Corte di Cassazione ordinanza n. 17226 depositata il 18 agosto 2020
ricognizione di debito – esposizione sommaria – trattamento di miglior favore
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente accolto l’appello di T.M. e, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato integralmente la domanda da quest’ultima proposta con ricorso monitorio nei confronti dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso Tribunale e ha condannato l’Azienda appellata al pagamento della somma di € 5.518,79, anziché del maggiore importo di € 39.570,64, a titolo di differenze per retribuzione di risultato che l’appellante, dirigente medico preposto alla direzione di struttura complessa, aveva richiesto per il periodo 2004/2007;
2. la Corte territoriale ha rilevato che il Tribunale aveva errato nel ritenere che i crediti fossero in parte prescritti e che comunque la resistente avesse determinato correttamente il trattamento accessorio, secondo le disposizioni collettive applicabili ed entro i limiti delle risorse disponibili;
3. il giudice d’appello ha evidenziato che l’Azienda con nota del 2 luglio 2010 aveva riconosciuto il debito, in relazione al quale il dirigente medico aveva poi agito in giudizio, ed ha sottolineato anche che la convenuta non aveva dimostrato, come era suo onere, l’asserita incapienza del fondo per il pagamento della retribuzione di risultato;
4. la Corte territoriale, peraltro, ha ritenuto che il credito fosse inferiore a quello rivendicato in quanto, in epoca successiva alla sottoscrizione del contratto individuale che aveva quantificato la retribuzione di risultato nel 20% degli emolumenti complessivamente spettanti, era intervenuto il C.C.N.L. per la dirigenza medica del servizio sanitario nazionale valido per il quadriennio 2000/2005 che, da un lato, aveva elevato lo stipendio tabellare, dall’altro aveva previsto che l’aumento avrebbe comportato il riassorbinnento della voce del trattamento accessorio nella misura di € 1.245,24 mensili;
5. l’appellante nel periodo di interesse aveva percepito lo stipendio tabellare conglobato ed anche i relativi arretrati e, pertanto, non poteva pretendere differenze sulla retribuzione di risultato per le annualità in relazione alle quali le stesse risultavano inferiori ad C 14.942,88, ossia al riassorbimento annuale;
6. solo per gli anni 2006 e 2007 dal conteggio emergeva che le somme dovute superavano l’importo da conglobare e, quindi, la condanna doveva essere limitata al minor importo di € 5.518,79, da maggiorare dei soli interessi legali;
7. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.M. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia «nullità del capo della sentenza concernente la quantificazione del credito azionato per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché del principio del contraddittorio di cui all’art. 112 c.p.c.» e assume, in sintesi, che l’Azienda con l’atto di opposizione si era limitata ad eccepire genericamente la «erroneità delle somme pretese ed ingiunte» ed aveva reiterato in appello la medesima generica eccezione, sicché la Corte territoriale non poteva, d’ufficio ed in violazione dei principi richiamati in rubrica, detrarre dalle somme indicate nella ricognizione di debito l’importo annuale di € 14.942,88;
2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 416 cod. proc. civ. perché il giudice d’appello avrebbe dovuto rilevare l’assoluta genericità della contestazione formulata dall’opponente in relazione al quantum della pretesa;
3. con il terzo motivo la ricorrente si duole, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., della violazione dell’art. 1988 cod. civ. nonché dell’insufficiente e contraddittorio esame di un punto controverso e decisivo, rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., e sostiene che in presenza di un atto di riconoscimento di debito non poteva la Corte territoriale, sulla base di una motivazione insufficiente e contraddittoria quanto all’efficacia di detto atto, ridurre la somma in assenza di prova, che doveva essere fornita dall’Azienda, circa l’insussistenza del rapporto fondamentale;
