Corte di Cassazione ordinanza n. 16120 depositata il 19 maggio 2022
antielusione – abuso del diritto
RILEVATO CHE:
1. N.P. p.A. in liquidazione ricorre con cinque motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza n.5079/18/2014, pronunciata il 27/1/2014, depositata in data 30/9/2014 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento ai fini Iva per l’anno di imposta 2005.
2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che le operazioni commerciali poste in essere dalla società integravano un comportamento abusivo, in quanto connotate dalla finalità predominante di eludere le imposte normalmente previste per la cessione
I giudici di appello condividevano l’assunto della C.t.p. di Milano, secondo cui la N.P. aveva acquistato gli immobili per rivenderli successivamente in esenzione Iva, attraverso lo schermo giuridico della cessione di partecipazioni della società C. s.r.l.
Quanto al secondo rilievo, i giudici di appello ritenevano che la contribuente non avesse dimostrato l’inerenza dei costi relativi all’ assistenza professionale per l’acquisto e la vendita dei complessi immobiliari di via XXXXXXXX e di via YYYYY.
Infine, la C.t.r. rilevava che non vi erano i presupposti per la disapplicazione delle sanzioni amministrative.
3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 4 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. , il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
La società ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.37,bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dei principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, l’operazione contestata non avrebbe comportato un risparmio di imposta, nè avrebbe eluso le norme in materia di Iva.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la contraddittoria motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per aver ritenuto sussistente un caso di abuso del diritto, nonostante una diversa sezione della C.t.r. della Lombardia avesse ritenuto il contrario in una controversia tra le stesse parti per la medesima operazione.
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella nullità dell’avviso di accertamento impugnato ai sensi dell’art.37 bis d.P.R. n.600/1973 per i mancato rispetto delle garanzie procedimentali ivi previste.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.19 d.P.R. 26 ottobre 1972,n. 633, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con riferimento al secondo rilievo, la ricorrente sostiene che la C.t.r. ha erroneamente ritenuto che la contribuente non aveva fornito la prova dello svolgimento dell’attività di intermediazione immobiliare, a fronte della regolare contabilità e dell’effettivo pagamento.
Con il quinto motivo, la ricorrente contesta la sanzionabilità delle fattispecie elusive, denunziando la violazione e/o falsa applicazione dell’art.1, comma 2, d.lgs.18 dicembre 1997, n.471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1 La fattispecie trae origine da una verifica fiscale eseguita dalla Direzione Regionale della Lombardia – Settore Accertamento – Uffici Controlli Fiscali – nei confronti della società N.P. p.A. relativamente all’anno d’imposta 2005. La suddetta verifica si è conclusa con la notifica alla suddetta società del processo verbale di constatazione del 9/10/2008, il cui contenuto è espressamente richiamato nell’atto impositivo oggetto della presente controversia.
Nel corso della sopra menzionata verifica, infatti, sono emerse in capo alla società contribuente una serie di situazioni fiscalmente rilevanti ai fini Irap ed Iva per l’anno d’imposta 2005 che hanno indotto l’ufficio a contestare un’ipotesi di abuso del diritto.
In particolare, la contestazione principale riguarda l’alienazione di due immobili ubicati in Milano, effettuata attraverso la cessione delle quote detenute dalla verificata nella società C. s.r.l., intestataria degli immobili, per il prezzo di cessione di € 80.222. 172,00. Secondo l’ufficio, se, la N.P. S.p.A. avesse effettuato direttamente la cessione degli immobili, invece che attraverso la cessione della partecipazione nella società C. s.r.l., a ciò sarebbe seguito l’obbligo di assoggettare l’operazione ad Irap ed Iva.
Con l’atto impositivo, inoltre, l’ufficio ha irrogato alla N.P. la sanzione amministrativa pecuniaria relativa alle violazioni contestate.
Secondo l’Agenzia delle entrate, la Nuova Parva (holding del Gruppo immobiliare Zunino) avrebbe posto in essere tale abuso per il tramite di un’altra società denominata C., nella quale, all’epoca dei fatti contestati (2005), deteneva una partecipazione pari al 100%. La C. s.r.l., società con un capitale pari ad €. 25.500,00, era stata costituita in data 31/03/1998 e, fino a tutto il 2004, era rimasta inattiva, tanto che nell’anno 2004 non aveva personale, non deteneva immobilizzazioni (immateriali, materiali e finanziarie), aveva disponibilità liquide per €23.215,00 ed un totale attivo di €27.484,00, evidenziava un utile di esercizio di soli €.1.505,00. Tale società era stata acquistata dalla N.P. proprio nell’anno 2004, e precisamente il 26/10/2004, da altra società facente parte del Gruppo L., denominata Citta’2000 s.r.l. ad un prezzo di cessione di €25. 500,00.
