Corte di Cassazione ordinanza n. 15439 depositata il 16 maggio 2022
contenzioso tributario – attestazione di conformità – motivazione apparente
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1. L’università degli Studi di Catania propone sei motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 3734 del 15 giugno 2016, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia in riforma della prima decisione, ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello, affermando la legittimità dell’avviso di liquidazione notificatole dalla agenzia delle entrate, con il quale le veniva contestato la violazione dell’obbligo di chiedere la registrazione del decreto di esproprio n. 4148/09 e venivano liquidate le imposte ipotecaria e di registro in misura proporzionale.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – l’appello è fondato; -che il T.U. 131/86 prevede la necessità della presentazione dei modelli per la richiesta di registrazione del decreto di espropriazione; che l’appello incidentale era infondato.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
La contribuente ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza.
All’udienza del 19.10.2021, la Corte rimetteva la causa sul ruolo per l’acquisizione del fascicolo di merito, al fine di verificare la fondatezza delle prime due censure del ricorso per cassazione.
La pubblica udienza del 12.04.2022 si teneva in camera di consiglio ai sensi dell’art. 23, co. 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché dell’art. 7 d.l. 23 luglio 2021 n. 105, conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, n. 126, mentre il Procuratore Generale deposita conclusioni motivate scritte nel senso del rigetto del ricorso.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO
2. Con la prima censura si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ex 360, n. 3), c.p.c., per avere la CTR errato nel respingere l’eccezione di inammissibilità del gravame, atteso che la copia dell’atto di appello depositata presso la Commissione conteneva un atto di appello difforme da quello notificato all’ente ricorrente; circostanza che troverebbe riscontro nel documento H) allegato sia al presente giudizio che a quello di merito, che concerne l’atto di appello notificato all’università e che riguarda il gravame avverso una sentenza diversa, quella n. 105/2012, con la conseguenza non rilevata dal decidente che la decisione n. 106/2012 è coperta da giudicato.
3. La seconda censura deduce la violazione degli 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 53 d.lgs. n. 546/92 ex art. 380 n.3), c.p.c. per non avere il decidente rilevato l’inammissibilità dell’appello principale proposto dall’Agenzia, atteso che ai sensi dell’art. 22 del citato d.lgs, prevede che in caso di notifica a mezzo posta, il notificante deve depositare una copia conforme all’atto notificato presso la commissione.
Assume che il decidente non si avvedeva delle differenza tra l’atto depositato e l’atto notificato alla contribuente, rilevabile ictu oculi dal doc. n. 1 depositato nel fascicolo del giudizio di appello e ri-depositato in questo giudizio ( doc. H)
4. Con la terza censura si prospetta la nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5), c.p.c.; per avere la regionale, implicitamente, ritenuto la legittimità delle sanzioni applicate alla università, in contrasto con quanto affermato dalla CTP e nonostante la contribuente avesse prodotto la regolare richiesta di registrazione del decreto di esproprio illegittimamente rifiutato dall’Agenzia delle Entrate, la quale aveva confermato la regolare presentazione della richiesta pur contestando la misura delle imposte applicate, come evincibile dalla documentazione prodotta in primo grado e trascritto nel ricorso per cassazione.
La CTR ha dunque omesso di esaminare la documentazione prodotta nel giudizio di merito dalla quale è inferibile la corretta presentazione della richiesta di registrazione del decreto di esproprio.
5. Il quarto motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4), c.p.c.; per avere il decidente omesso di pronunciarsi sui motivi dell’appello incidentale riportati a pagina 14 dell’atto stesso, laddove l’Università contestava la sentenza della CTP nella parte in cui aveva respinto l’eccezione di illegittimità dell’avviso di liquidazione per carenza dei requisiti prescritti dalla legge, pur a fronte della puntuale eccezione di carenza motivazionale per l’omessa indicazione delle norme di riferimento, contenendo l’avviso opposto solo il richiamo ad una nota dell’ente impositore.
