Corte di Cassazione ordinanza n. 17030 depositata il 13 agosto 2020

processo tributario – cartella di pagamento

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 5/29/2013 la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha rigettato l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 220/1/2007 che, in accoglimento del ricorso presentato dalla E.V. Sas di M.V. & c in liquidazione, in persona del liquidatore, aveva annullato la cartella di pagamento, notificata in data 19.6.2006 per l’importo complessivo di euro 1.630.648,96, emessa da SERIT Sicilia Spa, contenente la iscrizione a ruolo dell’intero ammontare risultante dall’atto impositivo a seguito della sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento n. 316/1/2004, depositata in data 17.1.2005, che aveva respinto il ricorso della società contribuente avverso l’avviso di rettifica emesso dall’Ufficio IVA di Agrigento.

La società E.V. aveva dedotto che la cartella era illegittima poiché la iscrizione a ruolo dell’intero importo dell’atto impositivo era stata eseguita il 17.2.2006, quando la sentenza di primo grado non era ancora divenuta definitiva, mentre la Agenzia delle Entrate aveva opposto, sia costituendosi nel primo grado che in sede di appello, che comunque la sentenza che legittimava la iscrizione a ruolo era stata depositata e non appellata ed era divenuta definitiva prima della notifica della cartella, pur se dopo la data di esecutività del ruolo, il che legittimava la iscrizione a ruolo dell’intero tributo dovuto a titolo definitivo.

La Commissione Tributaria Regionale ha invece ritenuto che, non essendo divenuta definitiva, alla data di iscrizione a ruolo, la sentenza che aveva respinto il ricorso contro l’atto impositivo, sussisteva solo il presupposto per la iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, mentre non poteva essere emesso il ruolo definitivo; per cui correttamente il primo giudice aveva annullato interamente il ruolo e la consequenziale cartella, poiché avrebbe deciso “ultra petita” se avesse ritenuto la parziale legittimità del ruolo per la parte che poteva essere iscritta a titolo provvisorio dopo la sentenza di primo grado non definitiva.

Contro la sentenza di appello, depositata in data 10.1.2013, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato alla E.V. sas con atto spedito il 24 febbraio e ricevuto il 26 febbraio 2014, affidato a cinque motivi. L’intimata non si è costituita nel presente giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate lamenta nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 e 118 dispos. att. cpc, nonché dell’art. 36, comma 2 n. 4, del D. Lgs. n. 546 del 1992, stante la violazione dell’obbligo di esporre i motivi in fatto ed in diritto della decisione ed in particolare delle norme in base alle quali l’iscrizione a ruolo in via definitiva, piuttosto che provvisoria, doveva esser ritenuta nulla e dei passaggi logici e giuridici attraverso i quali era giunta a ritenere che l’erroneità del titolo dell’imposta inficiava l’intero atto determinandone la nullità.

2. In via subordinata deduce, con il secondo motivo, violazione dell’art. 68 del D. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc, poiché la norma non prevedeva alcuna nullità dell’atto impositivo in caso di iscrizione a ruolo dell’intera somma piuttosto che di quella frazionata, considerato che all’esito definitivo del processo doveva essere attuato il sistema dei rimborsi e peraltro al momento della notifica della cartella la sentenza era già definitiva.

3. Con il terzo e con il quarto motivo si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dei principi generali in tema di contenzioso tributario, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc, nonché di difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione ad un punto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, poiché, essendo il giudice tributario anche giudice del rapporto, avrebbe dovuto esaminare il merito del rapporto e verificare il fondamento sostanziale della pretesa tributaria, indicando le ragioni per cui aveva proceduto all’integrale annullamento del ruolo e della cartella e non soltanto del residuo terzo eccedente la parte iscrivibile a ruolo.

4. Infine, con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 295 cpc, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cpc, poiché la Commissione Tributaria Regionale, se convinta che la legittimità della iscrizione a ruolo era condizionata dalla definitività della sentenza di primo grado, avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa del passaggio in giudicato della sentenza relativa all’atto impositivo presupposto.