La cessione della C. s.r.I. rappresenta lo strumento attraverso il quale sono state realizzate le cessioni di immobili di rilevante valore tra i gruppi immobiliari L. e C..
Per il raggiungimento di tale finalità sono state poste in essere diverse operazioni: 1) il 15/11/2004 viene stipulata una scrittura privata tra la società N.P. S.p.A., promittente, e il Gruppo C. S.p.A., promissario acquirente, in cui le parti si impegnano alla compravendita degli immobili di via XXXXXXXX e via YYYYY da attuarsi mediante l’acquisto di una società proprietaria degli stessi; 2) il 29/04/2005 la C. s.r.l. acquista l’immobile di via YYYYY 44 da una società del medesimo gruppo L. (Urbe s.r.l.), al prezzo di € 32.000.000 oltre IVA al 20%; 3) in data 24/05/2005 la C., a seguito di fusione, incorpora la società Lupifin s.r.l., proprietaria dell’immobile di via XXXXXXXX 15, che aveva acquistato l’immobile de quo da società terza al prezzo di €.28.000.000,00, oltre IVA; 4) in data 29/06/2005 la N.P. comunica alla C. di contabilizzare con effetto dal 30/06/2005 l’importo di euro 60.845.349,75 a titolo di versamento soci in conto capitali; 5) acquisiti gli immobili che interessavano il gruppo C., in data 30/06/05 la società C. viene ceduta, per il suo intero capitale sociale, dalla controllante N.P. (gruppo L.) alla società lussemburghese M.P. S.A. (appartenente al Gruppo stesso che fornisce alla società estera la provvista finanziaria per l’acquisto della partecipazione in C.) per un corrispettivo pattuito di €. 80.222.172,00.
Dall’ottobre 2005 al marzo 2006 vengono poi compiute una serie di operazioni che vedono la dismissione dell’intero patrimonio immobiliare della C. e la mancata dichiarazione dei rispettivi redditi conseguiti, unitamente all’omesso versamento delle imposte conseguenti; fortemente indebitata verso l’Erario, la società C. viene poi posta in liquidazione in data 26/05/06 per essere interamente ceduta, con tutti i suoi debiti fiscali, in data 22/12/2006 alla San M.R. s.r.l.
Dall’accertamento condotto sulle attività sopra descritte, l’ufficio ritiene che sia emerso che la N.P., per il tramite della C., abbia posto in essere un complesso di operazioni, preordinate e strumentali all’ottenimento di un indebito risparmio di imposta.
In particolare, ai fini Iva, il vantaggio perseguito dalla N.P. consisterebbe nella sottrazione all’imposizione ai fini Iva della cessione di immobili alla società lussemburghese M.P. S.A. mediante trasformazione della stessa in una cessione di partecipazione, esente ex art. 10, punto 4, del d.P.R. n.633/1972, nonché nell’indebito beneficio del credito Iva di €. 11.826.970,00, originato dagli acquisti degli immobili e dalla fusione per incorporazione operati dalla C., a favore della controllante Nuova Parva S.p.A., mediante trasferimento alla liquidazione Iva di gruppo, aggirando la limitazione alla detrazione conseguente all’applicazione del pro-rata di detraibilità di cui all’art. 19, comma 5, del d.P.R. n.633/1972; ai fini Irap, il vantaggio consisterebbe nella sottrazione dalla base imponibile Irap della plusvalenza da cessione immobiliare di € 19.350.010,63 mediante la trasformazione della stessa in una plusvalenza da cessione di partecipazione.