4. infine la quarta censura, formulata ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia « erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 41 del CCNL dell’Area della Dirigenza Medica e Veterinaria del servizio sanitario nazionale – parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica 2002/2003, nonché violazione dell’art. 1362 c.c.» perché il conglobamento, come riconosciuto dalla stessa Azienda nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, era stato quantificato dalle parti collettive in € 1.245,24 annui e non mensili e pertanto non poteva la Corte territoriale, a fronte del chiaro tenore letterale dell’art. 41 ed in violazione del canone ermeneutico indicato dall’art. 1362 cod. civ., detrarre dalle somme pretese per le diverse annualità l’importo annuo di € 14.942,88 ;
5. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché non è invocabile il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’esposizione sommaria richiesta dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. non può consistere nell’integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito, in quanto tale modalità equivale, nella sostanza, ad un mero rinvio agli atti di causa e viola, di conseguenza, il principio di specificità del ricorso;
5.1. la ricorrente, infatti, non si è avvalsa della tecnica del cosiddetto assemblaggio bensì, al fine di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per comprendere le ragioni delle censure, ha ricostruito la vicenda processuale, dando conto delle posizioni assunte dalle parti nei diversi gradi del giudizio di merito e sintetizzando il contenuto degli atti processuali rilevanti, ed ha riportato, quale parte integrante del ricorso, un unico documento, ossia il conteggio analitico allegato alla missiva del 17 giugno 2010, sul quale è fondata la terza censura;
6. i primi due motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico- giuridica, vanno rigettati per plurime ragioni concorrenti;
6.1. dalla stessa trascrizione, riportata nel ricorso, dell’atto di opposizione e della memoria difensiva in grado di appello si evince che la ASL aveva espressamente contestato il quantum della pretesa, facendo leva, oltre che sull’incapienza dell’apposito fondo, anche sull’avvenuto conglobamento di una parte della retribuzione di risultato nello stipendio tabellare corrisposto, ossia sull’argomento che, poi, la Corte territoriale ha utilizzato per ridurre, rispetto a quella richiesta in via monitoria, la somma ritenuta spettante alla T.M.;
6.2. a detta ragione, già assorbente, si deve aggiungere che la prospettazione dell’infondatezza, totale o parziale, della domanda in relazione alla contrattazione collettiva applicabile al rapporto non costituisce un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, in quanto attiene al fatto costitutivo della pretesa azionata, sicché rispetto ad essa vale il principio secondo cui il giudice, senza incorrere nella violazione dell’art.112 cod. proc. civ., può accogliere o respingere la domanda stessa anche per una ragione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti;
6.3. non vale sostenere che nella specie la ricorrente aveva agito in giudizio ponendo a fondamento dell’azione il solo atto di ricognizione del debito, formato dal datore di lavoro e allegato alla nota del 17 giugno 2010, perché nell’impiego pubblico contrattualizzato, qualora il datore di lavoro attribuisca al lavoratore un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza, da un lato, che la Pubblica Amministrazione, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è obbligata a ripristinare la legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 13479/2018; Cass. n. 25018/2017, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 3826/2016), dall’altro che il giudice è tenuto a rilevare anche d’ufficio la nullità stessa, qualora l’impegno assunto si ponga in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva;
6.4. non è applicabile, infatti, al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche il principio in forza del quale il datore di lavoro può riconoscere, quale trattamento di miglior favore, emolumenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, posto che l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, riserva, appunto, a quest’ultima l’attribuzione di trattamenti economici, con la conseguenza che l’autonomia contrattuale delle parti deve essere esercitata nei limiti previsti dalla contrattazione nazionale nonché da quella integrativa, a sua volta condizionata dai vincoli posti dalla prima;
