Corte di Cassazione ordinanza n. 15043 depositata l’ 11 giugno 2018
ove il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato nel marzo 2005 il signor P.P. conveniva davanti al tribunale di Milano il signor F.F., la società F. s.r.l. e la società di diritto statunitense F.E. I.e.e. (limitet liability company) esponendo le seguenti circostanze di fatto:
esso attore era l’unico proprietario delle quote della convenuta società F.E. I.e.e., fiduciariamente intestate alla società N. s.a. di Lugano;
l’unico patrimonio della F.E. I.e.e. era costituito da un appartamento in Milano del valore di oltre € 800.000, abitato dall’attore e dai suoi genitori;
stretto da impellenti necessità finanziarie, esso attore aveva accettato l’offerta del F.F. di un mutuo di € 650.000, da versare in più scadenze e da garantire mediante il trasferimento al mutuante, fino alla restituzione della somma mutuata, delle quote della F.E. I.e.e.;
tra esso P.P. e il F.F. era stato quindi stipulato un contratto – documentato da una scrittura privata depositata presso il notaio Parini di Lugano – in forza del quale, contestualmente alla cessione al F.F. delle quote della F.E. I.e.e., quest’ultimo si impegnava ad erogare il prestito secondo determinate scadenze, a non disporre dell’immobile in proprietà della F.E. I.e.e. se non in caso di mancata restituzione del mutuo entro la scadenza del 31/12/2003, a lasciare il godimento dell’immobile al P.P. e ai suoi genitori (stipulando questi ultimi apposito contratto di comodato), a retrocedere al P.P. le quote della F.E. I.e.e., dopo aver ricevuto la restituzione del prestito;
il F.F. si era reso inadempiente alle obbligazioni contrattuali su di lui gravanti, perché, da un lato non aveva erogato l’intera somma contrattualmente prevista, ma solo il minor importo di € 350.000, e, d’altro lato, in data 2/10/2003 (anteriore alla scadenza del termine di restituzione del mutuo) aveva esercitato contra pacta i poteri che gli derivavano dalla temporanea titolarità delle quote della società F.E. I.e.e. (all’epoca legalmente rappresentata dalla sig.ra Francesca D’Errico), facendo vendere a prezzo vile (€ 400.000) alla società F. s.r.l. l’appartamento milanese che, come già accennato, costituiva l’unico cespite della F.E..
Sulla scorta di tali premesse di fatto, il P.P. domandava, per quanto qui ancora interessa, la declaratoria di nullità del contratto di compravendita di quote, in quanto realizzato in violazione del divieto di patto commissorio di cui all’articolo 2744 e.e.; la consequenziale nullità e/o inefficacia del contratto di compravendita dell’appartamento sito in Milano; l’inadempimento del F.F. alle obbligazioni contrattuali su di lui gravanti, con conseguente condanna al risarcimento del danno; la condanna solidale di tutti i convenuti al risarcimento dei «danni subiti in conseguenza della illecita condotta negoziale dagli stessi posta in essere, scaturenti dalla mancata disponibilità dell’immobile e delle connesse garanzie reali che avrebbero certamente evitato lo stato di insolvenza in cui lo stesso è incorso».
Il tribunale di Milano rigettava la domanda dell’attore e la corte d’appello di Milano, adita dal P.P., riformava parzialmente la sentenza di primo grado, dichiarando nullo, per violazione del divieto di patto commissorio, il contratto di cui alla scrittura depositata presso il notaio Parini di Lugano e confermando il rigetto di tutte le altre domande.
Avverso la sentenza della corte d’appello di Milano il P.P. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi; il F.F. si è difeso con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, articolato in quattro motivi, al quale il P.P. ha replicato depositando a propria volta controricorso a ricorso incidentale. La F. s.r.l. si è anch’essa difesa con controricorso. F.E. I.e.e. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La causa veniva chiamata in discussione all’udienza del 21.2.17, per la quale solo il F.F. depositava memoria ex articolo 378 c.p.c. ed nella quale il Collegio disponeva il rinvio a nuovo ruolo in mancanza di prova della comunicazione della fissazione dell’udienza alla società F..
Alla successiva udienza del 16.11.17, per la quale il F.F. depositava una seconda memoria ex articolo 378 c.p.c., la causa è stata alfine discussa ed il Procuratore Generale concludeva come da verbale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso – rubricato con riferimento al vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 2043 e.e. – il ricorrente attinge la statuizione con cui la corte territoriale ha rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni derivatigli dall’illecita condotta negoziale posta in essere dai convenuti.
