Corte di Cassazione ordinanza n. 16517 depositata il 23 maggio 2022
attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero – sanzioni – istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse
RILEVATO CHE:
1. Con il ricorso 22834/2013 R.G., Carla Cavalli ricorre con quattro motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza 130/44/13, pronunciata il 13/02/2013, depositata in data 25/02/2013 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello incidentale dell’ufficio, rigettando quello principale della contribuente, contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Lodi, che aveva parzialmente accolto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento, emesso ai fini Irpef per l’anno di imposta 2005, ed il conseguente atto di contestazione delle sanzioni.
La contribuente aveva impugnato gli atti, facendo valere gli effetti preclusivi dello scudo fiscale, ex art. 13 bis d.l. n.78/2009, convertito dalla legge n.102/2009.
2. I primi giudici avevano annullato l’avviso di accertamento e confermato l’atto di contestazione delle sanzioni, ritenendo che l’ufficio non avesse provato il reddito attribuito alla contribuente per l’anno di imposta 2005, essendosi limitato ai conteggi per l’anno 2003, e che risultasse dal p. v.c. del 21/11/2008 la consapevolezza della contribuente di essere assoggettata ai controlli fiscali, con conseguente inapplicabilità dell’effetto preclusivo dello scudo fiscale.
3. Con la sentenza impugnata, la t.r. rigettava l’appello principale della contribuente, rilevando che quest’ultima aveva invocato sin dal primo grado la continuazione, affermando che attraverso l’applicazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs n. 472/1997 avrebbe potuto beneficiare della riduzione a un quarto prevista dall’art. 16, comma 3, stesso decreto. Senonché l’art. 16, comma 3, d.lgs. n. 472/97 dava la facoltà di definire la controversia con il pagamento di un quarto entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, ma, secondo la C.t.r., non risultava provato e neppure affermato che il pagamento fosse avvenuto. Invero, la contribuente non aveva fatto cenno alla circostanza che la sanzione irrogata per l’anno 2004, aggiunta alla sanzione irrogata per l’anno 2005 di cui qui si trattava, avesse superato il minimo della sanzione base aumentata della metà, soglia sotto la quale la disciplina della continuazione non era utilmente invocabile. Dunque per quanto riguardava l’applicazione delle sanzioni, la C.t.r. affermava che sarebbe stata cura del collegio che avrebbe preso cognizione dell’ultima sanzione a determinare la sanzione complessiva. I giudici di secondo grado accoglievano, invece, l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, rilevando che correttamente l’Ufficio aveva applicato una presunzione di equivalenza con la redditività realizzata nel corso del 2003, come emergente dai documenti, in mancanza di prova contraria della contribuente, che avrebbe avuto l’onere di dimostrare la minore o nulla fruttuosità dei cespiti nell’anno 2005, stante l’omessa compilazione del quadro RW per l’ipotesi di eventuali rientri in Italia delle attività estere successivi al novembre del 2003.
4. Con il ricorso n.24428/2014 G., Carla Cavalli ricorre con quattro motivi contro l’Agenzia delle entrate, che rimane intimata, avverso la sentenza n.1101/2014, pronunciata il 13/02/2013, depositata in data 28/02/2014 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto in parte l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento, emessi ai fini Irpef per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, con i relativi atti di contestazione delle sanzioni e le cartelle di pagamento provvisorie.
La contribuente aveva impugnato gli atti, facendo valere gli effetti preclusivi dello scudo fiscale, ex art. 13 bis d.l. n.78/2009, convertito dalla legge n.102/2009.
5. Con la sentenza impugnata, la t.r. accoglieva l’appello limitatamente al’applicazione della continuazione per le sanzioni, rigettandolo, invece, con riguardo alle contestazioni sull’effetto preclusivo dello scudo fiscale e sulla determinazione delle sanzioni nel massimo edittale.
