CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16283 depositata l’ 8 giugno 2023
Lavoro – Pagamento di obblighi contributivi previdenziali – Distinzione tra appalto e vendita di cosa futura – Prevalenza dell’obbligazione di facere su quella di dare – Responsabilità del committente quale coobbligato solidale ex articolo 29 D.Lgs. n. 276/2003 – Inapplicabilità alla vendita di cosa futura – Rigetto
Ritenuto che
Con sentenza del 29/12/20 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del tribunale di Forlì, che aveva accolto l’opposizione della società in epigrafe al decreto ingiuntivo richiesto per il pagamento di obblighi contributivi previdenziali quale coobbligato solidale ex articolo 29 decreto legislativo n. 276 del 2003.
In particolare, valorizzate le prove testimoniali (da cui sono risultate mere operazioni di acquisto di divani da cataloghi, senza istruzione alcuna da parte dell’acquirente in relazione alla realizzazione del bene acquistato) ed inquadrato il rapporto tra P. e W.H. nella vendita di cosa futura (e non nell’appalto), la corte territoriale ha ritenuto comunque non provati compiutamente dall’INPS i presupposti del credito azionato.
Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo, illustrato da memoria. Le controparti sono rimaste intimate.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
Considerato che
Occorre preliminarmente rilevare che il ricorso risulta esser stato notificato regolarmente a P., mentre la notifica al sig. W.H. non è stata fatta ritualmente, risultando lo stesso trasferito.
Trova tuttavia applicazione al caso il principio affermato da questa Corte secondo il quale (Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013, Rv. 627449 – 01; Sez. 1 – , Sentenza n. 4917 del 27/02/2017, Rv. 644315 – 02) la fissazione del termine ex art. 331 cod. proc. civ., in forza del principio della ragionevole durata del processo, può ritenersi anche superflua ove il gravame appaia “prima facie” infondato, e l’integrazione del contraddittorio si riveli, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento.
L’unico motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 29 suddetto, per avere la corte territoriale escluso l’applicabilità della norma alla vendita di cosa futura.
In tema, occorre premettere che la giurisprudenza ha precisato i termini della distinzione tra appalto e vendita di cosa futura, affermando che (Sez. U, Sentenza n. 1196 del 17/02/1983, Rv. 425982 – 01), con riguardo al contratto avente ad oggetto la costruzione ed installazione di un impianto, la configurabilità di una vendita di cosa futura, anziché di un appalto, ove le parti abbiano considerato l’attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire, va riconosciuta non soltanto quando detto impianto configuri un prodotto strettamente di serie del venditore, ma anche quando, pur rientrando nella sua normale attività e non richiedendo modifiche della sua organizzazione imprenditoriale, debba presentare caratteristiche e qualità specifiche, con riguardo al compratore, ed espressamente promesse dal venditore medesimo, sì da giustificare, in caso di mancanza, la risoluzione a norma dell’art. 1497 cod. civ..
Per converso è da qualificarsi (Sez. 2, Sentenza n. 7697 del 08/09/1994, Rv. 487859 – 01) contratto di appalto e non vendita di cosa futura il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto manufatti che rientrano nella propria normale attività produttiva apportando ad essi modifiche consistenti non in semplici accorgimenti tecnici marginali e secondari diretti ad adattare il prodotto alle specifiche esigenze dell’acquirente ma tali da dar luogo ad un prodotto diverso, nella sua essenza, da quello realizzato normalmente dal fornitore e richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione in serie, vale a dire un’attività di progettazione e assembramento dei pezzi, compiuta dal personale della impresa con attrezzature idonee allo scopo, con rilevante incidenza del costo del lavoro ed assunzione da parte del fornitore medesimo della piena responsabilità del progetto e dell’esecuzione delle opere a lui affidate.
Più di recente e sulla scia dei richiamati precedenti, Sez. 2, Sentenza n. 5935 del 12/03/2018 (Rv. 647849) ha chiarito che, ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l’appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l’effettiva finalità del contratto (vendita) (Nella specie, la S.C. ha confermato la qualificazione come vendita di un contratto avente ad oggetto la fornitura e l’installazione di un prefabbricato realizzato in via ordinaria e seriale).
Chiarita la distinzione tra le due fattispecie dell’appalto e della vendita di cosa futura, va rilevato che nel caso concreto la ricorrente acquistava beni su catalogo e non dava istruzione alcuna al venditore nella realizzazione del bene, sicché non può dubitarsi dell’inquadramento della fattispecie nella vendita di cosa futura e non nell’appalto.
Ciò posto, il motivo di ricorso è infondato, in quanto la fattispecie – che configura una responsabilità di carattere eccezionale in relazione a debiti altrui- trova applicazione solo in relazione allo schema contrattuale tipico previsto dalla norma, ossia al contratto di appalto, restando esclusa l’estensione della responsabilità in relazione ad altri schemi contrattuali.
Del resto, non potrebbe mai fondare una simile responsabilità del contraente il mero interesse al bene dedotto in contratto, occorrendo una ingerenza del contraente nella realizzazione del bene ovvero una esternalizzazione del processo produttivo, con connessa prevalenza dell’obbligazione di facere su quella di dare.
Nel caso, la sentenza impugnata ha ritenuto non provato il rapporto tra le società in modo diverso dal mero acquisto di beni (peraltro su catalogo) e con tale parte della sentenza il ricorso non si confronta specificamente.
Irrilevante è, infine, il richiamo a Corte Costituzionale 254 del 2017, che ammette l’applicazione dell’articolo 29 alla subfornitura, posto che qui non vi è tale tipo di rapporto.
Può dunque affermarsi che, in tema di pagamento dei contributi previdenziali dovuti per i dipendenti dell’appaltatore, la responsabilità quale coobbligato solidale ex articolo 29 decreto legislativo n. 276 del 2003 – in quanto responsabilità di carattere eccezionale in relazione a debiti altrui- trova applicazione solo in relazione allo schema contrattuale tipico previsto dalla disposizione, ossia al contratto di appalto, e dunque nei confronti del “committente” (avente i caratteri ulteriori indicati dalla norma), restando invece esclusa la detta responsabilità in relazione ad altri schemi contrattuali, quale ad esempio la vendita di cosa futura.
Nulla per spese, essendo le parti vittoriose rimaste intimate.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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