Corte di Cassazione ordinanza n. 17357 depositata il 30 maggio 2022

sanzioni amministrative – carico della persona giuridica

RILEVATO CHE

1. D.M. impugnava davanti alla CTP l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005, con cui l’Agenzia recuperava a tassazione in capo sia al ricorrente che alla società B. s.r.l. maggiori redditi ai fini IRES (rilevando l’inesistenza soggettiva di rapporti tra la verificata e la società “cartiera” P.C. s.r.l.) maggiori ricavi non contabilizzati e non dichiarati ai fini IRAP e IVA. Sosteneva in particolare il D.M. di aver contestato in primo grado (“per quanto di interesse ai fini del presente ricorso”) l’omessa motivazione delle ragioni per cui l’Agenzia lo riteneva amministratore di fatto della società B. a r.l., e soprattutto di aver fatto rilevare come “le uniche disposizioni che prevedono una sorta di estensione della responsabilità dell’autore materiale della violazione in caso di s.r.l. sono state di fatto abolite dall’art.7 del d.l. 30.09.2003, n.269, convertito dalla l. 24.11.2003 il quale ha sancito < <le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio della società o en0 con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica>>”. La CTP con sentenza n.423/19/12 respingeva il ricorso;

2 Avverso tale decisione proponeva appello il D.M., richiamando l’applicabilità della disposizione di cui al citato d.l. n. 269/2003 anche “alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto”, come sancito dall’art.7 della disposizione stessa. Con la decisione oggetto di ricorso per cassazione, la CTR dichiarava – in base a quanto osservato dal contribuente, respingeva il ricorso sostenendo che “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione in forza del sistema introdotto dal D.L.vo 472/97”.;

3. D.M. proponeva ricorso per la cassazione dell’indicata sentenza della CTR, affidato ad un unico motivo. L’Agenzia ha depositato controricorso per resistere.

CONSIDERATO  CHE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.5 e 11 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dell’art.7 del l. n. 269/2003, convertito in I. 24 novembre 2003, n. 326, in relazione all’art.360, n.3, cod. proc. civ.

Osserva il ricorrente come il chiaro tenore dell’art.7 del d.l. n. 269/2003 esclude la responsabilità degli organi della società con personalità giuridica, e come l’entrata in vigore della suddetta disposizione sia anteriore alla contestazione della violazione ed all’irrogazione delle sanzioni.

Richiama lo stesso l’orientamento di questa Corte in ordine all’inapplicabilità retroattiva della norma in esame (in particolare Cass. 09/07/2014, n. 15613), ciò che implicitamente porterebbe al riconoscimento che la stessa si applica agli accertamenti successivi alla sua entrata in vigore. Con l’art. 7 dunque sarebbe stata introdotta una differenziazione tra le società con personalità e quelle prive della stessa, prevedendo solo nei confronti delle prime la riferibilità della sanzione a carico esclusivo della persona giuridica;

2. L’Agenzia controricorrente chiede in via pregiudiziale la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto del requisito di autosufficienza non essendo riportata la sentenza impugnata né l’atto di irrogazione della sanzione, né gli atti delle parti, imponendo così alla Corte un non consentito accesso agli atti del giudizio di Osserva comunque nel merito la stessa l’infondatezza del ricorso in quanto con l’avviso di accertamento impugnato era stata contestata l’insussistenza effettiva di un’autonoma attività economica della società, qualificandola come mero schermo di quella svolta dall’amministratore di fatto D.M., odierno ricorrente. Ad egli erano stati ricondotti l’attività, oltre che l’intreccio di rapporti tra società fittizie, ed in particolare la P.C. s.r.l. – da cui la società verificata aveva contabilizzato acquisti – era risultata una “cartiera”, né era stata prodotta documentazione da parte della verificata per accertarsi la provenienza effettiva dei finanziamenti riscontrati sul conto di mastro della società, dalla socia F.T.S. di cui era amministratrice la madre del ricorrente.