6. I ricorsi sono stati fissati per la camera di consiglio del 21 aprile 2022, ai sensi degli 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
CONSIDERATO CHE:
1. Preliminarmente deve rilevarsi che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 proc. civ., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, è applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità al ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale (cfr., Sez. U, 13/09/2005, n. 18125).
Nella specie, in ossequio a tali principi, va disposta la riunione del procedimento n. 24428/2014 R.G. a quello recante n. 22834/2013 R.G.
1.1 Con il primo motivo, di eguale contenuto nei due ricorsi riuniti, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli 13 bis d.l. 1 luglio 2009 n. 78, convertito dalla I. n.102/09, 14, comma 4, d.l. 25 settembre 2001 n. 350, convertito dalla I. n.409/2001, 32, primo comma, n.2, d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 non erano oggetto di attività di controllo, pertanto erano completamente “coperti” dalla preclusione opposta dalla contribuente in ragione del rimpatrio delle somme detenute all’estero e del pagamento dell’imposta sostitutiva.
Invero, l’invito a comparire inviato in data 4/11/2008 alla contribuente dall’ufficio di Codogno riguardava chiarimenti riguardo alla documentazione e alla movimentazione finanziaria per gli anni di imposta 2002, 2003 e 2004.
1.2 Con il secondo motivo, uguale nei due ricorsi, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 , degli articoli 32, primo comma, n. 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, 7 d.P,R. 22 dicembre 1986 n.917, 2697, 2727, 2728, 2729 cod. civ., 6 d.l. 28 giugno 1990 n.167, in relazione ali’ art.360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
In primo luogo, la ricorrente ritiene che il giudice di appello abbia violato il principio di capacità contributiva, nonché le norme sull’onere probatorio e la prova presuntiva, non rilevando che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito alcuna dimostrazione della titolarità delle disponibilità estere in capo alla contribuente per gli anni di imposta in contestazione.
Inoltre, la C.t.r., nel ritenere la presunzione di equivalenza della redditività dell’anno 2003 e dei successivi, avrebbe violato l’art.6 d.l. n.16 7/1990, secondo cui le attività estere di natura finanziaria si presumono, salva prova contraria, fruttifere in misura pari al tasso ufficiale di riferimento, vigente in Italia nel relativo periodo di imposta.
1.3 Con il terzo motivo, di eguale tenore nei ricorsi riuniti, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, d.l. 28 giugno 1990 n.167, dell’art. 7, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997 n.472, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione ali’ art.360, primo comma, 3 e 5, cod. proc. civ., applicazione l. 6 agosto 2013 n. 97, artt. 5 e 9 in modifica al d.l. 28 giugno 1990 n. 167.
Secondo la ricorrente, giudici regionali sono incorsi ulteriormente nella violazione e falsa applicazione di un principio di diritto allorquando non hanno considerato la validità del cosiddetto “scudo fiscale” anche relativamente all’atto di contestazione riferibile alle sanzioni irrogate. Peraltro, la ricorrente sostiene che i giudici regionali non si siano pronunciati su un punto decisivo della controversia riferibile al quantum delle sanzioni irrogate, osservando, in proposito, che l’Ufficio aveva applicato la sanzione nella misura massima del 25 per cento adducendo “la reiterata condotta del contribuente e la gravità della violazione accertata, nonché l’atteggiamento teso sin dall’inizio ad ostacolare l’attività di controllo da parte dell’amministrazione”, in aperto contrasto con l’analoga condotta che aveva riguardato i periodi d’imposta 2003 e 2004, per i quali, invece, la misura della sanzione si era attestata al 15 per cento per la medesima violazione. La ricorrente, inoltre, contesta la mancanza di uno dei presupposti per la variabilità della sanzione, prevista dalle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative tributarie all’articolo 7, comma 1, del d.lgs. n. 472/1997, ossia il fatto che la condotta della contribuente durante la fase istruttoria non aveva affatto recato pregiudizio all’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria.
