Corte di Cassazione ordinanza n. 16467 depositata il 20 maggio 2022
IMU – area edificabile – delibere comunali
FATTI DI CAUSA
I.A. S.a.S. di M.M. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 63/44/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano in rigetto del ricorso avverso avvisi di accertamento ICI 2006-2010 relativi ad un terreno di proprietà della ricorrente, per il quale era stata chiesta autorizzazione per la costruzione di un edificio.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva confermato la sentenza di primo grado sul rilievo che il Comune non fosse incorso in decadenza di accertamento per l’anno 2006, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa, che non sussisteva l’obbligo di allegazione, all’atto impositivo, degli atti cui si faceva riferimento nella motivazione in quanto atti generali, come le delibere comunali, e che infine fosse corretta la determinazione del valore venale dell’area accertata ai fini ICI.
Il Comune resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.2. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 504/1992, art. 1, comma 173, L. n. 296/2006) in quanto assume che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente affermato la tempestività dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2006, notificato nel 2012, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa.
1.2 La censura va disattesa.
1.3 La questione oggetto di scrutinio è l’individuazione del dies a quo rilevante ai fini della decadenza del potere di accertamento in materia di ICI nei diversi casi di omesso versamento di imposta e di omessa
1.4 L’art. 1, comma 161, L. n. 296 del 2006 prevede che «gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni».
1.5 Con tale disposizione il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dagli artt. 10 e 11 d.lgs. 504 del 1992 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione.
1.6 In particolare, la norma sopra indicata subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi
1.7 Tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati».
1.8 Per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali.
1.9 Ed invero, nel caso in cui il contribuente presenta una dichiarazione ed omette il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato.
1.10 A questo proposito, per quanto riguarda l’ICI, si rileva che il tributo doveva essere versato per «l’anno in corso in due rate delle quali la prima, entro il 16 giugno (…). La seconda rata deve essere versata dal 10 al 16 dicembre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno (…)» (art. 10, comma 2, lgs. n. 504 del 1992).
1.11 L’ICI, in vigore fino al 2011, è stata sostituita dall’IMU la quale prevede termini analoghi a quelli sopra riportati con la possibilità del pagamento del tributo in un’unica rata il 16 giugno (art. 9, comma 3, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23), termini che non risultano modificati a seguito del più recente intervento in materia di IMU (art 1, comma 762, n. 160 del 2019).
1.12 Nel caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve invece farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto
1.13 A questo proposito, ai fini ICI, i soggetti passivi «devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato (…) entro il termine della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio (…) La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate» (art. 10, comma 4, lgs. cit.).
1.14 Per quanto concerne l’IMU «i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta (…). La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta» (art. 13, comma 12-ter, d.l. n. 201 del 2011 conv. in I. n. 214 del 2011), disposizione rimasta sostanzialmente invariata per effetto dell’art. 1, comma 769 della n. 160 del 2019.
1.15 Pertanto, nel primo caso sopra riportato, nel quale la dichiarazione è stata presentata ed omesso il versamento, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, 296 del 2006, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato; nel secondo caso in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo.
1.16 In particolare, per quanto riguarda la dichiarazione ICI, per la presentazione della quale si faceva riferimento al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, il riferimento è all’art. 2 del d.p.r. n. 322 del 1998, il quale nel testo in vigore ratione temporis prevedeva che «le persone fisiche e le società [di persone] o le associazioni (…) presentano la dichiarazione (…) tra il 1° maggio ed il 30 giugno ovvero in via telematica entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta».
1.17 Per quanto riguarda l’IMU è, come detto, espressamente previsto come termine di presentazione della dichiarazione il 30 giugno dell’anno successivo a quello di inizio di possesso o di intervenuta variazione, rilevante ai fini della determinazione dell’imposta.
1.18 Tenuto conto di ciò, nei casi di omessa dichiarazione, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, L. n. 296 del 2006, è il secondo anno successivo a quello oggetto di accertamento, e dunque se, per ipotesi, l’anno in cui è iniziato il possesso o è intervenuta la variazione è il 2017, la relativa dichiarazione deve essere presentata nel 2018, con la conseguenza che il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è perciò il 2019, con l’ulteriore risultato che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadrà il 31 dicembre 2023.
1.19 Nella fattispecie oggetto del presente scrutinio, con l’avviso di accertamento relativo all’anno 2006, notificato il 25.7.2012, veniva contestato alla contribuente l’omesso pagamento e l’omessa dichiarazione ICI relativa anche alla suddetta annualità di imposta.
1.20 Risulta non contestata tra le parti la circostanza che a seguito di variante al R.G., adottata in data 8.3.1972, l’area in questione <<risulta(va)… destinata a servizi pubblici>> con conseguente sospensione, da parte del Comune, della richiesta di concessione edilizia presentata dalla contribuente in data 8.5.1969, successivamente respinta, nell’aprile 1984, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G. che destinavano l’area in questione a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.
1.21 È parimenti non contestato che la contribuente non abbia mai adempiuto all’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini ICI con riguardo all’area in questione, il che diede luogo agli avvisi di accertamento impugnati.
1.22 Alla luce di quanto sopra l’avviso di accertamento risulta notificato entro il termine di cui all’art. 1, comma 161 della L. n. 296 del 2006, scadendo, nel caso di specie, i cinque anni previsti da tale disposizione il 12.2012.
1.23 La CTR, nel dichiarare tempestiva, entro il suddetto termine quinquennale, la suindicata notifica ha dunque fatto corretta applicazione dei principi indicati.