2.2 Essendo pacifici i fatti, come sopra riportati, la C.t.r., con accertamento in fatto adeguatamente e logicamente motivato, in alcun modo impugnato in questa sede, ha accertato che, nel caso di specie, <<la contribuente appellante ha teso a scomporre quelle operazioni, rimarcandone la singola legittimità, laddove l’Ufficio, oltre alla riqualificazione dell’atto finale, ha messo in risalto i vantaggi intermedi connessi alle operazioni singolarmente compiute e confluite nella finale preordinata cessione degli immobili attuata nella forma della cessione di quote sociali, contestando il carattere neutro della intera operazione, asserito dall’appellante, ed illustrando i vantaggi conseguiti dalle società del Gruppo Zunino e dal Gruppo nel suo complesso. Una volta che si sia in presenza di atto che appaia di abuso del diritto, l’onere di provare la esistenza di valide ragioni economiche per compierlo ricade sul contribuente. D’altra parte, il fatto che si siano accertate operazioni compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale rivela che l’illecito non è escluso dalla concomitante ricorrenza di ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale, se marginali o teoriche e in quanto tali, insufficienti a sorreggere una valida giustificazione alternativa dell’operazione. Nella fattispecie, non sono emerse ragioni di natura organizzativa ovvero di miglioramento aziendale dal punto di vista strutturale e funzionale tali da giustificare quel complesso di operazioni (pre)congegnate e realizzate. In altre parole, non sono emerse ragioni extrafiscali giustificative dell’operazione, apparendo insufficiente la considerazione, svolta dall’appellante, della necessità di soddisfare le richieste della parte acquirente intenzionata ad acquistare quote sociali anziché direttamente gli immobili. Sicché anche l’argomento che si sarebbe trattato di una operazione economica volta a conseguire una razionalizzazione dei costi ed una gestione più profittevole dell’attività immobiliare resta un mero assunto di parte sfornito di ogni riscontro concreto>>.
Dunque, con il primo motivo di ricorso, la contribuente, contestando il vantaggio fiscale e la sussistenza di ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale, in realtà sottopone al sindacato di questa Corte un ulteriore esame in punto di merito della fattispecie in questione, al fine di affermare che tali circostanze di fatto non integrerebbero gli estremi di una fattispecie abusiva.
Inoltre, non può non rilevarsi che la decisione della C.t.r. appare in linea con l’orientamento di legittimità in materia.
In particolare si è detto che < < in materia tributaria, integra operazione elusiva, ai sensi dell’art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, l’acquisto di terreni edificabili, da parte di una società immobiliare, realizzato tramite una cessione in suo favore, esente da I.V.A. ma priva di reali giustificazioni economiche, di quote di società a tale scopo costituita dall’alienante, dovendosi escludere che il contribuente possa conseguire indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili dell’operazione diverse dalla mera aspettativa di quei benefici>> (Cass. sent. n. 653 del 15/01/2014, citata anche dalla C.t.r.).
Di recente questa Corte ha enunciato il principio, secondo cui «In tema di elusione fiscale, sono prive di carattere elusivo e non integrano l’abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale delle società giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o di un ramo d’azienda e che quindi non perseguono l’esclusivo fine di trasformare le eventuali plusvalenze realizzabili sui beni di primo grado (immobili) in capital gain sui beni di secondo grado ( quote di partecipazione), in aggiramento delle norme che regolano la tassazione ordinaria delle plusvalenze conseguite nell’ambito del reddito d’impresa.» (Cass. ord. n.11890 del 5/4/2022 , depositata il 12/4/2022).
3. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.
Come evidenziato dalla difesa dell’ufficio, l’asserita contraddittorietà della sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod proc. civ., precedente alla riforma recata dall’art. 54 del d.l. n.83/2012, convertito dalla legge n.134/2012, non è applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
Come è noto, il testo attuale della suddetta norma codicistica prevede l’impugnazione solo per omesso esame di un fatto decisivo e non più per motivazione contraddittoria.
Inoltre, la contraddittorietà asserita da controparte non riguarda la logica e la struttura interna della sentenza impugnata, bensi il raffronto tra tale sentenza e degli elementi esterni, quali delle sentenze rese in un altro e distinto contenzioso.
Sennonchè la contraddittorietà denunciabile ai sensi del vecchio testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. era solo di tipo “intrinseco”, cioè emergente dalla motivazione della stessa sentenza criticata senza riferimento a circostanze o documenti esterni; in altre parole, la illogicità e/o contraddittorietà doveva emergere dalla sentenza stessa e doveva essere “interna” ad essa.
Peraltro, si osserva che la sentenza d’appello relativa al recupero Irap è stata impugnata per Cassazione dall’amministrazione (ed il relativo ricorso è stato deciso in questa camera di consiglio in maniera favorevole all’amministrazione), sicché su di essa non si era formato alcun giudicato.
4. Il terzo motivo è infondato e va rigettato.
Non appare pertinente l’invocazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, atteso che non è in base a tale norma che è stato attuato il recupero d’imposta in questione.
L’Agenzia rileva che l’atto impositivo contenente il recupero della maggiore Iva illegittimamente sottratta ad imposizione ai sensi dell’art. 7, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, non è stato emesso ai sensi dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/73, bensì dell’art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 633/72.
L’Ufficio, invero, ha contestato alla N.P. la fattispecie dell’abuso del diritto, comportamento qualificato come tale alla luce della copiosa giurisprudenza comunitaria che ha codificato la fattispecie del comportamento abusivo in materia di Iva, in assenza di una normativa ad hoc.