7. il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui, esorbitando dai limiti fissati dal riformulato art. 360 n. 5 cod. proc. civ., denuncia l’insufficiente e contraddittorio esame di un punto controverso e decisivo per il giudizio ( si rimanda a Cass. S.U. n.34476/2019 che richiama Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018 e Cass. S.U. n. 33679/2018) ed è infondato per il resto;
7.1. questa Corte ha già affermato ed il principio deve essere qui ribadito, che la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 cod. civ. un’astrazione meramente processuale della causa debendi, da cui deriva una semplice relevatio ab onere probandi che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento ( Cass. n. 20689/2016);
7.2. ne discende che, sulla base di quanto evidenziato nei punti che precedono, pur a fronte di un atto di ricognizione di debito proveniente dal datore di lavoro pubblico, il giudice ha il potere/dovere di verificare se all’adempimento dell’obbligazione assunta il datore sia tenuto in relazione a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva;
8. merita, invece, accoglimento la quarta censura;
8.1. l’art. 41 del CCNL 3.11.2005 per la dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, dopo aver previsto, al comma 1, che « a decorrere dal 31 dicembre 2003 lo stipendio tabellare annuo lordo, comprensivo della 13^ mensilità, per i dirigenti medici e veterinari con rapporto di lavoro esclusivo e non esclusivo ed orario unico è fissato in € 38.198,00 annui lordi», al comma 2 aggiunge che « a decorrere dal 31 dicembre 2003 per i dirigenti con anzianità di servizio pari o superiore ai cinque anni, nel trattamento economico del comma 1 sono conglobate e riassorbite le seguenti voci: – per € 28.750,00 (C 31.145,83 compresa la 13^ mensilità), lo stipendio tabellare annuo di cui all’art.35, comma 2, comprensivo, per € 7.169,97, dell’intera misura dell’indennità integrativa speciale annua dell’art. 34; – per C 5.360,24 (C 5.806,93 compresivi della 13^ mensilità) la retribuzione di posizione minima contrattuale annua degli articoli da n. 37 a n. 40 con la corrispondente riduzione in misura pro-capite del fondo previsto dall’art. 54; – per € 1.245,24 la retribuzione di risultato, con la corrispondente riduzione in misura annua pro-capite del fondo dell’art. 56.»;
8.2. di contenuto analogo è la disposizione dettata dal comma 3, applicabile ai dirigenti con anzianità di servizio inferiore ai cinque anni, per i quali, quanto alla retribuzione di risultato che è quella che qui rileva, si prevede il conglobamento «per € 1.245,24 con la corrispondente riduzione in misura annua pro-capite del fondo dell’art. 56»;
8.3. tutti gli importi indicati nella clausola contrattuale fanno riferimento a valori annui e non mensili, sicché la Corte territoriale ha errato nell’affermare che mensilmente dovesse essere conglobata nello stipendio tabellare la somma di €1.245,24;
8.4. il tenore letterale della disposizione è, infatti, assolutamente chiaro nell’imputare l’importo in parola alla retribuzione annua e nel prevedere una diminuzione, sempre annua e di pari importo, del fondo disciplinato dall’art. 56 dello stesso CCNL per la retribuzione di risultato e della qualità della prestazione individuale;
8.4. quest’ultima disposizione, al comma 3, prevede che «A decorrere dal 31 dicembre 2003, per effetto del conglobamento disposto dall’art. 41, il fondo è decurtato, per ciascun dirigente medico e veterinario a rapporto esclusivo e non esclusivo, degli importi annui pro-capite della retribuzione di risultato indicati nel medesimo articolo, commi 2 e 3 terzo alinea. » e conferma, in tal modo, che nel nuovo stipendio tabellare le parti collettive hanno inteso conglobare la somma annua di € 1.245,24, non già quella di € 14.942,88, quantificata dal giudice d’appello moltiplicando per dodici il valore indicato nel richiamato art. 41;
9. in via conclusiva va accolto il solo quarto motivo di ricorso e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito indicato: «l’art. 41 del CCNL 3.11.2005 per la dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale si interpreta nel senso che nello stipendio tabellare annuo lordo fissato in C 38.198,00 è conglobata la retribuzione di risultato nella misura annua di € 1.245,24»;
10. al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
11. non sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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