Corte di Cassazione ordinanza n. 16838 depositata il 7 agosto 2020

processo tributario – giudicato interno

Rilevato che:

La CTR della Campania, con la sentenza oggi impugnata, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di Benevento avverso la sentenza n.93/02/2009 della CTP della stessa città, che aveva accolto il ricorso dall’appellata s.r.l. W. H. proposto avverso l’avviso di accertamento N.RE3L00028, notificato dall’Agenzia il 10.11.2007, per il pagamento di IRES, IRAP ed IVA dovuta dalla ricorrente per l’anno d’imposta 2004 in virtù di accertamento induttivo fondato sull’applicazione di studio di settore.

Per quanto di residuo interesse in questa fase, la CTR, dopo aver descritto in via generale il sistema di funzionamento degli studi di settore e le garanzie di attendibilità per il contribuente, rileva che “agli atti di causa non è stata fornita alcuna prova documentale che attesti la veridicità di quanto dichiarato ai fini della perdita e della base imponibile dichiarate, né vi è prova della cessione di attività. E’ stata genericamente sostenuta la presenza in zona di concorrenti”.

Quanto poi alla gravità delle incongruenze rilevate dall’Ufficio, dato atto che, pur non esistendo una soglia normativa minima degli scostamenti che ne qualifichi la rilevanza, tuttavia questa Corte ha sempre ribadito che l’applicazione degli studi è giustificata solo in presenza di tale requisito, ha ritenuto sufficienti gli scostamenti registrati rispetto ai ricavi dello studio, in quanto “visto il ricavo puntuale di riferimento e quello minimo ammissibile, la Società abbia dichiarato ricavi inferiori di circa il 15% rispetto al valore puntuale e di circa il 12% rispetto a quello minimo ammissibile”.

Avverso detta pronuncia la W. H. s.r.l. ha proposto ricorso, articolando cinque motivi di censura. L’Agenzia si è costituita notificando controricorso, nel quale conclude per la reiezione del ricorso.

All’esito della camera di consiglio del 29 gennaio 2020 la Corte ha deciso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la Società deduce violazione degli artt.53 D. Lgs. n.546/1992 e 342 c.p.c.: premessi richiami giurisprudenziali di legittimità in tema di necessaria specificità dei motivi d’appello ed alla necessità di argomentazioni di contrasto delle parti della decisione di cui si chiede la riforma, evidenzia come nella specie l’appello dell’Agenzia, incentrato esclusivamente sulla rilevanza in via di principio degli studi di settore, non aveva tenuto conto (né aveva articolato alcuna confutazione) dei punti della sentenza della CTP, con i quali questa aveva criticato l’accertamento per non aver valutato analiticamente le giustificazioni addotte dalla parte, ed in particolare l’essere la Società operante in regime di franchising, perciò vincolata dalla politica dei prezzi indicata dal franchisor; perchè nello sviluppo dello studio non era stata considerato il cluster territoriale né la posizione periferica dell’esercizio; perché tutti gli altri indici di coerenza erano risultati congrui; infine perché lo scostamento rispetto ai ricavi minimi si attestava poco oltre il 10%.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt.342 e 100 c.p.c., in quanto, avendo la CTP espresso motivazioni attinenti alla rilevanza probatoria in generale degli studi di settore, ma anche afferenti specifiche caratteristiche del caso in esame, l’appello era inammissibile per difetto d’interesse, per essere le censure in esso articolate riferibili solo alle affermazioni di principio, senza affrontare le evidenziate affermazioni sul caso concreto, così lasciando immune da censure l’autonoma ratio decidendi fondata su di esse.