6. Il quinto mezzo critica la sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360, n. 4), c.p.c.; per avere il giudicante omesso di pronunciarsi sulla mancata applicazione delle agevolazioni richieste ai sensi dell’art. 1 comma 7 TUIR, come risulta dalla pagina 15 dell’appello incidentale, reputando di essere ente assimilabile allo stato ovvero agli enti territoriali pubblici ex art. 1 d.P.R. n. 131/86.
5. Con l’ultima censura si lamenta l’omessa motivazione o motivazione apparente per avere la Regionale ritenuto apoditticamente l’infondatezza dell’appello incidentale senza esplicitarne le ragioni.
6. Le prime due censure sono prive di pregio.
In via generale e preliminare si devono richiamare i principi interpretativi affermati dalla Corte Costituzionale (Sent. 18 marzo 2004, n. 98, e Sent. 6 dicembre 2002, n. 520 ) circa la costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità secondo cui: 1) si deve far valere l’esigenza di ridurre i profili d’inammissibilità a quelle sole cause che costituiscano una ragionevole sanzione per la parte processuale; 2) si deve mirare a contrastare la realizzazione della giustizia solo per ragioni di serie importanza; 3) i profili di forma devono essere valutati con criteri di equa razionalità; 4) si deve assicurare l’armonia sistematica del regime dell’istituto controverso con lo specifico sistema processale cui esso appartiene.
Tanto premesso, occorre evidenziare che è principio consolidato quello per cui “in tema di contenzioso tributario, l’art. 22, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 – richiamato, per il giudizio d’appello, dal successivo art. 53 – va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità del ricorso o dell’appello non la mancanza di attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra l’atto depositato e quello notificato ma solo la loro effettiva difformità, accertabile d’ufficio in caso di omissione dell’attestazione“.
La disposizione di cui all’art. 22 comma 3 del D.Lgs. n. 546/92 – così come richiamato nel giudizio d’appello dall’art. 53 D.lgs. 546/92 recita: In caso di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata conforme dallo stesso ricorrente. Se l’atto depositato nella segreteria della commissione non è conforme a quello consegnato o spedito alla parte nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile e si applica il comma precedente, ovvero, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 22. L’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce a norma dell’articolo seguente.
E’ consolidata la giurisprudenza di legittimità nel sostenere che dalla stessa formulazione letterale della norma l’onere per la parte di provvedere, a pena di inammissibilità, al momento della costituzione in giudizio, agli incombenti sopra riportati si riferisce al caso in cui il ricorso medesimo sia notificato direttamente o a mezzo del servizio postale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, commi 2 e 3 (tra le varie Cass. n. 12268 del 2017); pertanto, per il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è necessario che l’appellato abbia effettivamente ricevuto lo stesso atto di appello depositato dall’appellante o che esso sia pervenuto nella sua sfera di conoscibilità.
Occorre premettere che nel processo tributario l’attività di formazione del fascicolo d’ufficio previo controllo dell’inserimento degli atti di parte e dei documenti in essi indicati, nonché della regolarità anche fiscale degli stessi, svolta dal segretario che assiste la commissione tributaria, è disciplinata dall’art. 74, quarto comma, disp. att. cod. proc. civ., riguardante il cancelliere, ma applicabile al contenzioso tributario in virtù dell’art. 9, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 (a mente del quale «Il personale dell’ufficio di segreteria assiste · la commissione tributaria secondo le disposizioni del codice di procedura civile concernenti il cancelliere>>).
Orbene, alla stregua dell’interpretazione proposta da una parte della giurisprudenza di legittimità, la sottoscrizione, da parte del cancelliere, dell’indice contenente gli atti e i documenti prodotti – alla quale nel processo tributario può essere equiparata l’attestazione riportata nella ricevuta rilasciata dal segretario all’atto della costituzione in giudizio, recante l’indicazione degli atti e dei documenti depositati, il numero dell’avviso di accertamento impugnato e il relativo anno di imposta – lascia presumere che il medesimo cancelliere abbia controllato l’effettività della produzione documentale ivi indicata, tanto che l’accettazione, da parte di quest’ultimo, senza alcun rilievo formale, degli atti depositati dalla parte che si costituisce fonda una presunzione di regolarità e di esistenza dei medesimi atti al momento della costituzione in giudizio (Cass., Sez. 3, 5/5/2011, n. 9921).
