Corte di Cassazione ordinanza n. 17035 depositata il 13 agosto 2020
imposta di registro – atti giudiziari
RITENUTO CHE:
A.I. S.n.c. di G.C. & C. impugnava l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni n. 2009003SC14430001 con il quale l’Agenzia delle entrate liquidava l’imposta di registro proporzionale, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (1% del valore della controversia) pari ad euro 26.880,00, oltre l’imposta catastale ed ipotecaria, in relazione alla sentenza n.14430/2009 del Tribunale di Roma, che aveva riconosciuto alla contribuente il diritto di riscatto con riferimento alla vendita di un immobile che la società deteneva in locazione e che il proprietario aveva venduto ad altro acquirente, in violazione dell’art. 38 della l. n. 392 del 1978. La società riteneva di non essere tenuta al pagamento dell’imposta in quanto il trasferimento della proprietà dell’immobile, così come stabilito in sentenza, era condizionato al versamento della somma dovuta, da effettuarsi, da parte della società acquirente, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della decisione stessa, la quale era invece stata impugnata dagli altri convenuti e, quindi, non ancora passata in giudicato. La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 260/36/12, rigettava il ricorso. La contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con sentenza n. 41/29/14, accoglieva il gravame, ritenendo che nel caso specifico pendeva impugnazione e, pertanto, non erano prevedibili gli sviluppi futuri del merito della controversia, sicchè l’Ufficio avrebbe creato un grave danno economico assoggettando a tassazione un trasferimento di immobile ancora non avvenuto e molto incerto per il futuro. L’Ufficio ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo due motivi. A.I. S.r.l. si è costituita con controricorso, illustrato con memorie.
CONSIDERATO CHE:
1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., atteso che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe del tutto omesso di rilevare l’inammissibilità della domanda, proposta dal contribuente per la prima volta in appello, di applicabilità, ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 131 del 1986, dell’imposta di registro in misura fissa, piuttosto che proporzionale, mai proposta nella fase di primo grado. Nel ricorso introduttivo la contribuente si era limitata a chiedere che il pagamento dell’imposta fosse procrastinato al verificarsi della condizione, ma non aveva mai posto in discussione la misura, fissa o proporzionale, della stessa imposta.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nonché degli artt. 27 e 37, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che il versamento del prezzo sarebbe assimilabile ad una condizione meramente potestativa, come tale ininfluente ai fini fiscali, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 131 del 1987.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
L’Ufficio ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riportato in ricorso il contenuto del ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente e dell’atto di appello, sicchè è agevole rilevare la novità della denuncia di applicabilità, ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 131 del 1986, dell’imposta di registro in misura fissa, piuttosto che proporzionale. Tale deduzione difensiva costituisce argomento nuovo, che determina un inammissibile ampliamento del thema decidendum.
Il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’atto impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento, in cui l’oggetto del dibattito è circoscritto alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed entro i limiti delle contestazioni sollevate dal contribuente. Ne consegue la modifica della causa petendi quando i nuovi elementi dedotti dinanzi al giudice di secondo grado comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, ponendo in essere una pretesa diversa da quella avanzata dal contribuente con il ricorso introduttivo, e sulla quale non si è svolto nel giudizio di primo grado il contraddittorio (Cass. n. 2201 del 2012; Cass.n. 10779 del 2007; Cass. n. 9618 del 2019).
I giudici di appello, pertanto, non hanno fatto buon governo dei principi espressi, condividendo le deduzioni difensive della contribuente, la quale in appello aveva inammissibilmente richiesto l’assoggettamento ad imposta di registro a tassa fissa della sentenza del Tribunale di Roma.
4. Il secondo motivo è fondato.
a) L’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce che sono soggetti ad imposta: “Gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere”. Nell’ambito degli atti giudiziari in materia di controversie civili, l’imposta di registro si applica ai soli provvedimenti “che definiscono anche parzialmente il giudizio”, cioè a quegli atti di contenuto decisorio rispetto ad una vicenda litigiosa, seppure “al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili” (art. 37, comma 1, T.U.R. e art. 8 TP1).
La decisione del giudice può peraltro essere anche solo parziale, risolvendo alcune delle questioni dedotte e rinviando all’esito del giudizio la definizione delle altre: ciò che importa è che su una determinata questione l’autorità giudiziaria si sia pronunciata in maniera definitiva, consumando il proprio potere giurisdizionale sul punto ed emettendo una decisione che potrà eventualmente essere rimossa soltanto a seguito di impugnazione dinanzi al giudice di grado superiore.
Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha ritenuto che l’imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria sia dovuta e liquidata sulla sentenza di primo grado, in quanto, ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 77, la riforma totale o parziale (nel successivo corso del giudizio e fino alla formazione del giudicato) del provvedimento tassato non si riflette sul relativo avviso di liquidazione, ma fa sorgere un autonomo diritto del contribuente al conguaglio o al rimborso, che peraltro deve essere azionato nei modi e nei tempi previsti dall’art. 77 citato (Cass. n. 12757 del 2006).
b)La registrazione deve essere effettuata a prescindere dal fatto che i provvedimenti giudiziali siano, o meno, “definitivi”, pertanto, la tassazione riscossa, in caso di provvedimento non definitivo, è una tassazione provvisoria; il completamento del procedimento di tassazione, con un conguaglio a favore dell’erario o con un rimborso a favore del contribuente, si ha pertanto con l’intervento della “successiva sentenza passata in giudicato” ( art. 37, comma 1, T.U.R.).
Ne consegue che proprio al fine di evitare la moltiplicazione della tassazione di un’unica manifestazione di capacità contributiva, la legge esprime il concetto della “unicità della tassazione”, in base al quale soggetta a registrazione è la sentenza pronunciata in ogni grado di giudizio, ma salvo conguaglio o rimborso in occasione della sentenza del grado di giudizio successivo passata in giudicato.
Infatti, solo a seguito della intervenuta definitività del procedimento giurisdizionale, si può dare seguito a “conguagli” o a “rimborsi” (Cass. n. 5474 del 2008).
Il rimborso deve essere richiesto all’ufficio che ha riscosso l’imposta (art. 37, comma 2, T.U.R.) da parte dell’avente diritto, che, pertanto, dà origine, con apposita istanza, ad un autonomo procedimento (entro tre anni dal pagamento oppure dal successivo giorno nel quale è sorto il diritto alla restituzione: art. 77 T.U.R.), senza che il sorgere del diritto al rimborso si rifletta sull’avviso di liquidazione emesso in conseguenza della sentenza da tassare.
Questa Corte ha, infatti, precisato che: “la riforma totale o parziale nei successivi gradi di giudizio ( e fino alla formazione del giudicato) della sentenza tassata non si riflette sull’avviso di liquidazione relativo a detta sentenza, ma fa sorgere un (autonomo) diritto del contribuente al conguaglio o al rimborso. Tale diritto non può essere fatto valere nel giudizio eventualmente insorto a seguito del ricorso avverso l’avviso di liquidazione, ma deve essere azionato nelle forme ed entro i termini di decadenza di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede la presentazione di un’appositva domanda di rimborso all’ufficio che ha eseguito la registrazione“(Cass. n. 6952 del 1996; Cass. n. 12551 del 2001; Cass. n. 12757 del 2006; Cass. n. 21311 del 2008 ; Cass. n. 23468 del 2007).
c) I giudici di appello non hanno fatto corretta applicazione dei principi espressi, argomentando l’illegittimità dell’atto impositivo sulla base del rilievo che la sentenza del tribunale, oggetto di registrazione, era stata impugnata, sicchè non erano prevedibili gli esiti futuri della vicenda precessuale. Né è corretto quanto dedotto dalla Commissione Tributaria Regionale che (in disparte l’inammissibilità della domanda), richiamando gli arti. 27 e 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, conclude per l’assoggettamento della sentenza del tribunale di Roma ad imposta di registro in misura fissa, ritenendo che l’assoggettamento all’imposta proporzionale sia differito al momento del verificarsi della condizione dell’effettivo pagamento del prezzo, da cui sarebbe conseguito l’effetto traslativo del bene.
A tale riguardo, questa Corte, in fattispecie assimilabile a quella in esame, con indirizzo condiviso ha chiarito che : “In materia di imposta di registro, la sentenza ex art. 2932 c. c., che abbia disposto il trasferimento di un immobile in favore del promissario acquirente, subordinatamente al pagamento del corrispettivo pattuito, è soggetta ad imposta proporzionale e non in misura fissa, anche se ancora impugnabile, trovando applicazione l’art. 27 del d.P.R. n. 131 del 1986, alla stregua del quale non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva gli atti i cui effetti dipendano, in virtù di condizione meramente potestativa, dalla mera volontà dell’acquirente, ovvero, nella specie, dall’iniziativa unilaterale del promittente acquirente” (Cass. n. 30778 del 2019; Cass. n. 27902 del 2018; Cass.n. 14470 del 2018; Cass. n. 18006 del 2016).
5. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, mentre la parte soccombente è tenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 4000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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