Corte di Cassazione ordinanza n. 16991 depositata il 13 agosto 2020
notifica – TARSU – rappresentanza a stare in giudizio dei dirigenti
Ritenuto che
-con ricorso innanzi alla CTP di Lecce la soc. “L.G.F. srl” (concessionaria di uno stabilimento balneare in Gallipoli composto da cabine, case vacanze estive e servizi annessi) proponeva impugnazione avverso la cartella di pagamento TARSU, contro l’Agente di riscossione, Equitalia Sud S.p.a., per l’importo dì Euro 27.463,00, per l’anno di imposta 2008.
La C.T.P. di Lecce, con sentenza n. 96/4/12, accoglieva il ricorso. Ad avviso dei primi giudici, le ragioni della ricorrente, che aveva affermato di essere stata autorizzata (in virtù di permessi stagionali rilasciati dal Comune di Gallipoli) ad esercitare l’attività limitatamente al periodo ricompreso tra giugno e settembre, erano fondate, per cui erano applicabili le decurtazioni tariffarie (soprattutto in ragione del carattere stagionale dell’attività esercitata) e congrui gli importi precedentemente versati dal contribuente e percepiti dal Comune di Gallipoli.
La sentenza veniva impugnata dal Comune di Gallipoli che affermava che la CTP di Lecce di non aveva tenuto in debita considerazione il verbale redatto presso l’Ufficio Tributi del Comune, dal quale si evinceva come il criterio della stagionalità delle attività era divenuto inapplicabile in seguito alla modifica del Regolamento avvenuta con delibera Commissariale n. 96 del 20/03/2002, mentre la riduzione del 50% prevista per le aree scoperte era applicabile esclusivamente alle aree operative (tra le quali potevano rientrare ad esempio aree di manovra, di carico e scarico o semplicemente adiacenti a supermercati ed autofficine). Controdeduceva la Società SAS L.G.F. che preliminarmente eccepiva l’inammissibilità dell’appello presentato dall’Ufficio in quanto lo stesso non era stato sottoscritto dal Sindaco, ovvero l’unico organo che ai sensi dell’art. 107, c. 2 del D.Lgs. n. 267/2000 risultava essere titolare della rappresentanza processuale. Nel merito, contestava la carenza di specifici motivi d’impugnazione, ribadendo quindi le deduzioni esposte con il ricorso introduttivo.
La CTR Puglia accoglieva l’appello del Comune di Gallipoli. Proponeva ricorso per cassazione, “San Giovanni – Francesco Ravenna srl” sulla base di tre motivi e deposita memorie La sola Equitalia Servizi di Riscossione si costituiva con controricorso.
Considerato che:
-con il proposto ricorso si deduce:
1. Violazione e falsa applicazione artt. 182 co. 2, 125 e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione art. 342 e 329 c.p.c. nonché artt. 53 e 18 D.Lgs. 31/12/92 n. 546 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Nullità della sentenza e del procedimento per violazione art. 324 c.p.c., 2932 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all°art. 360 n. 4 c.p.c.
2.Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Violazione e falsa applicazione artt. 156 e 160 c.p.c., art. 60 D.P.R. 600/73, nonché violazione art. 3 L. 241/90 e art. 7 L. 212/2000 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Violazione art. 66 D.Igs. 15/11/93 n. 507 co. 3 lett. C in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Omessa valutazione di prove documentali e fatti decisivi, per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. . Violazione art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. . Violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. n. 360 n. 3 c.p.c.
Con il primo motivo il ricorrente eccepiva che la Commissione Tributaria Regionale, a seguito dell’eccezione di inammissibilità aveva assegnato d’ufficio 30 giorni per note illustrative sull’eccezione e, al solo Comune appellante, per il rilascio della procura alle liti. Infatti l’art. 182 comma 2 c.p.c. riguardava la fase del giudizio di primo grado e non, come avvenuto, l’ assenza di procura in fase di appello. Il rilascio postumo di una procura da parte del Sindaco di Gallipoli, non era sufficiente a legittimare la proposta impugnazione.
Né poteva ritenersi idoneo il conferimento dell’incarico da parte del Dirigente Adriano Migali per l’insussistenza di norme derogatorie nello statuto comunale suscettibili di legittimare i dirigenti a conferire procura alle liti. Inoltre le censure mosse nei motivi di appello erano generiche senza alcun riferimento alla specificità della situazione del Lido San Giovanni, autorizzato ad un esercizio limitato nel tempo (da giugno a ottobre).
Il motivo non può trovare accoglimento.
Come già chiarito da questa Corte, nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa del Comune o in ordine all’intero contenzioso, al dirigente dell’ufficio legale, questi, quando ne abbia i requisiti. Costui, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l’incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l’ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale), e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione.” (Cass. S.U. n. 12868/2005; Cass. n. 4556/2012; Cass. n. 7402/2014). Da ultimo Cass. 27579/18.