La ricor rent e, chiede, com unque, applicarsi la legge 6 agosto 2013, n. 97, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge europea 2013”, che, con l’ar t ico lo 9, ha apportato molteplici modificazioni al decreto legge 28 giugno 1990, n. 167. Segnatamente, in materia di sanzioni, il legislatore ha inteso attenuare l’impatto sanzionatorio per le violazioni commesse in materia di “monitoraggio fiscale”, perciò l’articolo 5 vigente dispone che “La violazione
dell’obbligo di dichiarazione previsto nell’articolo 4, comma 1, è punita .. con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati”. Pertanto, la ricorrente chiede la riconsiderazione della misura sanzionatoria in esito alle nuove disposizioni recate dalla legge n. 97/2013 e in ossequio a quanto prevede l’articolo 3 del decreto legislativo n. 472/1997, non essendo definitivo il provvedimento di irrogazione (conf. Cass.,S.U., n. 26126/2010).
1.4 Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la nullita’ della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, commi 2, 3 e 4, richiamato dall’art. 61, d.lgs 31 dicembre 1992 n. 546, degli artt. 111 Cost., 112 e 132 cod. civ. ed art. 118 disp. att. cod. proc. civ., atteso l’assoluto difetto di motivazione in punto di diritto ed attesa la motivazione inesistente, meramente apparente ed apodittica della sentenza gravata, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
Invero, le sentenze delle Commissioni Tributarie, ivi comprese quelle di secondo grado, devono contenere la concisa esposizione dello svolgimento del processo, le richieste delle parti, la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non contiene una completa esposizione dello svolgimento del processo e delle richieste delle parti ed omette ogni decisione sulle contestazioni relative al quantum delle sanzioni, con particolare riferimento all’omessa riunione del giudizio con quello relativo all’anno di imposta 2005, ai fini dell’applicazione della continuazione (ricorso n. 24428/2014 R.G.).
2.1 Il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, è infondato e va rigettato.
Questa Corte ha già rilevato che <<in materia di scudo fiscale, la presentazione della dichiarazione riservata di cui all’art. 13-bis del d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla I. n. 102 del 2009, non è preclusiva del potere di accertamento tributario ove il contribuente, alla data di presentazione della stessa, avesse già, ai sensi dell’art. 14, comma 7, del d.l. n. 350 del 2001, conv. dalla I. n. 409 del 2001, “formale conoscenza” dell’avvio dell’attività di accertamento; tale condizione non si esaurisce nella “formale notifica” di un atto, ma ricorre anche nel caso del compimento di attività – quali, tra l’altro, gli accessi, le ispezioni, le verifiche, la partecipazione al contraddittorio, l’invio e la risposta a questionari, le acquisizioni probatorie ed istruttorie – che abbiano coinvolto il contribuente e si siano tradotte in atti del procedimento specifici e di contenuto pertinente – la cui valutazione è di competenza del giudice di merito – all’accertamento medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la “formale conoscenza” dell’attività di accertamento dell’Ufficio in capo al contribuente dalla perquisizione penale dallo stesso subita, fonte dell’accertamento tributario alla stregua dell’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973)>> (Cass. sent. n. 1321 del 18/1/2022).
Nel caso di specie la ricorrente sostiene che l’invito a comparire n. 100003/2008, notificato in data 3/11/2008, riguardasse solo gli anni 2002, 2003 e 2004 (e non quindi le annualità successive); pertanto, non essendo iniziato alcun controllo per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008, lo scudo fiscale sarebbe stato opponibile e l’Amministrazione non avrebbe potuto effettuare l’accertamento per gli anni in oggetto.
Tuttavia, il collegio rileva che la C.t.r., adeguatamente motivando sul punto, ha ritenuto che il contribuente avesse avuto conoscenza dell’avvio dell’attività di accertamento anche per le annualità in contestazione.
Invero, l’attività di contrasto all’evasione era iniziata, nel caso di specie, con il verbale di constatazione redatto delle Dogane in data 27.11.2003, nel quale veniva contestato il possesso delle attività valutarie in capo alla sig.ra Cavalli.