Come precisato in dette decisioni, tale presunzione non deve, tuttavia, ritenersi assoluta, potendo, al contrario, essere vinta da elementi di segno contrario emergenti dalle risultanze processuali (Cass. Sez. 1, 19/11/1999, n. 12858; Cass. Sez. 3,del27/2/2004,n. 3998; Cass. Sez. 3, 19/05/2006, n. 11782; Cass. Sez. 3, 27/2/2004, n. 3998; Cass. Sez. 3, 26/9/2006, n. 20817; Cass. Sez. 3, 5/5/2011, n. 9921; Cass. Sez. 5, 8/7/2015, n. 14207).
Tuttavia, merita condivisione la ricostruzione ermeneutica, accolta da altre pronunce (Cass. Sez. 1, 7/4/2006, n. 8217; Cass. Sez. 1, 3/12/2009, n. 25440; n. 5893/2022) che attribuisce alla certificazione ex art. 74 disp. att. cod. proc. civ. efficacia probatoria fino a querela di falso, così escludendo la rilevanza di altre risultanze processuali contrastanti con detta attestazione.
Invero, il riconoscimento di una così ampia potestà certificativa postula un potere di verifica esteso al contenuto degli atti e dei documenti depositati dalla parte che, tuttavia, è compreso nell’ambito del controllo relativo al deposito di atto conforme alla copia notificata affidato al cancelliere dal cit. art. 74 disp. att. cod. proc. civ. quanto meno in ordine alla medesima sentenza impugnata.
In ogni caso, detta disposizione, essendo diretta a garantire il contraddittorio e il diritto di difesa della parte contro la quale il ricorso·è proposto, non trova applicazione ove, come nel caso di specie, la difformità tra l’atto notificato e quello depositato non abbia determinato alcun pregiudizio per la parte resistente. A mente della suddetta disposizione, se l’atto depositato nella segreteria della commissione tributaria non è conforme a quello consegnato o spedito alla parte nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile e, come previsto dal secondo comma, l’inammissibilità è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio. Si è, dunque, al cospetto di una forma di invalidità che, ancorché priva di autonomia concettuale rispetto alla nullità (Cass. Sez. un., 29/1/2000, n. 16), è tradizionalmente ritenuta insuscettibile di sanatoria ai sensi degli artt. 156 e 164 cod. proc. civ.(Cass. Sez. 1, 27/9/2016, n. 18932; Cass. Sez. 5, 8/5/2019, n. 12134). L’insanabilità del vizio sotteso alla fattispecie in esame (Cass. Sez. 5, 8/5/2019, n. 12134, cit.) non esclude, tuttavia, che anche rispetto ad essa operi il principio generale di strumentalità o di congruità delle forme allo scopo, per il quale la forma degli atti del processo deve costituire uno strumento idoneo per il raggiungimento di un determinato risultato, il quale va individuato nell’attuazione della situazione giuridica soggettiva sostanziale, alla stregua dei principi regolatori del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e, in particolare, del canone di effettività della tutela giurisdizionale, in forza del quale deve essere esclusa la legittimità di soluzioni interpretative che attribuiscano rilevanza a formalismi non giustificati da concrete esigenze difensive. Invero, il principio di strumentalità delle forme costituisce innanzitutto un canone interpretativo che il giudice deve osservare nell’applicazione delle norme sulle invalidità processuali, ivi comprese quelle che comminano la sanzione “forte” dell’inammissibilità, verificando se alla deviazione della forma – contenuto rispetto al paradigma legale sia effettivamente conseguito il mancato raggiungimento del risultato pratico avuto di mira dal legislatore in relazione alla fattispecie concreta, nonché allo scopo generale del processo rappresentato dalla definizione del giudizio mediante una pronuncia di merito. La valenza ermeneutica del principio di strumentalità risulta corroborata dai canoni sovranazionali di effettività, funzionalità e celerità dei modelli processuali, oltre che dal principio, di matrice eurounitaria, di proporzionalità e di ragionevolezza. E’ appena il caso di osservare che, nonostante l’orientamento espresso dalla Corte EDU in merito alla non applicabilità dell’art. 6 CEDU al contenzioso tributario (Corte EDU, 12/7/2001, Ferrazzini c/ Italia), le direttrici ermeneutiche ricavabili da tale disposizione possono orientare l’esegesi delle norme processuali tributarie ove, come nel caso di specie, la controversia abbia ad oggetto sanzioni tributarie, a prescindere dalla loro qualificazione in termini di sanzioni amministrative o penali, ad opera degli ordinamenti interni (Corte EDU, 23/11/2006, Jussila c/ Finlandia).
