CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 15552 depositata il 1° giugno 2023

Tributi – Avvisi di accertamento – Recupero IVA – Fatture emesse per cessioni comunitarie di beni – Immissione in consumo nel territorio nazionale – Riparto dell’onere probatorio in materia di esenzione IVA per cessioni intracomunitarie – Deroga al regime della territorialità IVA – Onere della prova a carico del contribuente – Effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario – Massima diligenza esigibile – Evasione – Rigetto

Rilevato che

– Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dalla G.B. s.r.l. avverso la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Novara, con la quale erano stati rigettati i ricorsi riuniti proposti dalla società G.B. s.r.l. avverso tre distinti avvisi di accertamento, con i quali era stata recuperata l’IVA, per gli anni (…), in relazione a fatture emesse per cessioni comunitarie di beni (essenzialmente giochi elettronici e materiale informatico) che, in realtà, erano stati immessi in consumo nel territorio nazionale;

– dalla sentenza della CTR si evince che:

– con gli avvisi di accertamento impugnati l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione l’IVA in relazione a cessioni intracomunitarie di beni, in realtà mai avvenute, fatturate dalla G.B. s.r.l. nei confronti di diverse società aventi sede in altri Stati membri (la società slovena C., la società inglese M.W.B., la società polacca P.T.S.O.O., la società polacca M.S.O.O., la società ceca T. s.r.o., la società inglese S.F. e la società rumena R.G. s.r.l.);

– la merce apparentemente ceduta transitava, nella maggior parte dei casi, presso la società I. in Slovenia, e poi ritornava, dopo un breve lasso temporale, in Italia;

– la simulazione delle cessioni intracomunitarie era stata provata dalla mancanza, per tutte le operazioni, del documento di trasporto internazionale (CMR), essendo state esibite solo alcune ricevute di consegna al corriere B.R.T. s.p.a.;

– dagli accertamenti eseguiti dalle autorità dei singoli Stati membri interessati era emerso che la C. era stata cancellata dal registro delle imprese in data (…) (la fattura era stata emessa in data (…)); la società inglese M.W.B. era stata indicata dall’autorità doganale inglese come missing trader, priva di sede, struttura gestionale e operativa, già coinvolta in operazioni fittizie; la società polacca P.T.S.O.O. non presentava dichiarazioni fiscali da (…) ed era stata cancellata dal registro dei contribuenti il (…), sebbene da (…) risultassero emesse fatture verso la stessa; la società polacca M.S.O.O. cessava l’attività ed era stata cancellata dal registro degli operatori IVA a (…), benché fino alla seconda parte del (…) avesse ancora acquistato dalla G.B.; le società T. s.r.o. e S.F. erano state ritenute inesistenti; la società rumena R.G. s.r.l. era in fase di liquidazione pre-fallimentare;

– la società fornitrice della G.B. era la T., che operava nel medesimo settore e con la quale la contribuente non aveva stipulato alcun contratto scritto, non risultavano contratti preliminari né preventivi;

– a fronte di detto quadro gravemente indiziario, la contribuente non aveva offerto idonea prova contraria per dimostrare che le operazioni fossero effettive;

– la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria;

– l’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.

Considerato che

– Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del d.l. n. 331 del 1993, artt. 4 e 41 art. 138 direttiva 2006/112/CE del Consiglio CE, come modificato dalla direttiva 2010/88/UE, per avere la CTR erroneamente applicato la disciplina nazionale e comunitaria in materia di diritto all’esenzione IVA nel caso di cessione intracomunitaria, stravolgendo i principi in tema di onere della prova e non considerando le misure poste in essere dalla contribuente per evitare di essere coinvolta in operazioni fiscalmente scorrette, essendo stato dimostrato che la merce era effettivamente arrivata in territorio sloveno, dove era stata stoccata presso il magazzino della società I.;

– con il secondo motivo, lamenta la violazione di legge e carenza assoluta di motivazione e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisi per il giudizio, per avere la CTR erroneamente applicato l’art. 2729 c.c., atteso che la sentenza impugnata si fonda su presunzioni semplici (quali l’omessa produzione della CMR, la circostanza che la società I. non fosse l’acquirente finale, la qualifica di missing trader data nel 2015 alla società M.W.B.), prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, senza valutare globalmente gli elementi indiziari acquisiti in sede giudiziaria, unitamente a quelli prodotti dalla ricorrente, atteso che il superamento del confine italiano e il recapito della merce in Slovenia era stato attestato dall’autorità doganale slovena, i contratti di vendita alla M.W.B. erano stati conclusi ed eseguiti nel (…), in relazione alle cessioni contestate erano stati prodotti documenti comprovanti i pagamenti e le fatture di vendita e di acquisto dei beni, dal sistema VIES verificato dalla contribuente risultava che le società acquirenti erano dotate di regolare partita IVA di società comunitarie;

– con il terzo motivo, lamenta la violazione degli artt. 2727 c.c. e segg., del d.l. n. 331 del 1993, artt. 4 e 41 in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR dato erroneamente rilievo alla mancata disponibilità della CMR, sebbene non fosse obbligatoria;

– con il quarto motivo, denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa valutazione (e conseguente mancata motivazione) di una seria di elementi decisivi dai quali si poteva evincere che la merce era uscita dal territorio italiano;

– con il quinto motivo, lamenta la violazione degli artt. 2727 c.p.c. (ndr artt. 2727 c.c. ) e ss. e art. 1350 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente desunto la fittizietà delle cessioni intracomunitarie dall’assenza di contratti scritti con la fornitrice T. s.r.l.;

