, sul medesimo cespite, dallo Stato estero di residenza della percipiente lussemburghese.

Il motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del secondo, atteso che solo il preventivo accertamento positivo della contestata qualità di “beneficiario effettivo”, in capo alla società che ha ricevuto (almeno formalmente, come non è controverso) gli interessi in questione, renderebbe in ipotesi rilevante, ai fini della doppia imposizione e dell’applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26quater, comma 1, la questione relativa all'”assoggettamento” dei medesimi cespiti all’imposizione lussemburghese, tenuto conto anche della convenzione bilaterale vigente tra Italia e Lussemburgo. Nella sostanza, per quanto già ampiamente argomentato, l’accertamento della qualità o meno di beneficiario effettivo in capo alla contribuente, ed eventualmente l’individuazione di un diverso beneficiario effettivo, interferiscono a monte sulla conseguente individuazione e rilevanza dell’imposizione da parte di uno Stato terzo.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo-sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.