Corte di Cassazione ordinanza n. 15690 depositata il 17 maggio 2022
prelevamenti e versamenti bancari – reddito di impresa – onere della prova
Fatti di causa
A S.L. è stato notificato un avviso di accertamento finalizzato al recupero del maggiore ammontare dovuto, con riferimento all1anno d’imposta 2006, per Irpef, Irap e Iva. Nella prospettazione erariale il S.L. aveva maturato nell’anno di riferimento un maggior reddito rispetto a quello dichiarato. La prospettazione erariale si basava sul pvc redatto dalla Polizia tributaria, che aveva accertato prelevamenti e versamenti non giustificati su rapporti bancari del contribuente, al quale erano ascrivibili più cospicui ricavi rispetto a quelli dichiarati.
La CTP di Napoli accoglieva il ricorso del S.L.. Il successivo appello erariale veniva respinto.
L’Agenzia si affida a ricorso per cassazione incentrato su un unico motivo. Resiste con controricorso il contribuente.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, e 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR omesso ogni considerazione circa le motivazioni alla base dell’accertamento dell’Ufficio, trascurando di analizzarne le specifiche censure e disattendendo i principi nomofilattici in tema di accertamenti fondati su indagini finanziarie tesi a consentire all’Amministrazione di ricostruire presuntivamente i maggiori ricavi del contribuente in ragione delle risultanze delle movimentazioni bancarie.
La censura è fondata e merita accoglimento.
La CTR, pur nella premessa dell’effettuazione dell’accertamento sulla base di risultanze bancarie e “cioè di prelevamenti e versamenti”, ha testualmente così motivato la sentenza: “a seguito della contestazione fatta dal ricorrente era onere dell’Amministrazione fornire la prova degli assunti a sostegno delle proprie argomentazioni tanto soprattutto avendo il ricorrente dedotto in relazione a quanto assunto dall’amministrazione in relazione ai versamenti bancari, all’importo delle fatture emesse a fronte di prestazioni professionali alle duplicazioni delle poste che aumentavano il reddito desunta dal processo verbale che ha dato luogo al presente contenzioso. L’ufficio non ha cioè fornito la prova dell’assunto in base al quale agisce in danno del contribuente”.
In tema d’imposte sui redditi, viene in realtà in rilievo una presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, riferibile a alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2 (v. Cass. n. 29572 del 2018); tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti. (Cass. n. 1519 del 2017).
Ciò precisato, sul piano dei princìpi di diritto in punto di ripartizione dell’onus probandi tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, nel caso di specie l’Agenzia, documentando l’afflusso sul conto corrente del contribuente di versamenti di somme, aveva già dimostrato, in via presuntiva, la disponibilità, da parte di quest’ultimo, di maggiori redditi tassabili.
In conseguenza di ciò, pertanto, nella corretta distribuzione del carico probatorio, non gravava sull’erario l’onere di fornire una prova “di rinforzo”, incombeva, piuttosto, sul contribuente l’onere di provare il fatto rappresentato dall’esatta provenienza delle rimesse sul suo conto corrente e la non riconducibilità di esse nell’alveo dei ricavi.
Questa Corte si è in tal senso plurime volte incisivamente espressa, evidenziando che “In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti” (Cass. n. 22931 del 2018; Cass. n. 7951 del 2018; Cass. n. 16697 del 2016).
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto. La sentenza d’appello dev’essere cassata e la causa rimessa per un nuovo esame, alla luce dei segnalati principi, alla CTR della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente fase di legittimità
Per questi motivi
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla CTR della Campania in diversa composizione per un nuovo esame e per la regolazione delle spese dell’intero giudizio.