2.1 Con il secondo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 1, comma 162, L. n. 269/2006, art. 7 L. n. 212/2000) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto gli atti impositivi adeguatamente motivati stante l’insussistenza dell’obbligo di allegazione delle delibere comunali relative agli avvisi impugnati.
2.2 La censura va parimenti disattesa in quanto le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. nn. 14723/2020, 2254/2016, 13105/2012).
3.1 Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 59, comma 1, lett. g, D.Lgs. n. 446/1997 per mancata determinazione del valore venale dell’area sopposta a tassazione negli atti impugnati mediante mero richiamo alle delibere assunte antecedentemente dal Comune.
3.2 La doglianza è infondata.
3.3 In tema di ICI le delibere con le quali la giunta municipale provvede ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52 ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili costituiscono esercizio del potere riconosciuto al Consiglio Comunale dalla n. 446 citata, art. 59, lett. G e riassegnato alla Giunta dal D.Lgs n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora la imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata, e rappresentano fonti di presunzioni utilizzabili dal Giudice, al pari del c. d. <<redditometro>> (cfr. Cass. nn. 15552/2010, 16702/2007) ma non hanno valore imperativo ed ammettono prova contraria, al che consegue che allorché nel processo il Giudice ritenga raggiunta la prova, o perché fornita dall’interessato o perché comunque emergente dagli atti di causa, che ad un’area edificabile non possa essere applicato il valore stimato dal Comune, può disattenderlo, e, su istanza di parte, procedere ad una autonoma stima, utilizzando tuttavia i parametri di legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5, comma 5).
3.4 Nel caso in esame, la ricorrente non ha dunque in alcun modo dimostrato la difformità tra il valore venale previsto nelle singole delibere, annualmente approvate, rispetto a quello posto alla base delle imposte applicate, limitandosi a generiche doglianze, come correttamente evidenziato dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza impugnata.
4.1 Con il quarto motivo si denuncia violazione di norme di diritto (artt. 1 e 2 Lgs. n. 504/1992) avendo la Commissione Tributaria Regionale ritenuto la legittimità dell’avviso impugnato anche in mancanza del presupposto impositivo, in quanto il terreno in oggetto non aveva natura edificabile, essendo stato destinato, nel PRG, a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.
4.2 La questione controversa è relativa al se il vincolo di destinazione urbanistica a <<verde pubblico>> sottragga l’area al regime fiscale dei suoli edificabili, ai fini dell’ICI.
4.3 Trovano applicazione, nel caso di specie, i principii, già enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e a cui il Collegio intende dare in questa sede continuità, secondo cui, in tema d’imposta comunale sugli immobili la nozione di edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa (cfr. Cass. n. 19161/2004), cosicché l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale ad attrezzature e impianti di interesse generale, o a servizi pubblici o di interesse pubblico, non esclude l’oggettivo carattere edificabile ex art.2 del d.lgs. n. 504 del 1992, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione, che condizionano, in concreto, l’edificabilità del suolo, ma non sottraggono l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili e considerato che la destinazione prevista dal vincolo posto dal piano regolatore è realizzabile non necessariamente mediante interventi (o successive espropriazioni) di carattere pubblico, ma anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa) (cfr. nn. 21351/2021, 17764/2018, 23814/2016, 14763/2015, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2010, 19161/2004).
4.2 Va quindi motivatamente disatteso il diverso orientamento (cfr. Cass. nn. 27121/2019, 5992/2015, 25672/2008), secondo il quale le aree sottoposte dal piano regolatore generale a un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, non possono essere qualificate come fabbricabili, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d. lgs 1992/504 e restano sottratte al regime fiscale dei suoli fabbricabili.
4.3 Tali pronunce, infatti, non tengono conto che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), prevedendo che un terreno è considerato edificatorio sia quando l’edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione, delinea una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria.
4.4 Essa, pertanto, non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria.
4.5 Con riguardo, alle aree destinate a servizi pubblici o di interesse pubblico, è stato ritenuto, infatti, che «in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile ex art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1992, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile» (Cass. 23814/2016; conforme Cass. nn. 5604/2022, 653/2022, 17764/2018).
4.6 Ne discende che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (cfr. Cass. nn. 24308/2016, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2008).
5.1 Con il quinto motivo si lamenta violazione di norme di diritto (art. 8 D.Lgs. n. 546/1992, art. 10 L. n. 212/2000, art. 6 D.Lgs. n. 472/1997, 2 D.Lgs. n. 504/1992) per avere la Commissione Tributaria Regionale respinto la richiesta, avanzata in subordine, di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della normativa ICI circa le aree fabbricabili in caso di apposizione di vincoli.
5.2 Questa Corte ha più volte affermato che per incertezza normativa oggettiva tributaria deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie.
5.3 Si è pure aggiunto che l’essenza del fenomeno incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di <<fatti indice>> che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati esemplificati: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in particolar modo se accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
5.4 Tali fatti devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili (cfr. Cass. n. 4685/2012).
5.5 Proprio richiamando tali principi, va evidenziato che nel caso in esame non ricorre un’evidente e conclamata presenza di una situazione di incertezza nel caso di specie, militando, in tal senso, la mancanza di diffusi contrasti giurisprudenziali in argomento, risultando, al contrario, in particolar modo all’epoca delle contestate inadempienze tributarie, del tutto minoritario e limitato l’orientamento giurisprudenziale conforme alle argomentazioni della ricorrente.
6. Il ricorso va dunque rigettato.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.