Corte di Cassazione ordinanza n. 15490 depositata il 16 maggio 2022
contenzioso tributario – appello incidentale – sanzioni amministrative
Rilevato che:
la B.U. s.r.l. impugnò la cartella, emessa ex art.36 bis del d.P.R. n.600 del 1973 con cui le era stato chiesto il pagamento di Irap, sanzioni e interessi relativamente all’anno di imposta 2006. La Società faceva presente di avere provveduto al pagamento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni con ravvedimento operoso ai sensi dell’art.13, comma 1, lettera b del d.lgs.n.472 del 1997.
La Commissione tributaria provinciale rigettò il ricorso ma la decisione, appellata dalla Società, è stata integralmente riformata dalla CTR del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe.
Il Giudice di appello riteneva inammissibile l’eccezione, sollevata dall’Agenzia di inapplicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso, essendosi formato sul punto il giudicato interno, non avendo l’Ufficio proposto appello incidentale.
Nel merito, rilevava che il pagamento effettuato dalla Società era regolare e che, anche a volere ritenere i termini non rispettati, ricorrevano i presupposti di cui all’art.!O dello Statuto del contribuente atteso che, all’epoca, sussistevano obiettive condizioni di incertezza.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, su quattro motivi, l’Agenzia delle entrate. La Società resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell ‘art . 380 bis-1 cod .proc.civ., alla trattazione in camera di consiglio.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denunzia la sentenza impugnata, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.4 cod.proc.civ. di violazione e falsa applicazione di legge commessa dalla
C.T.R. laddove aveva ritenuto inammissibile l’eccezione relativa all’inapplicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso, reiterata in appello, malgrado l’Ufficio fosse stato integralmente vittorioso all’esito del giudizio di primo grado.
1.1.La censura è fondata. Nella specie, è pacifico in atti che l’Agenzia delle entrate fosse integralmente vittoriosa in primo grado con la conseguenza della piana applicazione del principio statuito da questa Corte, e disatteso dal Giudice di appello (cfr. Cass. n. 18119 del 24/06/2021) secondo cui < <nel processo tributario d’appello, come in quello civile, la devoluzione al giudice del gravame dell’eccezione di merito, respinta in primo grado, formulata dalla parte comunque vittoriosa, esige la proposizione dell’appello incidentale, ma se la parte ripropone tale eccezione contestando la statuizione sul punto, può procedersi alla sua riqualificazione, in applicazione del principio dell’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo, tenuto anche conto che, nel contenzioso tributario, l’appello incidentale non deve essere notificato, ma è contenuto nelle controdeduzioni, depositate nel termine di costituzione dell’appellato, venendo così ad affievolirsi la distinzione tra appello incidentale, riproposizione dei motivi e difesa del resistente>>.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art.13 del d.lgs. n.472 del 1997 laddove la C.T.R. aveva inquadrato la fattispecie, sottoposta al suo esame, nella previsione del citato art.13, mentre, nel caso di specie, in punto di diritto, sussisteva un radicale impedimento alla fruibilità del ravvedimento operoso e della riduzione della sanzione da avviso bonario, relativamente ai versamenti Irap degli anni di imposta 2005 e 2006.
In particolare, l’Agenzia delle entrate osserva che l’art. 1 del d.l. n. 206/2006, come di seguito convertito dalla citata legge n. 234/2006, reiterando analoga disposizione già adottata in relazione agli anni 2004 e 2005, ha espressamente sancito l’inapplicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997 ai tardivi versamenti IRAP relativi al 2006.
A ciò consegue, secondo l’Amministrazione ricorrente, che, nella fattispecie, avrebbero dovuto essere applicate le sanzioni nella misura ordinaria di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, come liquidate con la cartella di pagamento impugnata dalla contribuente; senza che a diverse conclusioni potessero indurre le disposizioni della legge n. 212/2000, come invece affermato dalla C.T.R., trattandosi di norme aventi rango ordinario,
2.1 La censura è fondata. Come ben esposto da Cass. 5/11/2021 n.31949 questa Corte ha chiarito la genesi ed il fine della disposizione dell’art. 1 del d.l. n. 206/2006. Si è trattato di norma, al pari di quella di cui all’art. 1, comma 3, del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, che aveva disposto analogamente per le annualità 2004 e 2005, la quale, in pendenza innanzi alla Corte di Giustizia di un giudizio relativo all’illeggittimità dell’IRAP e del parere sfavorevole reso dai due Avvocati generali sulla compatibilità dell’imposta con la VI Direttiva Iva, contenzioso poi risolto in senso sfavorevole alle aspettative dei contribuenti con sentenza 3 ottobre 2006 (in causa C-475/03), aveva inteso scoraggiare i comportamenti dei contribuenti, che, nelle more dell’emanazione della relativa decisione, avessero inteso omettere i versamenti dell’imposta pure indicata in dichiarazione come dovuta nell’annualità 2006 (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 24 marzo 2021, n. 8183; Cass. sez. 5, ord. 30 marzo 2021, n. 8731; Cass. sez. 5, ord. 31 marzo 2021, n. 8883).