La doglianza è, comunque, infondata, in quanto, < <in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito>> (Cass. S.U. n.24823/2015).
Con riferimento, dunque, al generale principio di contraddittorio, esistente per i soli tributi armonizzati, deve rilevarsi che, non solo la contribuente non ha dedotto le difese che avrebbe potuto svolgere e non ha svolto (cd. prova di resistenza) in mancanza di contraddittorio preventivo, ma ha anche sostanzialmente ammesso che il contraddittorio concretamente vi è stato, in sede di procedura di accertamento con adesione, conclusasi con esito negativo.
5. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto tendente ad un riesame del merito.
Quanto al rilievo n.2 dell’avviso di accertamento, la C.t.r. ha rilevato in fatto che <<la contribuente sostiene che North Atlantic Sam (NASAM) “esercita attività di amministrazione dal 1978 nel Principato di Monaco” e che “lo staff di NASAM è composto da professionisti con esperienza pluriennale nel settore tributario, della consulenza aziendale e dell’amministrazione, ognuno con una diversa formazione ed esperienza professionale, e collabora con primari studi professionali a livello internazionale” (… ) “In virtù di tale esperienza internazionale, in data 30 giugno 2004, Domusfin conferiva l’incarico a NASAM per la ricerca di potenziali clienti interessati in tutto o in parte all’operazione di contenuto immobiliare del Gruppo. In data 20 luglio 2004 NASAM informava Domusfin sui primi contatti commerciali ricevuti e in data 8 novembre 2004 comunicava alla stessa di aver individuato l’imprenditore interessato all’operazione immobiliare”>>.
La Commissione riteneva, dunque, che, per stessa ammissione dell’appellante, la NASAM non svolgesse attività nel campo dei servizi immobiliari e/o intermediazione immobiliare.
Secondo i giudici di appello, la fattura in contestazione (n.2005- 169 del 31.5.2005) faceva riferimento ad “assistenza professionale relativa ad operazione di acquisto e vendita dei complessi immobiliari di Via XXXXXXXX e Via YYYYY”, senza chiarire adeguatamente in cosa si fosse sostanziata quella assistenza professionale, né erano stati prodotti documenti (relazioni, elaborati grafici o altro) idonei a supportare l’inerenza della prestazione per l’ingente valore di 1.200.000,00 euro.
Sul punto, pertanto, la Commissione, richiamate e condivise le motivazioni della sentenza di primo grado, respingeva l’appello della contribuente.
6. Infine, il quinto motivo di ricorso è infondato.
In merito all’applicabilità delle sanzioni, la C.t.r. ha richiamato la giurisprudenza che rimarcava come il legislatore “non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto” (Cass., Sez.V, 30.11.2011, n.25537).
La questione, dunque, secondo il giudice di appello, rimanderebbe al tema presupposto del ravvisato abuso del diritto e della indimostrata insussistenza di valide ragioni economiche per il compimento della operazione censurata; sicché una volta ravvisato l’abuso sarebbero irrogabili le sanzioni.
La statuizione del giudice di appello sull’applicabilità delle sanzioni appare condivisibile.
In primo luogo va rilevato che la Terza sezione penale di questa Corte, con la sentenza n. 40272 del 7 ottobre 2015, ha escluso che le ipotesi elusive possano configurare una condotta penalmente rilevante, in quanto il nuovo art. 10-bis aggiunto alla legge 27 giugno 2000, n. 212, cd. Statuto del contribuente, dall’art. 1 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, esclude espressamente che le operazioni che siano prive di sostanza economica e realizzino vantaggi fiscali indebiti possano dar luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie.
Si è, pertanto, ritenuto che la condotta non può che essere considerata come penalmente irrilevante in forza della statuizione di irrilevanza penale delle operazioni abusive sancita dal comma 13 dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, ma che la scelta del legislatore di depenalizzare le operazioni integranti abuso del diritto non è stata accompagnata dalla previsione della sanzionabilità assoluta delle predette operazioni, essendo rimasta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie. (cfr. Cass. n. 8061/2021)
Dunque, questa Corte ha ribadito il proprio precedente orientamento, citato dal giudice di appello, secondo cui, in ipotesi di abuso del diritto, in relazione alle quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, è evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno l’abuso del diritto (cfr. Cass. n.34750 del 31/12/2019).
Alla luce dei principi citati, in caso di abuso del diritto, deve riconoscersi l’applicabilità delle sanzioni amministrative previste per le violazioni tributarie.
Pertanto il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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