Corte di Cassazione ordinanza n. 16267 depositata il 19 maggio 2022
sanzioni – incertezza normativa oggettiva
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
1. I M. propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo il provvedimento di irrogazione sanzioni emesso nei loro confronti dal Ministero delle Finanze – Ufficio Segreteria Commissione Tributaria Provinciale Genova a seguito del tardivo riscontro agli inviti loro rivolti di pagamento del maggior contributo unificato dovuto, ex art.14 co. 3 bis d.P.R. 115/02 (TUSG) e 12, co. 5^ (attuale 2^) d.lgs. 546/92, su un ricorso tributario dell’ottobre 2011 con il quale i ricorrenti avevano cumulativamente impugnato sette avvisi di accertamento catastale.
Contributo unificato che i ricorrenti avevano calcolato una sola volta sul valore indeterminato della lite ma che, nella tesi dell’Ufficio, avrebbero invece dovuto calcolare su ciascuno degli avvisi catastali unitariamente impugnati.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
- in base al suddetto disposto di legge, ad effetto speciale rispetto all’articolo 10 proc.civ., il contributo unificato andava calcolato su ciascuno degli avvisi catastali impugnati, così come chiarito dal Ministero delle Finanze con la Direttiva n. 2/DGT del 14 dicembre 2012;
- quanto poi stabilito con l’art.1, 598, lettera a) della legge 147/2013 non faceva che confermare questa interpretazione;
- le sanzioni amministrative tributarie non potevano essere disapplicate, in quanto basate su presupposti di legge, e non sulle direttive ministeriali.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e Finanze.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso i M. lamentano – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 14 d.P.R. 115/02 e 12 co. 5, d.lgs. 546/92. Per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente affermato la debenza del maggior contributo unificato, nonostante che il combinato disposto in questione, nella versione applicabile ratione temporis, andasse riferito, in caso di ricorso cumulativo, all’importo complessivo di tutti gli atti impugnati; questa conclusione si avvalorava anche alla luce del sopravvenire della suddetta legge di stabilità 2014, la cui portata innovativa dimostrava di per sé il diverso regime invece applicabile prima della sua entrata in vigore.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art.360, co. 1^ n.4, cod.proc.civ. – nullità della sentenza per assenza sostanziale di motivazione sul perchè non vi fossero, nella specie, i presupposti per disapplicare le sanzioni in contesto di incertezza interpretativa normativa (come anche desumibile dalla suddetta riforma del 2014 che aveva inteso chiarire la questione).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 8 d.lgs. 546/92 e 10.3 l. 212/00, non avendo la Commissione Tributaria Regionale considerato che si verteva appunto in un contesto evidente ed esemplare di incertezza normativa, da valutarsi sul piano oggettivo e sintomatico.
2.2 I tre motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle censure sollevate, sono infondati.
L’art.14, co. 3 bis, d.P.R. 115/02 (introdotto dal d.l. 98/11 conv.in l. 111/11) stabiliva nella formulazione vigente ratione temporis che, nel processo tributario, il valore della lite, ai fini del contributo, doveva essere determinato “ai sensi del comma 5 (poi co.2, nde) dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, (…)”.
La disposizione richiamata (art.12, co. 2 d.lgs. 546/92) prescrive sul punto che: “(…) Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore e’ costituito dalla somma di queste.”
La lettera della legge appare dunque univoca nel richiedere che il contributo unificato, nel processo tributario, venga determinato con riguardo all’importo del tributo richiesto nell’atto impugnato. L’uso del numero singolare consegue al presupposto logico di ordinarietà secondo cui ogni ricorso ha ad oggetto l’impugnazione di un solo atto impositivo, ma non è di ostacolo a riaffermare lo stesso criterio (calcolo sul singolo tributo) anche nel caso in cui si ammetta – come si ammette: v.Cass.n. 4490/13, 10578/10, SU 3692/09, 19666/04 ed altre – la proponibilità di un unico ricorso avverso una pluralità di atti impositivi (cumulo oggettivo).