Con il terzo motivo la Società denuncia violazione degli artt.112 in relazione all’art.342 c.p.c., poiché, nonostante le lacune dedotte nel motivo che precede, la CTR aveva riformato la pronuncia appellata proprio rivedendo le argomentazioni svolte dai primi Giudici sul caso concreto, e quindi oltre i limiti della devoluzione: in particolare sottolinea come l’Agenzia non avesse svolto in appello alcuna considerazione in ordine alla valutata carenza di prova in punto di esistenza di imprese concorrenti e di sopravvenuta cessione dell’azienda; né avesse sviluppato alcun argomento di contrasto circa la ritenuta gravità dello scostamento dallo studio di settore o le manchevolezze nel suo sviluppo.

Tutte le riassunte doglianze, che si esaminano congiuntamente in ragione della stretta dipendenza che le collega, sono infondate. Invero, quanto alla prima, la sentenza della CTP, quanto meno nel testo riportato dalla ricorrente, aveva ritenuto la sussistenza di valide ragioni giustificative dello scostamento sulla base delle mere asserzioni della contribuente, laddove l’Amm.ne aveva eccepito che fin dalla fase di contraddittorio amministrativo le giustificazioni offerte non erano fondate su elementi probatori affidabili. In tal senso l’atto d’appello, per quanto riportato dalla Società ricorrente e dall’Agenzia controricorrente, aveva ripreso tale contestazione, lamentando implicitamente che la CTP avesse ritenuto sussistenti i fatti e gli elementi logici giustificativi addotti dalla W. H. nonostante la carenza probatoria dei fatti allegati; ed è proprio sulla genericità della deduzione circa i concorrenti della zona e l’assenza di prova documentale sia della cessata attività che delle perdite maturate (ribadita anche in punto di motivazione circa la compensazione delle spese di giudizio) che la CTR ha fondato il proprio giudizio di assenza di giustificazioni sufficienti a motivare lo scostamento, che ha ritenuto comunque sufficiente a sostenere l’accertamento impugnato.

Da tali considerazioni appare evidente che la sentenza impugnata non è incorsa in nessuna violazione dei limiti di devoluzione stabiliti dall’art.53 D. Lgs. n.546/1992 (norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., ancorchè di analogo contenuto); né può ritenersi che per dedurre la specifica doglianza fossero necessarie ulteriori argomentazioni illustrative, giacchè, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, nessun elemento documentale era stato allegato dalla parte ricorrente in primo grado e la mera reiterazione della denunciata carenza era sufficiente a chiarire quale fosse l’errore di giudizio dedotto dall’appellante Agenzia. Peraltro questa Corte ha ripetutamente ribadito che nel processo tributario l’onere di specificazione dei motivi di appello è soddisfatto con l’indicazione delle parti della pronuncia della quale si chiede la riforma, anche sulla base delle ragioni già sviluppate nel contraddittorio del precedente grado o se le ragioni di contestazione siano implicitamente ricavabili dall’interpretazione del tenore complessivo dell’appello (cfr. ex multis Cass. sez.V 20.12.2018 n.32954; Cass. sez.VI-V 5.10.2018 n.24641; Cass. sez.VI-V ord. 22.03.2017 n.6379; Cass. sez.VI-V ord. 1.07.2014 n.14908; Cass. sez.V 29.02.2012 n.3064).

Una volta esclusa dal Giudice del merito la prova di elementi idonei a giustificare il contestato scostamento, è evidente che la devoluzione sulla questione della prova della giustificazione dello scostamento è sufficiente a riespandere il potere di cognizione del Giudice dell’appello su ogni altra questione connessa con quella esplicitamente devoluta, in quanto incidente su “la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico”, ancorchè gli altri elementi della “fattispecie” non abbiano costituito oggetto di specifica critica nell’atto d’appello (Cass. sez.II ord. 17.04.2019 n.10760; Cass. sez.VI-L ord. 8.10.2018 n.24783; Cass. sez.VI-III ord. 16.05.2017 n.12202); donde la non ravvisabilità di una autonoma ratio decidendi non censurata, che l’appellante avrebbe avuto l’onere di censurare con specifico motivo e, anche sotto gli ulteriori profili dedotti, la mancanza di violazioni dei limiti dei poteri di cognizione del Giudice dell’appello.

