Corte di Cassazione ordinanza n. 17346 depositata il 30 maggio 2022
cartella di pagamento – non preceduta dalla comunicazione di irregolarità – solo se mera liquidazione
Rilevato che:
1. – con sentenza n. 436/5/2012, depositata il 10 settembre 2012, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva annullato una cartella di pagamento (n. 10020070069696664000) emessa dietro iscrizione a ruolo degli importi dovuti dal contribuente, a titolo di Irpef, Irap e Iva, sulla base della dichiarazione presentata per il periodo di imposta 2004;
1.1 – a fondamento del decisum, e per quel che qui ancora rileva, il giudice del gravame ha ritenuto che:
- l’emissione della cartella non doveva essere preceduta, nella fattispecie, dalla comunicazione preventiva dell’esito del controllo automatizzato (d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis) né, dunque, dall’avviso bonario di cui alla l. n. 212 del 2000, art. 6, 5, in quanto si trattava di «omesso versamento di imposte emergenti come dovute dalla dichiarazione presentata sicché non vi era alcun errore emerso nell’esame della dichiarazione né vi erano aspetti controversi da chiarire»;
- del pari destituita di fondamento risultava l’eccezione di nullità per difetto di motivazione in quanto la cartella conteneva il richiamo alla disposizione dell’art. 36 bis e, per l’appunto, venivano in rilievo imposte risultanti come dovute dalla dichiarazione del contribuente;
- l’Irap doveva ritenersi dovuta in quanto dalla stessa dichiarazione presentata dal contribuente emergevano «spese per personale dipendente e/o assimilato per complessivi € 824,00 oltre costi per quote di ammortamento di beni strumentali, elementi che costituiscono la conferma della sussistenza di una organizzazione del lavoro che ha consentito di conseguire i compensi professionali dichiarati»;
2. – S.M., assumendo la sua difesa personale, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi;
- l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso mentre Equitalia Sud p.a. non ha svolto attività difensiva;
- a seguito dell’ordinanza resa dalla Corte all’udienza del 20 maggio 2021, – sul rilievo che medio tempore il ricorrente era deceduto, – si sono costituiti in giudizio M.E., S.S. e S.O., eredi di S.M..
Considerato che:
1. – il primo motivo espone, ai sensi dell’art. 360, c. 1, 3, cod. proc. civ., la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis, c. 3, al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54 bis, c. 3, al d.lgs. n. 462 del 1997, art. 2, e alla l. n. 212 del 2000, art. 6, nonché, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ., la denuncia di omessa, erronea, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo prospettato dalle parti; si assume, in sintesi, che l’omesso invio della comunicazione di cui all’art. 36 bis, c. 3, cit., e dello stesso avviso bonario di cui all’art. 6, c. 5, è destinato a produrre i suoi effetti (anche) sul trattamento sanzionatorio (ridotto) di cui al d.lgs. n. 462/1997, art. 2, c. 2, cit., e che, ad ogni modo, la comunicazione di irregolarità deve considerarsi adempimento dovuto, altrimenti ponendosi questione di legittimità delle relative disposizioni normative, in relazione agli artt. 3, 24, 53 e 97 Cost., ed in ragione delle disparità di trattamento riservata ai contribuenti per il ricorrere, o meno, dei presupposti di detta comunicazione;
– il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione alla domanda di riduzione delle sanzioni ai sensi del d.lgs. n. 462 del 1997, art. 2, c. 2, sull’assunto che detta domanda non aveva formato oggetto di esame da parte del giudice del gravame e che, ad ogni modo, – qualora ritenuta sussistente una pronuncia implicita di rigetto, – veniva in rilievo l’omesso esame della questione controversa relativa all’applicabilità di detto règime agevolato di definizione delle sanzioni;
– il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2, sull’assunto che, – in tema di presupposto impositivo dell’Irap, – il giudice del gravame aveva omesso «di valutare partitamente tutte le risultanze processuali e di confutare tutte le argomentazioni prospettate dal ricorrente» quanto alla insussistenza, nella fattispecie, di un’autonoma organizzazione nell’esercizio della professione forense, e posto che il ricorso alla collaborazione di terzi era stato sporadico, – in quanto imposto da esigenze contingenti, – così come inconcludente rimaneva il riferimento ai costi per quote di ammortamento di beni strumentali, costi minimi e strettamente essenziali alla gestione di uno studio professionale; e considerato, poi, che gli importi iscritti a ruolo conseguivano da una dichiarazione che era stata imposta dalle concrete modalità di presentazione della dichiarazione e che, ad ogni modo, avrebbe dovuto ritenersi emendabile;
– il quarto motivo, formulato anch’esso ai sensi dell’art. 360, c. 1, 3 e 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla l. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, alla l. n. 32 del 2001, art. 8, ed al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 25, nonché di «carenza di motivazione su punto decisivo della controversia» assumendosi che, nella fattispecie, e diversamente da quanto rilevato dal giudice del gravame, la cartella di pagamento difettava di motivazione quanto alle ragioni postevi a fondamento ed alle stesse aliquote degli interessi applicati;
2. – i primi due motivi di ricorso, – che vanno congiuntamente esaminati, perché accomunati da una medesima quaestio iuris di fondo, – sono senz’altro destituiti di fondamento;
2.1 – secondo un consolidato orientamento interpretativo della Corte (a cui riguardo v., altresì, Corte Cast., 11 luglio 2018, n. 152), l’emissione della cartella di pagamento secondo i presupposti delineati dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e dal d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54 bis, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000;
– si è, così, escluso che le comunicazioni in discorso siano dovute laddove ricorra, così come nella fattispecie, l’omesso pagamento di quanto dovuto secondo la stessa dichiarazione presentata dal contribuente (v., ex plurimis, Cass., 30 giugno 2021, n. 18405; Cass., 17 dicembre 2019, 33344; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass., 21 novembre 2017, n. 27716);