A fondamento della propria decisione la corte ambrosiana argomentava che, se l’espressione “condotta negoziale” si fosse dovuta intendere come riferita alla condotta «sussun1ibile da un collegamento fra i vari negozi», allora la domanda risarcitoria del P.P. sarebbe stata viziata di genericità, «non essendo stata, in verità, neppure motivata (basti pensare che nessun accenno ad essa è stato fatto in alcuno degli scritti conclusionali da parte dei nuovi difensori costituiti in questo gradoj»; se invece l’espressione “condotta negoziale” si fosse dovuta intendere come equivalente a “condotta contrattuale” (ipotesi, quest’ultima, che la corte sembra privilegiare, sulla scorta delle modalità con cui la domanda era stata riportata nell’atto d’appello del P.P.), allora la domanda risarcitoria sarebbe stata da rigettare, quanto al F.F., per la non configurabilità di una responsabilità risarcitoria dipendente dall’inadempimento di un contratto nullo, quanto alla F.E., per avere questa legittimamente agito nell’ambito dei propri poteri, e, quanto alla F., per difetto di prova della sua malafede nell’acquisto dell’appartamento milanese.
Il ricorrente sostiene che la corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata violazione dell’articolo 2043 e.e. nell’affermare che, dalla impossibilità di qualificare la condotta del F.F. come inadempimento contrattuale, discenderebbe l’impossibilità (in ragione della nullità del contratto rimasto inadempiuto), di qualificare detta condotta come illecito extracontrattuale); in proposito nel mezzo di gravame si argomenta che il contratto tra le parti rileverebbe, ai flni della pretesa risarcitoria dell’attore, come fatto storico che aveva reso possibile al F.F. di disporre, quale apparente titolare delle quote della F.E., del più volte menzionato appartamento, cedendolo per un prezzo notevolmente inferiore al suo valore.
Il motivo non può trovare accoglimento perché non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata. Quest’ultima, infatti, dopo aver sottolineato come la domanda risarcitoria proposta dal P.P. con riferimento ai danni da lui ascritti alla “condotta negoziale” dei convenuti potesse ritenersi riferita sia ad una responsabilità extracontrattuale («sussumibile da un collegamento fra i vari negozi») che ad una responsabilità contrattuale da inadempimento, è pervenuta alla statuizione (censurata con il motivo di ricorso in esame) di rigetto della domanda risarcitoria extracontrattuale non sulla negazione della possibilità giuridica che una condotta inadempiente ad obblighi contrattuali possa costituire, a mente dell’articolo 2043 e.e., anche illecito extracontrattuale; bensì sul rilievo – avente carattere squisitamente processuale e non censurato 1n alcun modo nel mezzo di impugnazione – che la domanda del P.P. di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale delle controparti peccava di genericità e risultava non motivata (pag. 34, in fine, della sentenza), tanto da non aver formato oggetto di illustrazione negli scritti conclusionali.
La doglianza prospettata nel primo mezzo di gravame risulta quindi, in definitiva, non pertinente alle argomentazioni della sentenza impugnata, in quanto non attinge la statuizione di genericità su cui la corte territoriale ha fondato la propria decisione di rigetto della domanda risarcitoria avanzata dal P.P. sulla base della dedotta responsabilità extracontrattuale delle controparti .
Con il secondo mezzo d\ ricorso – rubricato con riferimento al vizio di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. e alla violazione dell’articolo 115 c.p.c. – si denuncia l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e l’ omesso esame di un documento decisivo per il giudizio, lamentando che la corte territoriale abbia ritenuto non provata la malafede della società F., acquirente del più volte citato appartamento milanese, senza tener conto delle risultanze di un documento, allegato al ricorso per sequestro presentato dal P.P. nella pendenza del giudizio secondo grado, costituito dalla annotazione di polizia giudiziaria del 2/4/2008.
Osserva al riguardo il Collegio che – prima ancora di qualunque valutazione sulla decisività dei fatti storici documentati dalla suddetta annotazione di polizia giudiziaria al fine di infirmare il ragionamento decisorio svolto dalla corte territoriale per pervenire al giudizio di fatto, come tale spettante al giudice di merito, di esclusione della mala fede della società F. – risulta tranciante la considerazione che, con riferimento alla ripetuta annotazione di polizia giudiziaria, nella sentenza gravata si legge soltanto: «Per quanto riguarda infine il verbale di polizia giudiziaria in data 2 aprile 2008, asseritamente prodotto dalla difesa P.P. in sede cautelare sub doc. 6, esso non è stato reperito – salvo errore – né in calce al ricorso né fra gli atti di causa» pag. 31, ultimo capoverso). La corte territoriale, dunque, ha ritenuto non presente in atti il documento del cui mancato esame il ricorrente si duole con il mezzo di impugnazione in esame; tale mezzo va pertanto giudicato inammissibile, perché, come questa Corte ha più volte ribadito, il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. Se la parte assume, invece, che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., sempre che ne ricorrano le condizioni (così, sent. n. 12904/07; in termini , sentt. nn. 4056/09 e 20240/15).
In definitiva il ricorso va quindi rigettato in relazione ad entrambi motivi nei quali esso si articola.
Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, che il controricorrente F.F. ha proposto in forma espressamente condizionata «a riprova della precisa volontà del contro ricorrente di vedere finalmente chiusa» la vertenza (pag. 15, ultimo capoverso, del controricorso)
Le spese seguono la soccombenza.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per iL versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02;
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrenti a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 3.000, oltre € 200 per esborsi ed oltre accessori di legge, per ciascun contro ricorrente.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.
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