Tale attività di carattere ispettivo era prodromica al successivo accertamento; infatti, con invito n. 100003/2008 l’ufficio di Codogno aveva convocato la sig.ra Cavalli in data 21 novembre 2008 per fornire chiarimenti in merito alle movimentazioni finanziarie per l’anno d’imposta 2003, nonché per l’annualità precedenti e successive. Ebbene, tale invito risultava notificato in data 4 novembre 2008, quindi quasi un anno prima della dichiarazione riservata della contribuente (prodotta in data 9 novembre 2009).
La C.t.r. evidenzia che<< Nel processo verbale di contraddittorio successivo all’invito risulta che, in data 21.11.2008, il funzionario dell’amministrazione finanziaria e il capo area controllo hanno chiesto alla contribuente se aveva provveduto a dichiarare gli investimenti detenuti all’estero nel modello Unico 2004 per l’anno di imposta 2003 ovvero per gli anni a seguire, ricevendo la evasiva risposta “mi riservo di esaminare la dichiarazione in questione”. Alla data della domanda le dichiarazioni che dovevano essere già state presentate non erano limitate all’anno 2004 ma erano invece rivolte a ricomprendere tutte le eventuali omissioni successive. Né il riferimento della contribuente alla dichiarazione nella forma singolare, considerata la generale reticenza manifestata nelle altre risposte, è ragionevolmente riconducibile a un malinteso, come se la domanda riguardasse il solo anno 2003> >.
Come rilevato dal giudice di appello, l’avvio dell’indagine istruttoria era cosa cognita alla contribuente già a far data dal 2003, ma in particolare dalla data del 21/11/2008, in cui – durante il contraddittorio – l’ufficio aveva rivolto una specifica domanda che riguardava gli anni successivi al 2003, rendendo edotta la contribuente dell’ampiezza dell’attività ispettiva. Deve, quindi, concludersi che correttamente la C.t.r., nella sentenza impugnata, ha ritenuto che fossero esclusi gli effetti estintivi della dichiarazione riservata, in quanto, alla data della sua presentazione, la violazione era stata già constatata o comunque erano già iniziate le attività di accertamento tributario di cui l’interessata aveva avuto formale conoscenza, ai sensi dell’art. 14, comma 7, del d.l. 25.9.2001 n. 350.
2.2 Il secondo motivo, anch’esso comune ai due ricorsi riuniti, è infondato e deve essere rigettato.
Come questa Corte ha già rilevato, < <In tema di attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero, quando il contribuente non espone sul quadro RW del modello “Redditi” simili attività, che avrebbe dovuto dichiarare (come da circolare n. 38/2013 dell’Agenzia delle Entrate), diviene operativa la presunzione di fruttuosità delle stesse attività, salvo prova contraria da parte del contribuente>> (Cass. sent. n.1324 del 18/1/2022).
In relazione alle attività di natura finanziaria, l’articolo 6 del d.l. n. 167 del 1990 conv. con mod. dalla I. n. 227 del 1990 (denominato «Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori») stabilisce che «gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta».
Nella citata sentenza, questa Corte ha avuto modo di precisare che il trasferimento di capitali all’estero non si esaurisce in una condotta istantanea, ma determina effetti permanenti, costituiti dal persistere della disponibilità all’estero delle attività occultate, con la conseguenza che la presunzione prevista dalla norma in parola riguarda sia la redditività dei capitali esportati e nascosti al fisco, sia la presunzione di mantenimento della disponibilità finanziaria per gli anni successivi e prossimi all’anno di costituzione della disponibilità estera non dichiarata.
L’operatività della presunzione comporta che la disponibilità valutaria o di denaro sia collegata alla naturale fecondità di tali beni e che tale fruttuosità si presume esistente fino al momento in cui si dimostri il contrario.
