Corte di Cassazione sentenza n. 16095 depositata il 19 maggio 2022
nuovi motivi – eccezioni in senso strette
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 22 giugno 2017, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che la aveva condannata al pagamento in favore della Banca I. p.a. del credito per eccedenze i.v.a. dichiarato dal Fallimento della B. s.r.l. e a quest’ultima ceduto.
2. Il giudice di appello ha disatteso il gravame erariale evidenziando che l’eccezione di compensazione sollevata dall’Ufficio era tardiva in quanto proposta per la prima volta solo con l’atto di appello.
3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.
5. Resiste con controricorso la Banca I. s.p.a., la quale propone ricorso incidentale condizionato.
5. Avverso tale ricorso incidentale condizionato l’Agenzia delle Entrate non spiega alcuna difesa.
MOTIVI DELLA DECISONE
1. Con l’unico motivo del ricorso principale l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 57, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 69, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, e 38 bis, P.R. 29 settembre 1972, n. 633, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’eccezione di compensazione sollevata dall’Ufficio con riferimento a controcrediti vantati nei confronti del contribuente non potesse essere sollevata per la prima volta nel giudizio di appello.
1.1 Il motivo è infondato.
E’ consolidato principio della giurisprudenza di legittimità quello per cui il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, non estendendosi anche alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario, che resta sempre deducibile (cfr., per tutte, Cass., ord., 22 settembre 2017, n. 22105; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25756).
Tale principio va ribadito, con la puntualizzazione, da un lato, che il fatto estintivo tipico dell’obbligazione pecuniaria, rappresentato dal pagamento dell’obbligazione tributaria, non costituisce un’eccezione in senso stretto, non determinando un ampliamento del mutamento del thema decidendum originario (cfr. Cass. 20 dicembre 2012, n. 23592; Cass., ord., 13 giugno 2012, n. 9610).
Le riferite regole trovano applicazione anche ai giudizi nascenti dell’esercizio di azioni esercitate da parte del contribuente – che, in questi casi, assume la veste di attore anche in senso sostanziale-, per cui è consentito all’amministrazione finanziaria contestare in appello, per la prima volta, la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato dal contribuente, o la qualificazione ad essi attribuita, costituendo esse mere difese, ma non anche far valere un fatto giuridico nuovo, avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa avanzata dal contribuente (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2020, n. 23862).
1.2 In proposito, si osserva che l’espressione, ricorrente in alcune pronunce, secondo cui l’Amministrazione può difendersi «a tutto campo» va intesa, in coerenza con i richiamati principi, nel senso che, non essendo l’Amministrazione medesima vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, è consentito a quest’ultima difendersi, anche per la prima volta in appello, dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso proprio e, dunque, non determinano un ampliamento del thema decidendum (cfr., al riguardo, Cass., ord., 6 dicembre 2018, n. 31626; Cass. 21 maggio 2007, n. 11682).
In applicazione dei richiamati principi deve ritenersi che, in tema di compensazione, i principi generali enunciati dall’art. 1242, primo comma, c.c., circa l’efficacia estintiva dei due debiti da essa derivante e la sua non rilevabilità d’ufficio dal giudice, sono applicabili anche al giudizio tributario, con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere sollevata neppure dall’Amministrazione finanziaria in grado di appello ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, trattandosi di eccezione in senso proprio o stretto (così, Cass., ord., 2 novembre 2020, n. 24220).
1.3 Non appare, pertinente, in senso opposto il precedente rappresentato dall’ordinanza di questa Corte n. 23587 del 21 novembre 2016 – menzionato dal pubblico ministero nelle sue conclusioni -, in quanto relativo ad un caso in cui l’eccezione verteva sulla insussistenza del credito vantato, in quanto utilizzato in compensazione dal contribuente per il pagamento di tributi e, dunque, risolventesi in una mera difesa.
2. Per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto e, conseguentemente, va dichiarato assorbito il ricorso incidentale proposto dalla contribuente.
3. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.100,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
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