2.2 – e si è, in particolare, rimarcato che, – risultando la comunicazione di irregolarità (art. 36 bis, cit.) dovuta solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta, – la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione ai sensi del lgs. n. 462 del 1997, art. 2, c. 2, riduzione che, diversamente, non compete per il caso di omesso versamento rispetto al quale la comunicazione di irregolarità, per l’appunto, non è dovuta (cfr. Cass., 30 giugno 2021, n. 18405, cit.; Cass., 28 giugno 2019, n. 17479 Cass., 6 luglio 2016, n. 13759);
– è poi del tutto evidente la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale posta in ricorso in quanto, – non venendo in rilievo compressioni del diritto di difesa (art. 24 Cost.) né riflessi sul principio di legalità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), – il presupposto della riduzione delle sanzioni si correla (d.lgs. n. 462/1997, art. 2, c. 2), come anticipato, alla dovutezza della comunicazione di irregolarità che, a sua volta, implica l’emersione, in sede di controllo, di un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero di un’imposta o di una maggiore imposta, situazioni giuridiche queste che non sono comparabili con la fattispecie del (mero) omesso versamento delle imposte indicate in dichiarazione;
3. – del pari destituito di fondamento è il terzo motivo che, peraltro, pur prospetta profili di inammissibilità;
3.1 – è ben vero che, come si deduce in ricorso, la dichiarazione dei redditi, – al di fuori delle ipotesi in cui, esprimendo una scelta o un’opzione del contribuente, ha (anche) natura negoziale (v., ex plurimis, Cass., 9 maggio 2018, n. 11070; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30172; v., altresì, in tema di definizione agevolata, Cass., 14 settembre 2021, n. 24663), – ha la natura giuridica di una dichiarazione di scienza, – non riconducibile ad un atto confessorio (Cass., 6 marzo 2015, n. 4578; Cass., 20 dicembre 2002, n. 18163), – ed è, perciò, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare l’errore di fatto o di diritto che aveva viziato l’originaria dichiarazione ovvero l’insussistenza, così come nella fattispecie, del presupposto impositivo (v. Cass. Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13378 cui adde, ex plurimis, Cass., 28 novembre 2018, n. 30796; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27583; Cass., 11 maggio 2018, n. 11507); epperò, ove si verifichi un siffatto presupposto che, come detto, legittima il contribuente ad emendare l’erronea dichiarazione presentata, in applicazione delle regole generali (di disciplina del riparto dell’onere della prova) stabilite dall’art. 2697 cod. civ., grava sul contribuente stesso, che ritratta la propria dichiarazione, l’onere di dimostrare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (v., proprio in tema di Irap, Cass., 5 marzo 2020, n. 6239; Cass., 28 dicembre 2016, n. 27127; v. altresì, in termini generali, Cass., 5 luglio 2021, 18895, in motivazione; Cass., 9 marzo 2018, n. 5728);
3.2 – nella fattispecie, il giudice del gravame ha svolto, come anticipato, uno specifico accertamento in punto di ricorrenza del presupposto impositivo dell’Irap, quale costituito dall’autonoma organizzazione, e detto accertamento, – che è conforme a diritto (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2), – viene censurato, in buona sostanza, sotto il profilo della sua erroneità in fatto e, dunque, perché il giudice del gravame avrebbe omesso «di valutare partitamente tutte le risultanze processuali e di confutare tutte le argomentazioni prospettate dal ricorrente»;
– il motivo in trattazione, – che ratione temporis va ricondotto alla formulazione (art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ.) conseguente alla novella di cui al d. lgs. n. 40 del 2006, art. 2, – finisce, così, per devolvere alla Corte un non consentito riesame delle valutazioni probatorie operate dal giudice del merito, atteso che la Corte ha statuito che per fatto decisivo deve intendersi l’accadimento in senso storico-naturalistico, e normativo, che involge i fatti principali (art. 2697 cod. civ.) ovvero secondari (cd. probatori dei fatti principali), – e non, dunque, le mere argomentazioni, – e che, per l’appunto, ha carattere decisivo in quanto il suo esame avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (v., ex plurimis, Cass., 28 dicembre 2018, n. 33578; Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29883; Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152);
– il motivo di ricorso difetta, pertanto, di specificità in quanto si risolve nella mera riproposizione di argomenti probatori senza dar conto, con ciò, del carattere decisivo dei dati fattuali il cui esame si denuncia come insufficiente ovvero omesso;
4. – anche il quarto motivo di ricorso non può trovare accoglimento;
4.1 – a fronte di uno specifico accertamento in fatto, quale condotto (anche qui) dal giudice del gravame, il ricorso si risolve nella (mera) riproposizione di allegazioni difensive in ordine al contenuto minimo (in tesi) necessario ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione della cartella esattoriale emessa ai sensi del p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis;
– il motivo difetta, quindi, anch’esso di specificità, posto che, come statuito dalla Corte, la censura involgente la congruità della motivazione dell’atto impugnato necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786);
– per di più, va rimarcato, la Corte ha statuito che, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni in quanto, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (Cass., 17 dicembre 2019, 33344; Cass., 20 settembre 2017, n. 21804; Cass., 27 luglio 2016, n. 15564; Cass., 28 novembre 2014, n. 25329);
5. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo tra le parti costituite, seguono la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater), trattandosi di ricorso notificato in data successiva al 30 gennaio 2013 (Cass., 10 luglio 2015, 14515; Cass. Sez. U., 18 febbraio 2014, n. 3774; Cass. Sez. U., 4 febbraio 2014, n. 2395).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in€ 2.200,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.