In linea con i principi di strumentalità e di proporzionalità si pone, invero, l’insegnamento della Corte costituzionale secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della «tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità» (Corte cost., 13/6/2000, n. 189; Corte cost., 6/12/2002 n. 520). Anche questa Corte ha recepito le suddette indicazioni affermando che le sanzioni che, come l’inammissibilità, non sono suscettibili di sanatoria non possono che essere interpretate in senso restrittivo e, cioè, circoscrivendone l’ambito di applicazione ai soli casi in cui il rigore che contraddistingue tale forma di invalidità risulti veramente giustificato (Cass. sez. 5,. 27338/2020; Cass. Sez. 5, 9/8/2016, n. 16758, la quale sottolinea come tale interpretazione sia imposta proprio dal principio di effettività della tutela giurisdizionale; Cass. Sez. 6-5, 17/12/2014, n. 26560, secondo la quale le previsioni d’inammissibilità devono essere interpretate in senso restrittivo, visto il loro rigore e la loro natura di extrema ratio; Cass. Sez. 6-5, 02/5/2013, n. 10282). Con specifico riferimento alla portata dell’art. 22, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, rilevante nel caso di specie, in ossequio alle coordinate ermeneutiche sinora richiamate, questa Corte ha chiarito che la difformità tra l’atto depositato davanti alla commissione tributaria e quello notificato alla controparte può dirsi idonea· a decretare l’inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio, soltanto nel caso in cui sia di carattere sostanziale, ovvero sia tale da impedire al destinatario la completa comprensione dell’atto e, quindi, rendendo incerti il petitum e la causa petendi dell’azione proposta, comporti una lesione del diritto di difesa.
Ne deriva che il giudice non può dichiarare l’inammissibilità del ricorso se la difformità sia stata irrilevante al fine di comprendere il tenore dell’impugnazione ovvero quando l’atto di costituzione della controparte contenga comunque una compiuta replica ai motivi illustrati nell’atto notificato (in tal senso si è espressa, con riferimento al ricorso in appello, Cass. Sez. 5, 24/5/2017, n. 13058; si vedano, inoltre, Cass. Sez. 6-5,ord. 30/3/2017, n. 8213; Cass., 2011, n. 25504; Cass. Sez. 5, 11/4/2011, n. 8138).
In definitiva, secondo tale condivisibile prospettiva, ai fini dell’accertamento dell’operatività della sanzione dell’inammissibilità ex art. 22, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, occorre avere riguardo non tanto all’aspetto quantitativo e qualitativo della discrepanza di forma-contenuto tra l’atto depositato e quello notificato, quanto, piuttosto, al profilo effettuale, ossia alla concreta incidenza della difformità sulla comprensione, da parte del destinatario, del contenuto del ricorso e, di conseguenza, sullo svolgimento dell’attività difensiva.
Il Collegio condivide tale metodo ermeneutico in ragione della sua coerenza, oltre che con il richiamato principio di strumentalità delle forme processuali e di proporzionalità, con la stessa ratio del cit. art. 22, comma 3, da identificarsi nell’esigenza di evitare che eventuali differenze contenutistiche tra l’esemplare del ricorso depositato e quello notificato possano ledere il contraddittorio impedendo alla controparte repliche compiute e congruenti.