In siffatto contesto riteneva la controricorrente pienamente applicabile il principio espresso da questa corte secondo il quale l’amministratore di fatto di una società costituita al solo scopo fraudolento di evadere (nella specie l’imposta sul valore aggiunto) risponde in proprio delle violazioni commesse, non potendo trovare applicazione l’art. 7 d. l. n. 269/2003 (Cass. 28/07/2013, n. 19176)

Conseguentemente la controricorrente ha chiesto l’integrale conferma della pronuncia di secondo grado con ogni conseguenza ( declaratoria e pronuncia in relazione alle spese;

3. Il motivo di ricorso in cassazione è infondato.

Pregiudizialmente va disattesa la censura mossa dalla controricorrente inerente la non autosufficienza del ricorso. Fermo restando che in ossequio al principio, di derivazione sovranazionale, secondo cui nell’interpretazione non solo delle norme processuali, ma anche degli atti processuali, il giudice nazionale ha il dovere di preferire quella che consente di giungere ad una pronuncia sul merito, piuttosto che di inammissibilità (Corte EDU 7.6.2012, Centro Europa 7 s.r.l e Di Stefano c. Italia, in causa n. 38433/09, § 140; Corte EDU 17.5.2016, Karàcsony ed al. c. Ungheria, in cause nn. 42641/13 e 44357/13; e soprattutto Corte EDU, sez. I, 15.9.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07, §§ 42-44, e Corte EDU, sez. I, 24.4.2008, Kemp c. Lussemburgo, in causa n. 17140/05), nella specie la censura sollevata dal ricorrente attiene esclusivamente alla ritenuta estensibilità delle sanzioni applicate in occasione di un accertamento fiscale all’amministratore di fatto anziché alla sola persona giuridica, indicando il passaggio della sentenza di appello che reca tale affermazione.

Trascura però nel merito il ricorrente il fatto, evidenziato nella difesa della controricorrente e ampiamente ricavabile dalla sentenza impugnata (cfr. in particolare la relativa “esposizione dei fatti”), come non solo effettivamente la contestazione delle sanzioni al D.M. dipendeva dall’accertamento di un sistema fraudolento incentrato sulla società in questione, strumentale a conseguire risparmi di imposta e maturazione di posizioni creditorie I.V.A., ma tali accertamenti pur essendo stati oggetto dell’impugnazione davanti alla CTP, che aveva respinto il ricorso, e benché l’insussistenza di operazioni caratterizzate da inesistenza soggettiva, di omessa contabilizzazione di ricavi e della violazione dell’art. 21 d.P.R. n. 633/72 per omessa fatturazione di un anticipo, avessero poi costituito oggetto dell’impugnazione della sentenza della CTP davanti alla CTR, il ricorrente si è limitato ad impugnare il rigetto dell’appello con il motivo illustrato, inerente come detto esclusivamente all’applicabilità delle sanzioni anche al legale rappresentate di fatto.

Conseguentemente tutti tali profili risultano a questo punto non più contestati in questa sede.

Ne deriva la piena applicabilità alla fattispecie di quanto ancora da ultimo affermato da questa Corte regolatrice “Il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., in l. n. 326 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera “fictio”, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la “ratio” che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito” (Cass. 20/10/2021, n.29038).

In particolare in base a tale decisione “questa Corte (Cass. 09/05/2019, n. 12334), ha precisato che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7, decreto-legge n.  269/2003, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico“‘ (società dotata di personalità. giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito”;

Nella  specie,  risulta  accertata,  in  quanto  non  più  oggetto  di impugnazione, la natura fraudolenta delle operazioni e la strumentalità dello schermo sociale al fine di conseguire gli indebiti vantaggi fiscali sopra descritti in capo all'”amministratore di fatto”, per cui è evidente in base al principio appena espresso l’inapplicabilità del citato art.7 del

d.l. n. 326/2003, con conseguente assoggettamento del ricorrente alle sanzioni applicate con l’atto di accertamento impugnato e passato indenne ai due gradi di giudizio di merito.

4.11 ricorso dev’essere dunque respinto.

5. Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q. M.

La Corte respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, che liquida in € 10.000,00 a titolo di compenso, oltre spese prenotate a debito.

Dichiara   la sussistenza   dei presupposti processuali     per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.