2.2 La controricorrente afferma che il caso sul quale è intervenuta la decisione resa dalla T.R., ora all’esame della Corte, sia oggettivamente diverso; ciò in quanto la società ha versato nei termini quanto indicato nell’originaria dichiarazione di cui all’UNICO 2007 quanto ritenuto dovuto ai fini IRAP, ma poi, con dichiarazione integrativa, ha esposto una plusvalenza rilevante ai fini IRAP in precedenza omessa, rettificando quindi l’importo dell’imposta dovuta e versandola, parametrando le sanzioni al quinto dell’imposta dovuta secondo la norma dell’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997 in tema di ravvedimento operoso applicabile ratione temporis.
2.3 La tesi della società controricorrente, che, nell’esito della decisione in questa sede impugnata, ha trovato sostanziale condivisione da parte del giudice tributario d’appello, non convince, atteso che la norma di cui all’art. l’art. 1, comma 3, del l. n.106/2005, convertito dalla legge n. 156/2005, deve intendersi applicabile in ogni ipotesi di violazione dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo, circostanza assolutamente pacifica nel caso in esame.
2.4 D’altronde non può farsi a meno di rilevare che, ove dovesse escludersi dall’ambito di applicazione della norma l’ipotesi in oggetto di omesso versamento parziale per effetto di dichiarazione infedele, poi emendata, nei termini, con dichiarazione integrativa che ha rideterminato il corretto importo dell’IRAP dovuta, si perverrebbe all’effetto irragionevole di privilegiare, sul piano sanzionatorio, un illecito di maggiore gravità – quello, appunto, di infedele dichiarazione, quantunque successivamente emendata con dichiarazione integrativa – rispetto a quello di omesso versamento dell’imposta dichiarata, con la conseguenza che in relazione al medesimo anno d’imposta potrebbe beneficiare del ravvedimento operoso la prima ipotesi, di maggiore gravità, rispetto alla seconda.
3. Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria va pertanto accolto, dovendosi ribadire il principio di diritto secondo cui « l’art. 1, comma 3, del l. n.106/2005, convertito dalla l. n. 156/2005, a norma del quale non si applicano le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, nonché dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, e successive modificazioni, deve intendersi applicabile in ogni ipotesi di violazione dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo dell’IRAP dovuta per l’anno 2006».
3. Con il terzo motivo di ricorso- rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’art.112 p.c., nonché degli articoli 24, comma 2, e 57 del d.lgs.n.54671992 in relazione all’art.360, comma 1, n.4) c.p.c. l’Agenzia delle entrate lamenta che la C.T.R. non abbia, malgrado la questione fosse stata già dedotta in primo grado, dichiarato inammissibile la censura relativa all’applicabilità dell’art. lo della legge n.212 del 2000, malgrado la ricorrente l’avesse introdotta non con il ricorso introduttivo ma solo nella memoria illustrativa.
4. Con il quarto motivo, infine, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art,10, comma terzo, della legge 212 del 2000 laddove il Giudice di appello aveva ritenuto la norma applicabile alla fattispecie.
5. Le censure sono entrambe In ordine al terzo motivo è fermo, nella giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass.n. 14402 del 14/07/2016), il principio per cui <<in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio di legittimità>> (in termini, in precedenza, Cass.n.19638 del 2009, n.14402 del 2016, n. 24588 del 2015).
5.1 In ordine al quarto mezzo di impugnazione questa Corte (ordinanza n. 1893 del 28/01/2021; id. n.15452 del 2018) ha già avuto modo di statuire che < <in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente da responsabilità, ex art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del 2000, non può ravvisarsi nella mera pendenza di un giudizio sulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale, dovendo emergere altrimenti condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della stessa norma>> e di specificare (cfr. Cass.n .8731 del 30/03/2021) che <<è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cast., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 106 del 2005, conv. in l. n. 156 del 2005, nella parte in cui esclude la possibilità di riduzione delle sanzioni tributarie in caso di omesso versamento dell’Irap, atteso che nel novero della discrezionalità legislativa rientra anche l’esclusione di disposizione di generale favore per ipotesi tassativamente determinate, con il solo limite della ragionevolezza della previsione>>.
6. In conclusione, il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo.
7. L’originaria peculiarietà della vicenda processuale induce a compensare tra le parti le spese dei gradi di merito mentre, in ossequio al principio di soccombenza, quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della controricorrente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito.
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