Nel caso di specie, risulta incontroverso e, comunque, emerge dalla sentenza gravata, che l’Università, nonostante la dedotta difformità tra l’atto notificatole e quello inserito nel fascicolo d’ufficio all’atto della costituzione dell’Agenzia, abbia articolato compiute difese proprio in ordine al ricorso avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di liquidazione relativo al decreto di esproprio così che non vi è controversia tra le parti in merito all’individuazione dell’oggetto del contendere, ossia sul petitum e sulla causa petendi dell’azione proposta.
Ne discende che la contestata diversità contenutistica tra l’originale notificato all’Amministrazione finanziaria rispetto all’esemplare versato nel fascicolo di parte ricorrente, osservata alla luce del criterio ermeneutico suggerito dalla più recente elaborazione di questa Corte e del canone di effettività della tutela giurisdizionale, non risulta avere in concreto assunto attitudine lesiva del diritto di difesa.
7. La terza censura è fondata.
La CTR ha omesso di valutare la documentazione prodotta dall’Università – in particolare la nota del 19.04.2010 dell’amministrazione finanziaria, la nota del 14.04.2009 dell’università degli Studi Di Catania dalle quali si evince – secondo quanto trascritto nel ricorso per cassazione – che l’amministrazione finanziaria contestava all’ente ricorrente la misura delle imposte ritenendo l’università non assimilabile agli enti di cui all’art. 1 comma 7 citato e l’omessa presentç1zione dell’atto per la registrazione. La CTR, poi, con motivazione apodittica afferma la necessità di presentazione dei modelli per la registrazione dei decreti di espropri, trascurando di considerare sia la corrispondenza intervenuta tra le parti, in merito alla quale difetta qualsiasi riferimento nel corpo della sentenza, sia dunque il rifiuto dell’amministrazione di provvedere alla registrazione del decreto di esproprio come richiesto dall’Università (cfr, per caso identico, Cass. n. 37144/2021).
8. Parimenti fondata è la quarta censura, in quanto l’accoglimento dell’appello principale in ordine alla necessità di presentazione del modello di registrazione del decreto di esproprio non implicava necessariamente la reiezione del motivo dell’appello incidentale in merito alla carenza motivazionale dell’avviso di liquidazione, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente il vizio denunciato, atteso che i giudici di appello hanno completamente omesso la decisione su di un punto che si palesa indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr Cass. 15255 del 04/06/2019; n. 20718 del 2018; n. 13425 del 2016).
9. Il quinto motivo è destituito di fondamento, pur non avendo la CTR adottato alcuna decisione sull’estensione delle agevolazioni ex art. 1 comma 7 cit anche alle Università. Ora, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale. In proposito va condiviso il principio da ultimo ribadito da Cass. n. 16164/15 proprio in tema di vizio di omessa pronuncia, anche sulla scia di Cass. S.U. n. 8077/12 (contra, ancora di recente, Cass. n. 20716/2018; n. 11828/14, che però non affronta i principi di fondo affermati dalla cit. Cass. S.U. n. 8077/12 sui poteri di questa S.C. come giudice – anche – del fatto processuale in tema di accertamento della validità degli atti e, a maggior ragione, della loro interpretazione finalizzata proprio alla verifica dell’esistenza o meno dell’error in procedendo denunciato). Riaffermato, dunque, che spetta al giudice di legittimità, a fronte della denuncia di un error in procedendo, accertare la validità e il tenore degli atti processuali, nel caso di specie dalla piana lettura delle conclusioni formulate nell’atto di appello risulta che il ricorrente aveva formulato (oltre alle censure sull’accertamento effettuato in ordine alle domande attoree) la richiesta di applicazione delle agevolazioni previste per lo Stato e gli enti pubblici territoriali. Al riguardo, il regime fiscale contemplato dall’art. 1.5, della parte I della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e dagli artt. 1, comma 2, e 10, comma 3, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, che, per i trasferimenti immobiliari in favore dello Stato, prevedono l’applicabilità dell’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dall’imposta ipotecaria e catastale non è riferibile alle Università, le quali, a seguito della riforma di cui alla legge 9 maggio 1989, n. 168, hanno natura di enti pubblici autonomi e non più di organi dello Stato( v. Cass. n. 9495/2010; n.8824/2012; n.25524/2019, in motiv). La questione relativa alla configurazione giuridica delle Università statali come organi