Corte di Cassazione ordinanza n. 16986 depositata il 13 agosto 2020
processo tributario – revocazione
RILEVATO CHE
F.G. e G.G. ricorrono per la cassazione della sentenza ,della Commissione Regionale della Campania, n.376/52/16 emessa il 13 gennaio 2016 che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza n.340/50/13, della stessa CTR, che, riformando la sentenza n.482/21/11 del 06.06.2011 della CTP di Napoli, ha rigettato il ricorso dei due G. contro l’ avviso di accertamento dell’Agenzia del territorio per variazione del classamento di un loro immobile sito in Massa Lubrense. In particolare la sentenza della CTR ha evidenziato che l’art. 65 del D.Lgs. n. 546 del 1992 richiede , a pena di inammissibilità, che nel ricorso per revocazione vi sia ” la specifica indicazione del motivo di revocazione”, mentre il ricorso per riassunzione non era stato proposto per una delle ipotesi tassative di cui all’art. 395 cod.proc.civ. Le parti , infatti, lamentavano di non aver avuto conoscenza della pendenza del giudizio di appello a causa di un vizio di notifica dell’atto di appello e la mancata costituzione di un regolare contraddittorio .
CONSIDERATO CHE
I ricorrenti articolano un solo motivo di impugnazione: la violazione dell’art. 360, comma 1 n.3 cod. proc. civ. per violazione di legge in relazione agli artt. n. 395 e 398 cod. proc. civ., con particolare riferimento all’art. 395, n. 1 e art. 395, n. 4 cod. proc. civ.. Lamentano i ricorrenti che il giudice avrebbe dovuto trarre dai fatti, puntualmente esposti , quali la mancata notifica dell’appello con conseguente assenza del contraddittorio e l’errore nell’attribuzione della rendita catastale, gli elementi del conseguente giudizio entrando nel merito della diatriba.
L’Agenzia si è costituita con controricorso.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente non ha prospettato alcuna delle ipotesi tassative di cui all’art.395 cod. proc. civ. che consentono di postulare la revocazione della sentenza perché la mancata notifica dell’atto di appello dell’Ufficio e la conseguente assenza del contraddittorio, di per sé, costituiscono violazione di un diritto e, pertanto, causa di annullamento della sentenza, da dedurre con l’appello. Per altro verso è già stato chiarito che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nella falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali ( cass. n.26890 del 2019). Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronunzia sarebbe stata diversa. Nulla di tutto ciò è stato dedotto dai ricorrenti che si sono limitati a dolersi del fatto che la CTR abbia riconosciuto legittima, all’esito della sentenza di appello, l’attribuzione, all’immobile in questione, della classificazione in categoria D/1 ma il motivo è stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione mentre avrebbe dovuto formare oggetto di specifico motivo dell’impugnazione avanti alla CTR.
Quanto, poi, alla qualificazione del fatto revocatorio ed al potere di inquadramento che spetta al giudice della revocazione è consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice della revocazione può, nell’ambito dei poteri di cui all’art.112 cod. proc. civ., in sede di interpretazione della domanda, riportare l’inquadramento preciso del fatto revocatorio sotto una delle previsioni dell’art. 395 stesso codice anche in difformità dell’indicazione datane dal richiedente, purché non si tratti di fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall’istante.
La censura in tal senso mossa dai ricorrenti, tuttavia, non ha fondamento perché “il fatto” dedotto in ricorso non è stato per nulla individuato secondo i parametri su richiamati , cosa che ha determinato la decisione di inammissibilità della CTR. Il ricorso, per i motivi che precedono, deve essere rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese che si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese che si liquidano in C 6.000,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.