– con il sesto motivo, lamenta la violazione degli artt. 2727 c.c. e ss. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente applicato le regole sul riparto dell’onere probatorio in materia di esenzione IVA per cessioni intracomunitarie esponendo le proprie argomentazioni in modo illogico e desumendo la prova della mancata consegna della merce alle società acquirenti da circostanze (quali la cancellazione o il fallimento di alcune società) avvenute dopo tale consegna;

– preliminarmente occorre rilevare che, con memoria del 4.11.2022, la ricorrente, al fine di supportare la fondatezza del ricorso, ha depositato copia della sentenza n. 426/2021, resa in data 8.07.2021 dal GUP presso il Tribunale di Novara e depositata in data 16.08.2021, passata in giudicato il 13.12.2021;

– detta produzione è inammissibile, in quanto nel giudizio di legittimità possono essere prodotti, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c. e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., solo i documenti che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti l’allegata fondatezza del medesimo (Cass. n. 9685 del 26/05/2020);

– in ogni caso occorre ribadire che, con riferimento specifico al contenzioso tributario, è stato più volte affermato da questa Corte che “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (Cass. n. 16262 del 28/06/2017);

– ciò premesso, i motivi di ricorso – suscettibili di trattazione congiunta, in quanto riguardano tutti l’asserita erronea applicazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio in materia di esenzione IVA per cessioni intracomunitarie – sono infondati;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che le riprese fiscali muovono dall’accertamento della insussistenza dei presupposti per l’esenzione dall’IVA, in quanto, diversamente da quanto dichiarato, non era emerso che tali beni fossero usciti definitivamente dal territorio nazionale;

– come più volte espresso da questa Corte (Cass. 3603/2009; Cass. 15871/2016; Cass. n. 10355/2022), l’onere di provare l’esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi invoca detta deroga;

l’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni: il potere del fornitore di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in seguito a tale spedizione o trasporto, il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr. CGUE 9 ottobre 2014, T.; CGUE, 6 settembre 2012, M.G.; CGUE, 27 settembre 2007, T.);

nel caso di cessione intracomunitaria, quindi, il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario; in mancanza, deve emergere la sua buona fede, cioè che egli non sapesse o non avrebbe dovuto sapere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e, ciò nonostante, non avesse adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi (Cass. n. 29498 del 24/12/2020; Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4636 del 26/02/2014; CGUE 6 settembre 2012, in C-273/11, M./G.; CGUE 17 ottobre 2019, in C-653/18, U.);

a tal fine il contribuente deve dimostrare di avere adottato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, valutata secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 4045 del 12/02/2019), per cui, in caso di vendita con clausola “franco fabbrica”, ad esempio, dovrà fornire la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o di “fatti secondari”, da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza, ovvero, se la documentazione sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l’obbligo di consegna del documento e, a fronte dell’altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria (Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4045 del 12/02/2019);

– non è stata ritenuta sufficiente, invece, la prova di aver richiesto ed ottenuto la conferma della validità del numero di identificazione attribuito al cessionario da altro Stato membro, d.l. n. 331 del 1993, ex art. 50 commi 1 e 2, o di avere debitamente indicato tale numero nella fattura emessa ai sensi dell’art. 46, comma 1 medesimo testo normativo, trattandosi dell’adempimento di obblighi formali prescritti per agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi o di natura fraudolenta (ex multis, Cass. n. 13457 del 2012);

neppure la disponibilità delle lettere di vettura e di altri documenti equipollenti possono essere considerati come elemento idoneo a dimostrare che i beni cui si riferiscono sono destinati a essere trasportati o spediti verso un altro Stato membro, se non risultano debitamente compilati con l’indicazione di tutti gli elementi necessari, ivi compresa la data della consegna (CGUE 20 giugno 2018, in C-108/17, E.B.);

– la CTR si è attenuta ai superiori principi di diritto, rigettando l’appello proposto dalla contribuente che non aveva fornito la prova del trasporto e della consegna della merce ceduta al cessionario comunitario: dalle informazioni ricevute dalle autorità doganali estere, invero, è emerso che la società I. non era il destinatario finale di detta merce, ma solo un intermediario presso il quale la merce veniva temporaneamente stoccata per poi ritornare in Italia; la contribuente non aveva la disponibilità, per nessuna delle operazioni contestate, della lettera di vettura internazionale o CMR; i documenti prodotti a giustificazione delle fatture e dei trasporti non comprovavano l’effettiva consegna della merce al cessionario; alcune società non erano operative (missing trader), altre erano cessate o fallite dopo la fatturazione della merce; la contribuente non aveva concluso per iscritto alcun contratto con la società fornitrice T.;

– la mancata prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria ha determinato il diniego dell’esenzione dell’IVA, non avendo la contribuente dimostrato di avere utilizzato la massima diligenza esigibile, al fine di evitare di essere coinvolta nell’evasione, avuto riguardo alle concrete modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, in relazione alla presenza di elementi idonei a far venir meno l’incolpevolezza del suo affidamento in ordine al rispetto delle condizioni cui l’esenzione dell’imposta è subordinata;

– detto onere non può ritenersi certamente assolto con l’esibizione delle fatture o di documentazione attestante il pagamento della merce, in quanto si tratta di elementi che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia e, pertanto, inidonei di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass. n. 9851 del 20/04/2018);

– con riferimento al quarto e al sesto motivo, poi, occorre rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. s. u., 20867/2020);

– in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in Euro 7.830,00, oltre alle spese prenotate a debito;

dà atto, ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.