5. Il ricorso è infondato.

6. Quanto al primo motivo, è consolidato l’orientamento di questa Corte per cui “In tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo” (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28113 del 16/12/2013 Rv. 629873 — 01; Sez. 5, Sentenza n. 13148 del 11/06/2014 Rv. 631539 — 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15884 del 26/06/2017 Rv. 644726 – 01 Sez. 5 -, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018 Rv. 650527 – 01). Nella specie, peraltro, dalla sentenza impugnata risultano i motivi di appello proposti dall’appellante ed anche le difese svolte dall’appellata, nonché l’esame delle tesi avverse da parte del giudice dell’appello, il quale, sia pure sinteticamente, ha dato risposta alle contrapposte tesi, ritenendo che la assenza di definitività della sentenza che aveva rigettato il ricorso contro l’atto impositivo non consentisse la iscrizione a ruolo dell’intero mediante ruolo definitivo, come era avvenuto, il che determinava non solo la illegittimità del ruolo e della cartella ma anche la impossibilità di ritenere la legittimità parziale dello stesso e perciò di ridurre il ruolo. Non si può quindi ritenere che sia mancata la esposizione dei motivi in fatto ed in diritto della decisione, ciò non derivando neppure dalla mancata indicazione della diposizione legislativa applicata, poiché la sentenza contiene comunque la indicazione dei princìpi giuridici con riguardo ai presupposti per la iscrizione a ruolo frazionata e definitiva ed alla violazione del divieto di decidere “ultra petita”.

7. Il secondo motivo, dedotto sotto il profilo della violazione di legge per erronea interpretazione dell’art. 68 del D. Lgs. n. 546 del 1992, è inammissibile poiché non coglie e non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata, esplicitata dal primo giudice che ha ritenuto che nella specie, non essendo divenuta definitiva la sentenza alla data di emissione del ruolo, non potesse essere emesso il ruolo definitivo bensì solo quello provvisorio, il che escludeva nel caso in esame il presupposto della iscrizione a ruolo così come operata dalla Agenzia delle Entrate (v. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 8755 del 10/04/2018 (Rv. 648883 – 01) R.G.N. 5365/2014 Agenzia delle Entrate c. E.V. Sas di M.V. 8t c. in liquidazione

7.1. Tale aspetto non è minimamente censurato dal motivo di ricorso con cui la Agenzia insiste solo sulla irrilevanza — anzi indifferenza – della iscrizione a ruolo della intera somma, in luogo della frazione dei due terzi che sarebbe stata consentita a norma dell’art. 68 del D. Lgs. n. 546 del 1992 dopo la sentenza di primo grado favorevole all’Ufficio, alla luce del sistema dei successivi rimborsi che avrebbe reso irrilevante il titolo della iscrizione e non aggredisce la ragione effettiva della declaratoria e cioè la erroneità del titolo di iscrizione a ruolo, che non viene contestato in quanto tale e che — in base alla iscrizione a ruolo definitiva operata dall’Ufficio — avrebbe trovato fondamento non già nell’art. 68 del DPR n. 546 del 1992, che riguarda esclusivamente i casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni tributarie, bensì nella sentenza passata in giudicato, con riguardo alla quale può essere intrapresa la riscossione in relazione ad un titolo che non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza definitiva.

8. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra di loro collegati, poggiano sulla medesima impostazione, per cui la sentenza impugnata avrebbe dovuto esaminare il merito del rapporto indipendentemente dal titolo su cui era basata la iscrizione a ruolo e devono pertanto essere ritenuti assorbiti.

9. Infine, quanto al quinto motivo, questa Corte si è già pronunciata nel senso che il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento emessa ex art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 non può essere sospeso ai sensi dell’ari 295 c.p.c. in attesa che si concluda il procedimento riguardante l’impugnazione della sentenza in base alla quale è stata emessa la cartella, non sussistendo alcun rapporto di pregiudizialità atteso che la pretesa erariale azionata con la cartella è fondata su una sentenza e, quindi, su un titolo diverso rispetto all’avviso di accertamento la cui legittimità è ancora “sub judice”, poichè, altrimenti, la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza in questione sarebbe surrettiziamente surrogata con la sospensione del giudizio di impugnazione della cartella di pagamento (v. da ultimo, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28595 del 29/11/2017 Rv. 646516— 01).

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non si deve provvedere alle spese del presente giudizio poiché l’intimata non si è costituita. Non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1.17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, con il quale è stato modificato l’art. 13 DPr 30 maggio 2002, n. 115, mediante l’inserimento del comma 1-quater, poiché tale disposizione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 -01).

P.Q.M.

La Corte: Rigetta il ricorso.