In particolare, in applicazione anche del principio di vicinanza della prova, il contribuente, con la controprova, può evitare la ripresa a tassazione dei frutti pecuniari di cui all’art. 6 d.I. cit., essendo oltremodo agevole per lui accedere alla documentazione attestante l’avvenuta dismissione delle disponibilità finanziarie costituite in precedenza (nella specie dismissione mai dedotta, né dimostrata).
D’altra parte, l’amministrazione finanziaria può quantificare in concreto i redditi effettivi derivanti dalle disponibilità estere, operando uno specifico accertamento che si sostituisca alla quantificazione di cui alla presunzione di fruttuosità in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta.
La doglianza della contribuente, relativa alla quantificazione del reddito derivante dalle disponibilità finanziarie detenute all’estero appare del tutto generica, in quanto non chiarisce se ed in che misura l’importo determinato dall’amministrazione si distacchi da quello derivante dall’applicazione dell’invocata presunzione di fruttuosità.
In conclusione, sarebbe stato onere del contribuente dare dimostrazione in ordine al venir meno, in tutto o in parte, delle disponibilità detenute all’estero, prova che la C.t.r. ha ritenuto che difettasse nel caso in esame.
2.3 Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, aventi ad oggetto la quantificazione delle sanzioni e per tale profilo comune ad entrambi i ricorsi riuniti, sono da esaminare congiuntamente perché connessi.
Il quarto motivo, che ha priorità logica sul terzo, non è fondato, in quanto non sussistono l’omissione di pronuncia o di motivazione, denunziate dalla ricorrente, sulla contestazione relativa alla determinazione del quantum della sanzione.
In particolare, la C.t.r. con la sentenza n.130/44/13, pronunciata il 13/02/2013 (oggetto del ricorso n. 22834/2013R.G.), ha ritenuto che l’art. 16, comma 3, d.lgs. n. 472/97, che dava la facoltà di definire la controversia con il pagamento di un quarto entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, non risultava applicabile alla fattispecie in esame, in quanto non era provato -e neppure affermato- che il pagamento fosse avvenuto.
Inoltre, con riferimento alla continuazione, la C.t.r. rilevava che la contribuente non aveva fatto cenno alla circostanza che la sanzione irrogata per l’anno 2004, aggiunta alla sanzione irrogata per l’anno 2005 di cui qui si trattava, avesse superato il minimo della sanzione base aumentata della metà, soglia sotto la quale la disciplina della continuazione non era utilmente invocabile.
Per quanto riguarda, poi, la quantificazione della sanzione nella misura massima del 25 per cento, con la sentenza n. n.130/44/13 (ricorso n. 22834/2013 R.G.) il giudice ha implicitamente rigettato la doglianza della contribuente ed ha evidenziato in motivazione la generale reticenza della contribuente a rispondere al questionario, che indubbiamente può costituire la “condotta” valutabile nella determinazione della sanzione.
Anche la sentenza n. 1101/2014 (ricorso n. 24428/2014) ritiene che l’irrogazione della sanzione nel massimo sia giustificata alla luce della condotta della contribuente, tesa ad ostacolare gli accertamenti fiscali; tuttavia ritiene applicabile la continuazione, ai sensi dell’art.12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in diversi periodi di imposta.
Relativamente al profilo attinente all’applicazione della continuazione, il terzo motivo del ricorso n.22834/2013 R.G. va accolto, affinché il giudice provveda alla rideterminazione delle sanzioni complessive, valutando l’applicazione della continuazione, ai sensi dell’art.12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997.
Il giudice del rinvio, nella determinazione in concreto delle sanzioni, valuterà anche l’eventuale applicazione dello ius superveniens, ai sensi dell’art.5 d.l. n. 167 del 1990, come sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera d), della Legge 6 agosto 2013, n. 97, ritenuto dalla ricorrente più favorevole.
In conclusione, il ricorso n.22834/2013 R.G. va accolto limitatamente al terzo motivo nei sensi indicati in motivazione, con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso n.22834/2013 R.G. nei sensi indicati in motivazione; rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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