Peraltro, più specificamente, e con riferimento al termine assegnato per il rilascio della procura alle liti, questa Corte ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 182 comma 2 c.p.c., secondo cui, quando il giudice rileva «un difetto di rappresentanza, di assistenza, di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore», deve assegnare «un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa», deve tendenzialmente ritenersi applicabile anche al giudizio di appello, giusta il disposto dell’art. 359 c.p.c. (Cass. n. 19663 del 2016).
Ora, sempre secondo la S.C., indipendentemente dall’ulteriore questione concernente la possibilità che, a seguito della rilevazione del difetto di rappresentanza o assistenza o del vizio di nullità, la regolarizzazione debba avvenire entro l’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. o il giudice possa concedere un termine perentorio per provvedervi, deve anche rilevarsi come l’orientamento qui espresso appare conforme al “più generale dovere di positiva collaborazione fra i soggetti del processo, in un’ottica antiformalistica della casistica di cui la giurisprudenza di legittimità, come recentemente ricordato da Cass. S. U. n. 26338 del 2017, si è fatta interprete in tema di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi, ispirandosi all’art. 6, § 1, CEDU, che tutela il «diritto a un tribunale». (Cass. n. 6041/2018 cit.)
Con il secondo motivo si deduce il tema della inesistenza della notifica della cartella e del difetto di motivazione della stessa.
Il secondo motivo non è fondato. Sul punto va ribadito che, in tema di notifica a mezzo posta, la giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi in più occasioni precisando che “gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente.
Ne consegue che, quando il predetto ufficio si sia avvalso ditale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n 890 del 1992 cfr. Cass. n. 17598/2010; Cass. n. 9111/2012; Cass. n. 14146/2014; Cass. n. 19771/2013; Cass. n. 16949/2014 con specifico riferimento a cartella notifica a mezzo portiere dal concessionario. Tale conclusione trova conforto nel chiaro tenore testuale della L. n. 890 del 1982, art. 14, come modificato dalla L. n. 146 del 1998, art. 20, dal quale risulta che la notifica degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari. La circostanza che tale disposizione faccia salve le modalità di notifica di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e delle singole leggi d’imposta non elide la possibilità riconosciuta agli uffici finanziari – e per quel che qui interesse alla società concessionaria – di utilizzare le forme semplificate a mezzo del servizio postale – con specifico riferimento all’inoltro di raccomandata consegnata al portiere v. D. M. 9 aprile 2001, art. 39 (cfr. Cass.n. 27319/2014) – senza il rispetto della disciplina in tema di notifiche a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente anche agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica al portiere la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014)” (Cass. ord. n. 3254/16)» (cfr. Cass.n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).” (Cass.28872/18).
Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nella impossibilità senza sua colpa di prenderne cognizione. (Cass. n.14501/2016).
Per quanto attiene alla censura per difetto di motivazione, la stessa è inammissibile per difetto, nel motivo di ricorso, del requisito dell’autosufficienza. Sul punto questa Corte ha avuto in più occasioni modo di affermare che in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C., ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, in quanto occorre che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’ “iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti. (Cass. 23834/19; Cass. 16147/2017). E’, quindi, come visto, necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo. (Cass. 8312/2013)-. Tutto ciò, nel caso in esame, non è avvenuto.
Per quanto attiene al terzo motivo, il ricorrente ha eccepito che il giudice di appello aveva omesso di considerare la stagionalità dell’attività esercitata ed il fatto che fosse mancata adeguata valutazione in ordine alla presenza di licenze amministrative (in cui era ribadita la validità della licenza fino al 31.10.2008) , che, se idoneamente valutate, avrebbero condotto ad un diverso esito della lite.
Il motivo non è fondato.
Come rilevato da questa Corte “In tema di raccolta di rifiuti solidi urbani – il D.Lgs. n. 507 del 1993 contempla, all’art. 66 dei temperamenti dell’imposizione per le situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, come nel caso dell’uso stagionale, previsto dalla lett. b) del co. 3 di tale disposizione. La tassa in questione è dovuta – in forza del disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1 – per effetto dell’occupazione o della detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, fatta eccezione: a) per le aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni; b) per i locali e le aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti.
Siffatte esclusioni non sono, peraltro automatiche, giacché la norma succitata – ponendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area – dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione (Cass. 19459/03, 19173/04)”. Cass.33426/18.
Ed inoltre, “la mancata utilizzazione della struttura alberghiera in questione per alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2. La norma citata, come dianzi detto – indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che – di certo – non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 .(Cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09).” Cass. 24188/2016
Il ricorso va, pertanto, respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00in favore di Equitalia, oltre accessori di legge. Nulla per il Comune di Gallipoli.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater DPR. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della contribuente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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