Corte di Cassazione ordinanza n. 15679 depositata il 17 maggio 2022
ricorso in cassazione – trattamento fiscale risarcimento danni
FATTI DI CAUSA
1. V.V. ha proposto ricorso, con tre motivi, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria (di seguito t.r.), che – nella causa di impugnazione dell’avviso di accertamento che recuperava a tassazione ai fini Irpef, per l’annualità 2009, quale reddito di lavoro dipendente, le somme riconosciute dall’Azienda sanitaria provinciale (A.S.P. subentrata alla A.S.L. n. 5) di Crotone al proprio dipendente, dirigente medico presso il medesimo Ente, a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione di un accordo transattivo a conclusione di una causa per la quantificazione del risarcimento, oggetto della pronuncia (n. 2048/2007) del Tribunale del lavoro di Crotone, che aveva condannato l’Azienda sanitaria a risarcire al proprio dipendente il danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 52 del c.c.n.l. dell’08/06/2000, rimettendone la quantificazione ad un separato giudizio – nel contraddittorio dell’ufficio finanziario, ha accolto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza (n.1334/2017) della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro, favorevole alla parte privata.
2. Per la t.r., la lite, transatta, tra il contribuente e l’A.S.P. riguardava il risarcimento del danno da perdita di chance per la mancata percezione della “retribuzione di risultato”; pertanto le somme erogate dall’ASP in esecuzione della transazione avevano natura retributiva ed erano soggette a tassazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 51 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, in relazione all’art.360, primo comma, 3, cod. proc. civ.
Il ricorrente deduce che, come evincibile dalla sentenza del Tribunale di Crotone, l’A.s.l. era stata condannata al risarcimento del danno per non aver predisposto il meccanismo che avrebbe consentito ai dirigenti medici suoi dipendenti di conseguire la retribuzione di risultato, mediante la predisposizione di programmi ed obiettivi specifici.
In particolare, il ricorrente rileva che la qualificazione della pretesa risarcitoria, indipendentemente dalla sua quantificazione, determinata successivamente in sede transattiva, era stata oggetto di accertamento passato in giudicato del Tribunale di Crotone, che aveva condannato genericamente la A.s.l. al risarcimento del danno derivante da perdita di chance di accrescimento professionale.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa pronunzia sulla nullità dell’avviso di accertamento per il mancato rispetto del principio del contraddittorio preventivo, in violazione dell’art.12 dello statuto del contribuente (legge n.212/2000) e degli artt. 7 e 8 I. 7 agosto 1990, n.241, in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 4, cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, la questione, ritualmente sollevata nei precedenti gradi di giudizio, era stata erroneamente ritenuta assorbita dal giudice di appello
Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa pronunzia sulla violazione dell’onere della prova, la violazione degli artt.112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, l’Agenzia delle entrate non avrebbe dimostrato come aveva determinato gli importi da sottoporre a tassazione, che non corrispondevano a quelli erogati dall’ASP a titolo di risarcimento del danno in esecuzione della transazione.
2. Preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità del secondo motivo, logicamente prioritario.
Invero, <<nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi>> (Cass. n. 28072/2021).
Nella specie, il ricorrente non chiarisce la ritualità e tempestività della questione della nullità dell’avviso di accertamento per il mancato rispetto del principio del contraddittorio preventivo, affermando genericamente di averla avanzata in primo grado e senza indicare in alcun modo se abbia fatto (ed in che termini) uno specifico motivo di appello.
Sul punto, peraltro, nulla può dedursi dalla sentenza impugnata, che, altrettanto genericamente, ha ritenuto assorbite le ulteriori questioni di merito, senza farne menzione.
Inoltre, come questa Corte ha affermato più volte (vedi Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013, Cass. n. 29191/2017), non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata, come nel caso di specie, comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo.
In relazione, poi, alla dedotta violazione di legge, deve rilevarsi che essa non sussiste, in quanto, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, nell’ambito delle imposte dirette non è rinvenibile un principio generale che imponga all’amministrazione finanziaria, al di là delle singole ipotesi previste dalla legge, l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente (Cass. S.U. n. 24823/2015) ai fini della validità dell’atto impositivo.
3. Il primo motivo, invece, è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del terzo, che riguarda la prova dell’entità dell’importo ripreso a tassazione.
L’art. 6, comma 2, t.u.i.r., cui fa riferimento la sentenza impugnata, quale norma di carattere generale, applicabile a tutte le tipologie di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione, così dispone: < <I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti>>.
Questa Corte, sul piano interpretativo, ha avuto modo di chiarire che <<in tema di imposte sui redditi, in base al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 (nel testo applicabile “ratione temporis”), le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto non tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente “da perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera)>> (vedi Cass. n. 29579 del 29/12/2011; Cass. n. 3632/2019; da ultimo, su fattispecie analoga a quella in esame, Cass. n.4488/2022).