Il quarto motivo contiene censura di violazione degli artt.167 e 416 c.p.c., per avere la CTR affermato che nessuna delle giustificazioni addotte dalla Società era suffragata da prove, nonostante l’Agenzia durante tutto il giudizio di primo grado non avesse mai mosso specifica contestazione dei fatti dedotti a sostegno delle stesse.

Il motivo è infondato sia negli allegati presupposti di fatto che nell’indicazione del principio di diritto.

Sotto il primo profilo deve rilevarsi che proprio sub 5 dell’esposizione in fatto del ricorso innanzi a questa Corte parte ricorrente evidenziava da un lato che nel giudizio di primo grado l’Agenzia delle Entrate “non contestava quanto dedotto in fatto dalla ricorrente”, ma subito dopo specificava che la stessa Agenzia “Si limitava a ribadire di aver proceduto all’accertamento in quanto il contribuente non aveva fornito documentazione per giustificare lo scostamento dei ricavi, e anche perché le motivazioni fornite non sono state sufficienti a giustificare tale scostamento”. Appare evidente la paralogia insita nelle due affermazioni, delle quali la seconda contraddice inevitabilmente la prima: invero poichè il principio processuale di non contestazione opera sul piano della prova, contestare che la prova di un fatto sia sufficiente a farlo ritenere esistente equivale a contestare che il fatto possa essere accertato e quindi sussista.

Sotto il secondo profilo è orientamento più che costante di questa Corte che nel processo tributario il principio di non contestazione vada contemperato con la specifica natura impugnatoria del giudizio, in virtù della quale l’avviso impugnato ed i suoi elementi costitutivi costituiscono, comunque, l’oggetto del contendere, “la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati” (Cass. sez.V 13.03.2019 n.7127; Cass. sez.VI-V ord. 12.05.2016 n.9732; Cass. sez.V 6.02.2015 n.2196).

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt.62bis e sexies Decreto Legge n.331/1993 e “difetto o incongruità della motivazione su un punto decisivo della controversia”: la CTR avrebbe predicato la gravità dello scostamento “apoditticamente”, cioè senza tener conto degli argomenti contrari (sopra riportati) in virtù dei quali era stata negata dai primi Giudici e senza effettuare una valutazione comparativa di quelli favorevoli e contrari alla tesi della contribuente.

In realtà, contrariamente a quanto lamentato dalla ricorrente, la CTR ha esaminato la questione circa la gravità dello scostamento, correttamente dando atto che secondo il diritto vivente tale requisito dello scostamento, pur non legislativamente quantificato, debba essere accertato dal giudicante, secondo un apprezzamento che non può che essere discrezionale e rapportato ai casi concreti. In coerenza con tale principio ha poi esaminato le caratteristiche del contestato scostamento, ritenendolo adeguatamente rappresentato dal divario percentuale dei ricavi denunciati rispetto a quelli puntuali dello studio e rispetto al minimo ammissibile, in assenza di prove dimostrative di eventuali cause giustificative dello scostamento. Quindi la motivazione in fatto è pienamente in linea con una corretta interpretazione delle norme che regolano l’efficacia delle elaborazioni ricostruttive mediante studi di settore, sicchè la pretesa, introdotta nell’ultima parte del motivo, di addebitare alla CTR la mancata considerazione delle specifiche circostanze giustificative dedotte dalla ricorrente (“non si può non tener conto di tali elementi di fatto” ecc.) oltre a confliggere con l’intangibilità dell’accertamento in fatto operato dal Giudice d’appello, tende a introdurre, sotto specie di motivo per violazione di norma di diritto, una censura di insufficienza motivazionale non dedotta che, a sua volta, sottende un’inammissibile rivalutazione del fatto.

L’infondatezza di tutti i motivi di ricorso ne comporta il rigetto, con la conseguente condanna della Società ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese di questa fase del giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la s.r.l. W. H. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che si liquidano in complessivi €.4.100,00, oltre spese prenotate a debito.