Il quadro normativo si è poi arricchito della previsione di cui all’art.1 co. 598 l.di stabilità n.147/13 cit., il quale ha aggiunto all’art.14, co. 3 bis cit., dopo la parola ‘determinato’, quanto segue: “, per ciascun atto impugnato anche in appello”.
Il problema del criterio di calcolo del valore della lite ai fini del contributo unificato nel processo tributario è già stato affrontato e risolto da questa corte di legittimità, con l’ordinanza n. 16283/21, nel senso che: “in caso di ricorsi cumulativi tributari, il contributo unificato deve essere determinato sulla base della somma dei contributi dovuti per ciascun atto impugnato, ex art. 14, comma 3-bis, d.P.R. n. 115 del 2002 vigente “ratione temporis”, assumendo all’uopo rilievo il richiamo da esso operato all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, che introduce una disciplina speciale rispetto alla norma generale di rinvio ex art. 1 del medesimo d.lgs.; di talché risulta priva di portata innovativa la modifica dell’art. 14, comma 3-bis, cit. intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 598, lett. a), legge n. 147 del 2013”.
Nell’occasione ha, in particolare, osservato la S.C. che:
- l’art.12 co. 2 d.lgs. 546/92 (richiamato dall’art. 14 co. 3 bis d.P.R. 115/02 anche prima dell’intervento apportato nel 2014) introduce una disciplina speciale (in ragione della peculiarità del processo tributario) rispetto a quella prevista dai giudizi civili, con conseguente inapplicabilità della disposizione generale residuale di rinvio al codice di procedura civile stabilita dall’art. 1 lgs. n. 546 del 1992 e così, in conseguenza, dei criteri di cui all’art.10 del codice di rito;
- l’importo del contributo unificato deve essere stabilito in relazione al valore della controversia che si intende instaurare che, per il processo tributario, corrisponde al valore dell’atto impugnato (art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 cit.), e dunque all’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto stesso;
- questo criterio era già stato precisato dall’Amm.ne Finanziaria con la Direttiva n.2 del 14.12.2012 cit. (“in base a quanto disposto dal comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. Soltanto nel caso in cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il valore della lite è dato dalla loro somma. Tenuto conto che la norma collega il valore della lite al singolo atto impugnato, in caso di un unico ricorso avverso più atti, si ritiene che il calcolo del contributo debba essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori”), la quale riprendeva, sul punto, la Circolare Agenzia delle Entrate n.48/E del 24.10.2011 sulla definizione delle liti minori, a sua volta richiamante la Circ. n. 12/E del 21.2.2003 (p.202), in base alla quale “ove con il medesimo atto introduttivo del giudizio siano stati impugnati più provvedimenti, il valore della lite dovrà essere calcolato per ogni singolo atto in contestazione“; nello stesso senso (calcolo su ciascun tributo in relazione ai relativi scaglioni) anche la Circ. n. 1/DF del 21.9.2011 Min.Fin.con riguardo alla specifica ipotesi di unica richiesta di annullamento di più tributi contenuti nello stesso atto;
- posto che si ammette, come detto, la proponibilità di ricorso cumulativo contenente più domande, anche tra loro non oggettivamente connesse, avverso più atti impositivi, le singole questioni trattate con l’unico ricorso rimangono autonome ed hanno, alla conclusione del giudizio, una loro autonoma definizione (di annullamento o conferma, totale o parziale) con riferimento specifico all’obbligazione tributaria portata da ciascun atto impugnato; il che connota una maggiore complessità del processo, ed una maggiore articolazione decisionale (atto per atto) da parte del giudice tributario, il che giustifica l’interpretazione offerta dall’Amm.ne;
- pur pronunciandosi su materia diversa da quella tributaria (contributi unificati da versarsi in caso di proposizione di motivi aggiunti e ricorsi incidentali in materia di appalti pubblici), CGUE sent. 6.10.15 in causa C-61/2014 ha fatto applicazione dei principi unionali di equivalenza ed effettività di difesa, affermando che non contrasta con il diritto dell’Unione Europea la norma nazionale che imponga il versamento del contributo unificato risultando, altresì, legittima la previsione di più contributi unificati per uno stesso giudizio, purché il ricorso incidentale ed i motivi aggiunti amplino considerevolmente l’oggetto della controversia; là dove, nel caso di ricorso tributario cumulativo contro più atti impositivi autonomi e distinti, l’ampliamento notevole dell’oggetto della controversia è addirittura in re ipsa;
- l’intervento di cui alla menzionata legge stabilità 2014 non ha natura innovativa, ma meramente confermativa di un criterio legale già precedentemente stabilito mediante il richiamo all’art.12 2^ d.lgs. 546/92.
