Corte di Cassazione ordinanza n. 15672 depositata il 17 maggio 2022
credito di imposta – efficientamento energetico – beni strumentale e non
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate notificò a Massimo Maccario un avviso di accertamento a rettifica del reddito che questi aveva dichiarato per l’anno 2007, in conseguenza dell’indebita fruizione di detrazioni al 55% per interventi finalizzati al risparmio energetico.
In particolare, il Maccario aveva effettuato lavori di riqualificazione energetica di un immobile di proprietà della società Aemmelle s.r.l., della quale egli era socio al 30% in regime di trasparenza fiscale, con conseguente tassazione del relativo reddito in capo ai soci; secondo l’amministrazione finanziaria, tuttavia, la detrazione non poteva essere riconosciuta, in quanto l’immobile non costituiva, per detta società, un bene strumentale, bensì un “bene merce”, essendo stato locato a terzi.
2. Impugnato dal Maccario innanzi alla C.T.P. di Milano, l’atto impositivo venne confermato.
Il contribuente propose allora appello avanti alla C.T.R. della Lombardia, che respinse il gravame osservando che, come precisato dalla stessa Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 340/2008, per gli interventi di risparmio energetico la detrazione spettante ai titolari di reddito di impresa riguarda solo i fabbricati strumentali, utilizzati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, e non i “beni merce” che eventualmente costituiscano l’oggetto dell’attività esercitata.
3. Massimo Maccario ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato ad un unico mezzo, illustrato da successiva memoria; l’agenzia intimata ha depositato atto di costituzione, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo denunzia violazione dell’art. 1, commi da 344 a 349, della 27/12/2006, n. 296.
La sentenza di appello è censurata per aver confermato l’avviso di accertamento sulla base di un’acritica condivisione della tesi dell’amministrazione finanziaria, compiuta con richiamo ad una risoluzione dalla stessa adottata.
Secondo il ricorrente, invece, l’art. 1 della l. n. 296/2006, nel disporre il beneficio della detrazione fiscale del 55% degli importi rimasti a carico del contribuente in relazione alle spese relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, non prevede alcuna limitazione in merito ai soggetti che ne possono usufruire; né limitazioni di sorta sono stabilite dal regolamento ministeriale di attuazione del 19/02/2007.
Pertanto, la risoluzione evocata dal giudice d’appello, nella parte in cui ricostruisce la volontà del legislatore richiamando la disciplina in materia di detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio recata dalla l. 27/12/1997, n. 449, finisce per ricorrere all’analogia come criterio di interpretazione della legge, in termini non consentiti dall’ordinamento tributario, e comunque in assenza dei relativi presupposti; non sussiste, infatti, alcuna identità fra le due fattispecie di beneficio, né quanto al requisito oggettivo, né quanto alle finalità.
2. Il motivo è fondato.
2.1 Questa Corte, con decisioni rese in fattispecie sovrapponibili alla presente (cfr. n. 29163/2019; Cass. n. 19816/2019; Cass. n. 19815/2019), ha escluso che i titolari di redditi d’impresa possano fruire del beneficio fiscale in questione solo in relazione agli immobili strumentali all’esercizio dell’attività imprenditoriale, e non anche a quelli che l’impresa abbia assegnato o concesso in locazione a terzi.
Secondo le richiamate decisioni, la lettura della norma operata dall’amministrazione finanziaria con la risoluzione 340/E/2008 – nella quale si afferma che l’attribuzione del beneficio «per un’interpretazione sistematica è riferibile esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi», derivandone il diritto ad usufruire del “bonus” al 55% solo in relazione ai fabbricati strumentali, unici idonei a procurare un’effettiva riduzione dei consumi energetici nell’esercizio dell’attività imprenditoriale – non può essere condivisa.
2.2 Anzitutto, ha rilevato la Corte, la citata risoluzione è solo un parere formulato dall’Agenzia in risposta ad uno specifico quesito di un contribuente, che non può vincolare né il destinatario, né il giudice (cfr. Cass. S. Un., n. 23031/2007).
2.3 Inoltre, la delimitazione del perimetro applicativo della detrazione, che in tale risoluzione viene ricondotta ad una “interpretazione sistematica” della normativa di settore, collide con il carattere di detrazione dall’imposta proprio del beneficio fiscale, estraneo al diverso tema della quantificazione del reddito imponibile. Essa è poi incompatibile con il criterio di interpretazione letterale delle norme, introduttive di un’agevolazione fiscale che non prevede limitazioni soggettive di sorta, del quale l’art. 12 delle preleggi afferma la primazia fra tutti i diversi criteri ermeneutici.
Rispetto a tale canone, quello adottato dall’amministrazione finanziaria non può che essere recessivo, trasparendo con chiarezza dal testo normativo che la ratio del beneficio “consiste nell’intento d’incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell’intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell’interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, ed è coerente e si salda con il tenore letterale delle norme di riferimento, le quali non pongono alcuna limitazione, né di tipo oggettivo (con riferimento alle categorie catastali degli immobili), né di tipo soggettivo (riconoscendo il bonus alle “persone fisiche”, “non titolari di reddito d’impresa” ed ai titolari di “reddito d’impresa”, incluse ovviamente le società)” (Cass. n. 29163/2019).
2.4 Infine, hanno osservato ancora le decisioni in questione, il beneficio fiscale di cui trattasi non riguarda la limitata categoria dei soli soggetti IRPEF, ma è diretto a beneficio di tutte le categorie immobiliari e di tutti i soggetti che ne hanno la proprietà, inclusi i titolari di reddito d’impresa, a condizione che questi ultimi abbiano sostenuto spese per il potenziamento dei loro cespiti.
Ciò, per vero, in coerenza con la finalità pubblicistica di un generalizzato miglioramento energetico del patrimonio immobiliare nazionale; e proprio tale ultima finalità, con riferimento ai “beni merce” delle imprese, resterebbe sostanzialmente indebolita per effetto dell’interpretazione restrittiva adottata dai giudici d’appello (cfr. Cass. n. 19815/2019).
3. In conclusione, il ricorso va accolto; non occorrendo ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originaria pretesa del contribuente e l’annullamento dell’atto impositivo. Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico dell’amministrazione finanziaria, con compensazione per il doppio grado di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente, annullando l’atto impugnato. Condanna l’intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.400,00 oltre accessori di legge. Compensa le spese del doppio grado di merito
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