La Corte (cfr. Cass. 07/02/2019, n. 3632, che, in motivazione, menziona anche Cass. n. 29579/2011; in termini, Cass. 12/10/2018, n. 25471) ha recentemente spiegato che «il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale (Cass. n. 11322/2003)», e, su tale base concettuale, addentrandosi nell’esame del motivo di ricorso, ha stabilito che «il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice del lavoro ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito».
In particolare, si è detto che sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente) (vedi Cass. n. 5108/2019 citata).
Tali princìpi sono stati enucleati anche dalla sezione lavoro della Corte, che ripropone la medesima distinzione: sono soggette a tassazione, tra le somme percepite dal lavoratore a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi; sono invece fiscalmente esenti le somme liquidate a titolo di danno emergente (Cass. Sez. L, 03/02/2021, n. 2472).
Nel caso di specie, dagli atti di causa risulta che la ripresa tributaria è correlata al contenzioso promosso davanti al giudice del lavoro da numerosi dirigenti a tempo indeterminato, dipendenti dall'(ex) A.S.L. di Crotone (tra i quali l’odierno ricorrente), appartenenti ai ruoli “Medico e Veterinario”, per l’accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’Azienda sanitaria rispetto all’intero meccanismo della “retribuzione di risultato”, prescritto dall’art. 52 del c.c.n.l. dell’0S/06/2000 della dirigenza sanitaria, nonché al fine di ottenere il relativo risarcimento del danno. In breve, i dirigenti lamentavano la mancata attivazione del sistema prescritto dalla contrattazione collettiva, che avrebbe consentito la corresponsione di cd. “compensi incentivanti” in base ai risultati raggiunti in relazione a programmi predeterminati. Al riguardo, il giudice del lavoro (in alcune pronunce coperte da giudicato) ha dichiarato l’inadempimento contrattuale dell’A.s.l., ha riconosciuto il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno patito per effetto dell’inadempimento dell’ente, e, per quanto adesso rileva, ha precisato che «il danno deve ravvisarsi sia sotto il profilo della lesione alla professionalità, essendo evidente che l’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti comporti una perdita di chance di accrescimento professionale, sia sotto il profilo della perdita di chance relativa ad una componente, di natura accessoria, di retribuzione», demandandone la quantificazione a un separato giudizio ( cui ha posto fine l’atto transattivo in base al quale sono stati erogati gli importi).
Pertanto, secondo il giudice del lavoro, il danno immediato e diretto ha colpito in primis la posizione professionale del dipendente, mentre l’eventuale minore percezione di reddito ne costituisce solo una ricaduta accessoria ed ulteriore.
Al riguardo, merita ricordare Cass. Sez. L. 31/01/2018, n. 2462, la quale ha chiarito che, in materia di trattamento retributivo dei dirigenti:
(a) la qualifica dirigenziale fonda la retribuzione base; (b) il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione fonda la cd. retribuzione di posizione; (c) l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione fonda la cd. retribuzione di risultato. La retribuzione di risultato non è una voce automatica, ma è soggetta, per ciascun dirigente, a determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, di cui al contratto collettivo. Nella specie, il Tribunale di Crotone ha accertato l’omessa attivazione di obiettivi/percorsi professionali e di consequenziali valutazioni dei risultati. Dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche. Si realizza, a ben vedere, una situazione affine a quella del demansionamento (sul punto cfr. Agenzia delle entrate, risposta ad interpello n. 185 dell’S aprile 2022) o della precarizzazione (Cass. Sez. n. 15/03/2016, n. 5072), là dove l’attribuzione nummaria non è meramente sostitutiva della retribuzione, ma anzitutto ristora la lesione della capacità professionale del lavoratore. All’interno di questo perimetro giuridico, nel caso concreto, le parti hanno negoziato per transigere la vertenza in atto, donde la natura risarcitoria della somma attribuita (cfr. punto 2 dell’atto di transazione) «per mancato accesso dei ricorrenti all’istituto della retribuzione di risultato a causa della omessa attivazione da parte dell’azienda di tale istituto», che è poi la res litigiosa transatta, che il fisco ha inteso sottoporre a tassazione.
Nè la successiva determinazione per via transattiva dell’entità del risarcimento, con il richiamo all’art. 52 del c.c.n.l. ai fini della determinazione del quantum debeatur, potrebbe incidere sulla natura del danno (cfr. Cass. n.29579/2011 citata).
Deve, dunque, darsi continuità all’orientamento già espresso da questa Corte (vedi Cass. n.4488/2022, citata), secondo cui non è tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto.
La sentenza impugnata, che non si attiene a tali principi va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il ricorso introduttivo del contribuente va accolto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito.
L’Agenzia controricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del contribuente controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo, con attribuzione al procuratore antistatario che ne ha fatto richiesta.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo ed assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente;
compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1. 500,00, per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge, con attribuzione al procuratore antistatario.