Orbene, non vi sono ragioni per discostarsi da quanto così ritenuto, del resto del tutto in linea con quanto osservato, seppure a diverso fine: – sia da Cass.SSUU n. 10013/21, circa la natura tributaria del contributo in questione (già ritenuta da C.Cost. 73/05 e Cass.SSUU n.9840/11) e la sua compatibilità con il diritto unionale, secondo quanto evincibile proprio dalla citata sent. CGUE 6.10.2015 anche in ordine all’autonomia di ciascuno Stato nella sua regolamentazione; – sia da C.Cost. 78/2016 che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3 bis, cit. (nella parte modificata dall’art. 1, comma 598, lett. a), della legge n. 147 del 2013) in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost., ha tra l’altro ribadito la inapplicabilità in materia del principio di capacità contributiva (anche qui invocato dalla parte contribuente), atteso “il costante orientamento della Corte secondo cui il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all’art. 53 Cost. non riguarda ‘né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né […] la spesa per i servizi generali […] coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell’ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l’attività”; con ciò una volta di più raccordando la disciplina del contributo unificato all’espletamento del servizio giurisdizionale pubblico, a sua volta riguardato nella pluralità ed articolazione di domande e di decisioni richieste.
2.3 Per quanto concerne le sanzioni, i ricorrenti hanno invocato il presupposto obiettivo di esenzione costituito dalla incertezza normativa, così come previsto da varie disposizioni della disciplina tributaria: artt. 10 co. 3^ l. 212/00, 8 d.lgs. 546/92 e 6 co. 2^ d.lgs.472/97.
Sennonchè, come già più volte osservato (anche da Cass.n. 16283/21 cit. con riguardo ad identico caso), l’incertezza presuppone una condizione di dubbio non evitabile sul contenuto, sull’oggetto o sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso l’ordinario procedimento di interpretazione normativa; quest’ultimo però riferibile, non già ad un generico contribuente o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello di professionalità) e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (Cass. n. 13457 del 2012, Cass. n. 13076 del 2015, Cass. n. 23845 del 2016 ed altre).
Il dato obiettivo dell’incertezza deve inoltre essere colto laddove l’elemento normativo della fattispecie non è ‘oggettivamente’ in grado di assolvere correttamente la sua funzione, che è quella di indicare con precisione e chiarezza il comportamento da tenere nel caso concreto.
La giurisprudenza di legittimità ha individuato alcuni ‘fatti-indice’ da cui desumere l’incertezza normativa oggettiva, quali, ad esempio: – la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; – la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; – la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; – la mancanza di esplicazioni amministrative o la loro contraddittorietà; – l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; – la mancanza di precedenti giurisprudenziali; – l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; – il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; – il contrasto tra opinioni dottrinali; – l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (Cass. n. 15492 del 2018; n. 4047 del 2019).
E tuttavia nel caso di specie non è dato riscontrare nessuno di questi indici rivelatori di incertezza normativa, e ciò neppure con riguardo all’intervento modificativo – già reputato non innovativo ma meramente confermativo – del 2014.
Pur avendo a mente il momento di introduzione del giudizio tributario originario e della dichiarazione di valore posta a carico della parte ricorrente (2011), rileva come già all’epoca il dato normativo apparisse sufficientemente chiaro, e come concludenti e non contraddittorie fossero le circolari e le istruzioni ministeriali in materia (nel senso della somma dei contributi e non della somma dei tributi).
3. Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, dal momento che la Commissione Tributaria Regionale – pur denotando carenza motivazionale in diritto, direttamente ovviabile nella presente sede di legittimità – non si è discostata, nel proprio decisum, da questi principi.
Le spese del giudizio vengono poste a carico dei contribuenti in ragione di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
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