dell’Amministrazione statale, dotati di ampia autonomia ordinamentale, gestionale e di bilancio, ovvero come enti pubblici (c.d. istituzionali), è stata ripetutamente esaminata da questa Corte (con riferimento prevalentemente alla questione della rappresentanza processuale obbligatoria o facoltativa della Avvocatura dello Stato), divenendo anche oggetto di un contrasto. Tale contrasto è stato risolto dalle SS.UU. con la sentenza n. 10700 del 2006 (seguita dalle sez. semplici: cfr. Sez. lav. n. 20582 del 2008; l” sez. n. 19128 del 2009; 5″ sez. n. 9495 del 2010) che hanno individuato nelle Università un ente di diritto pubblico distinto dalle Amministrazioni dello Stato rilevando che “la L. 9 maggio 1989, n. 168, con la quale è stato istituito il Ministero dell’università e della ricerca scientifica, ha dettato, nel titolo 2, nuove norme sulla autonomia delle Università. La legge, all’art. 6, comma 1, dispone che le Università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’art. 33 Cost., hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti; all’art. 7, nel comma 1, prevede che le entrate delle università sono costituite da trasferimenti dello Stato, da contributi obbligatori e da altre forme di autonome di finanziamento(contributi volontari, proventi di attività, rendite, frutti e alienazioni del patrimonio, atti di liberalità e corrispettivi di contratti e convenzioni); nel comma 7, dispone che le università possono adottare un regolamento di ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme sull’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, ma comunque nel rispetto dei relativi principi. Si tratta di una disciplina che, mentre conferma la soggettività giuridica delle Università statali, già riconosciuta dal R.D. n.1592 del 1933, art. 1, ne rafforza significativamente l’autonomia, con l’attribuzione, oltre a quella didattica e scientifica, già presente nel citato R.D., di quella organizzativa, finanziaria e contabile, e soprattutto della autonomia normativa statutaria e Potestà, quest’ultima, idonea a caratterizzare le Università come ente pubblico autonomo, e non più come organo dello Stato. Ed in tal senso depone anche la mutata natura del rapporto di lavoro dei dipendenti, dal momento che sia gli impiegati tecnici ed amministrativi (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 6, comma 5), sia anche i docenti e ricercatori (L. 24 dicembre 1993, n. 937, art. 5 5, commi 9 e 10) sono da considerare non più dipendenti statali bensì dipendenti dell’Ente-Università”. In conseguenza di tale diverso assetto istituzionale va escluso che le Università siano sovrapponibili o assimilabili allo Stato.
10. E’ fondato l’ultimo motivo. Secondo l’indirizzo ampiamente condiviso della giurisprudenza di legittimità, sussiste motivazione apparente del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione quando pur se graficamente esistente (ed eventualmente sovrabbondante) non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Cass. n. 13248 del 2020, Cass. n. 9105 del 2017). Quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento (oppure li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica), rende impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9097 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012) Il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020). Spetta al giudice del merito il concreto apprezzamento di ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo che appaia funzionale all’esame delle questioni introdotte dalle parti, e tale, esame va esposto, seppure concisamente, per illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione. I giudici di appello, con affermazioni assertive e apodittiche, hanno escluso la fondatezza del gravame incidentale senza argomentare alcunché in ordine alla indicazione delle prove, oggetto di valutazione, in base alle quali sarebbe risultata la regolarità della presentazione del decreto per la registrazione, alla denunciata carenza motivazionale dell’avviso e all’applicazione delle agevolazioni invocate e senza che venissero considerate le circostanze addotte dal contribuente- oggetto di discussione tra le parti. Alla stregua di quanto esposto, il terzo, il quarto e l’ultimo motivo del ricorso di cassazione vanno accolti; respinti i primi due ed il quinto; pertanto la sentenza impugnata va cassata con rinvio per il riesame alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto e l’ultimo motivo di ricorso, respinti i primi due ed il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia per il riesame alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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