Corte di Cassazione ordinanza n. 16841 depositata il 7 agosto 2020
litisconsorzio necessario – rilevabilità d’ufficio – nullità della sentenza
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di processo verbale di constatazione del locale Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza, notificò alla S.n.c. P.C. di C.A. & C., in persona del legale rappresentante pro-tempore C.A., esercente attività di ristorante-pizzeria, e di quest’ultimo in proprio, avvisi di accertamento, con i quali, con metodo analitico – induttivo ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, accertò, con riferimento all’anno d’imposta 2005, nei confronti della società, ricavi complessivi per Euro 1.553.453,90, rispetto a quelli dichiarati in Euro 889.683,00, riprendendo a tassazione le maggiori imposte dovute ai fini IVA ed IRAP, nonché pro-quota, ai fini IRPEF, nei confronti del socio, oltre sanzioni ed interessi.
La società ed il C.A. in proprio impugnarono gli atti impositivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Lodi, che, riuniti i ricorsi, li respinse.
Detta sentenza fu appellata tanto dalla società quanto dal socio. La Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia, riuniti gli appelli, con sentenza n. 71/2/13, depositata il 16 maggio 2013, non notificata, li accolse entrambi, annullando gli avvisi di accertamento impugnati, sostanzialmente osservando che il mero scostamento in percentuale sui ricavi contabilizzati rispetto al ricavo puntuale dello studio di settore di riferimento non integrasse grave incongruenza così da non poter legittimare l’accertamento, a fronte di contabilità formalmente regolare, tenuto conto anche dell’ubicazione dell’esercizio commerciale in piccolo paese di provincia del lodigiano. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui la società ed il C.A. in proprio resistono con controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies, comma 3, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, e degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 115, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo corna, n. 3 e 4 cod. proc. civ., rilevando come la sentenza impugnata avesse sostanzialmente considerato l’accertamento come basato esclusivamente sullo studio di settore di riferimento, laddove gli atti impositivi, muovendo dagli stessi dati offerti dal contribuente in relazione a ciascun tipo di genere di merce somministrata agli avventori, avevano evidenziato una serie di elementi che, valutati dapprima singolarmente e quindi complessivamente, fornivano presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a fondare l’accertamento analitico- induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973, per le imposte dirette e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 ai fini IVA, così come qualificato dall’Ufficio, senza che a ciò fosse di ostacolo la tenuta di contabilità formalmente corretta.
2. Dette considerazioni sono state quindi riprese e sviluppate dall’Amministrazione finanziaria singolarmente in relazione a ciascuna delle norme assunte come violate dalla decisione impugnata nel secondo motivo, con il quale si è dedotta la violazione dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.;
con il terzo motivo, relativo alla denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e 54, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; ed ancora con il quarto motivo, per mezzo del quale l’Amministrazione ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 e 54, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deducendo l’Agenzia delle Entrate che, erroneamente avendo disconosciuto la sentenza impugnata la valenza presuntiva degli elementi addotti, al fine del rilievo in via induttiva dei maggiori ricavi ascritti all’attività di ristorazione svolta dalla società rispetto a quelli dichiarati, esposti in dettaglio con riferimento a ciascun tipologia di materie prime adoperate in detta attività ed al numero dei tovaglioli e dei coperti adoperati, la sentenza impugnata aveva violato la regola di riparto in dell’onere della prova, dovendo il contribuente addurre elementi idonei al superamento delle presunzioni semplici addotte dall’Ufficio a sostegno dell’accertamento in esame.
3. Infine, con il quinto motivo, l’Amministrazione ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di punti di fatto decisivi per il giudizio discussi tra le parti, e comunque omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quali le materie prime impiegate per ciascuna singola somministrazione e l’uso della quantità di farina, che l’Ufficio, diversamente da quanto contestato dalla contribuente, aveva dimostrato essere impiegata esclusivamente per la preparazione delle pizze, atteso che il pane e le focacce non erano prodotte in loco ma acquistate da terzi.
4. Preliminarmente all’esame dei motivi di ricorso, rileva la Corte che l’accertamento in esame ha riguardato società di persone di cui il sig. C.A., amministratore e legale rappresentante della società, risulta titolare del 99% del capitale sociale.
Detta circostanza, esposta dall’Amministrazione ricorrente (cfr. pag. 17 del ricorso), non è stata contestata dai controricorrenti.
Dagli atti risulta che il doppio grado del giudizio di merito si è svolto esclusivamente tra la società ed il C.A. e l’Agenzia delle Entrate, risultando dunque pretermesso l’altro socio che, in virtù del dato di cui sopra, deve essere titolare del residuo 1% del capitale sociale.
4.1. Facendo applicazione dei noti principi espressi in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SU 4 giugno 2008, n. 14815, cui è seguita consolidata giurisprudenza conforme, tra cui, ex multis, Cass. sez. 5, ord. 25 luglio 2012, n. 13073; Cass. sez. 6-5, ord. 18 ottobre 2012, n. 17925; Cass. sez. 6-5, ord. 25 giugno 2018, n. 16730), a ciò consegue il rilievo d’ufficio della nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio per difetto del litisconsorzio necessario originario tra società e soci, avendo chiarito le SU di questa Corte che:
«In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio».
4.2. Nel caso di specie l’impugnazione del C.A. anche in proprio verte esclusivamente sulla contestazione dei maggiori ricavi accertati induttivamente in capo alla società di cui è amministratore senza che sia stata prospettata alcuna questione personale.
4.3. Se ne deve trarre pertanto la conseguenza che il giudizio, che non ha visto partecipe né dinanzi alla CTP né quindi in appello dinanzi alla CTR l’altro socio titolare dell’i% del capitale sociale si è svolto a contraddittorio non integro, di modo che ne deve essere dichiarata d’ufficio la nullità, con conseguente rinvio della causa dinanzi alla CTP di Lodi, in diversa composizione, per la riassunzione anche nei confronti del socio pretermesso.
5. La CTP di Lodi provvederà altresì in ordine alla disciplina delle spese del giudizio, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio e rinvia alla Commissione tributaria i i provinciale di Lodi, in diversa composizione, anche per le spese.