Corte di Cassazione ordinanza n. 17411 depositata il 30 maggio 2022
litisconsorzio necessario – società di persona ed associazioni
– Rilevato che:
1. Con avviso di accertamento n. 51/1988 notificato il 21 novembre 1988 l’Ufficio Imposte Dirette di Desio accertava in capo alla società Pavan Sergio & C. s.n.c., per l’anno d’imposta 1983, un maggior reddito d’impresa imponibile ai fini ILOR, elevandolo da lire 107.876.000 a lire 698.206.000, con maggiore imposta dovuta di lire 395.731.000, oltre addizionale straordinaria sull’imposta ILOR di lire 31.011.000 e sanzioni.
2. Avverso tale avviso di accertamento, emesso nei confronti della società, propone ricorso alla Commissione tributaria di I grado di Monza il P.R., socio della società; la Commissione, con sentenza dell’11 gennaio 1991, depositata in data 18 febbraio 1991, accoglieva parzialmente il ricorso e rideterminava il reddito complessivo accertato in lire 304.794.000.
3. Avverso tale pronuncia proponevano appello sia il contribuente che l’Ufficio. La Commissione tributaria di II grado di Milano, con sentenza n. 9069/19/1992, depositata il 5 maggio 1992, accoglieva l’appello del contribuente e dichiarava che l’accertamento non gli era opponibile, annullandolo nei suoi confronti.
L’Ufficio proponeva quindi adiva la Commissione tributaria centrale – sezione di Milano, la quale, con decisione n. 1572/01/2013, depositata il 10 aprile 2013, rigettava il ricorso.
Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
Non si è costituito l’intimato P.R..
4. La discussione del ricorso è stata quindi fissata per la camera di consiglio del 21 aprile 2022, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
– Considerato che:
5. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), stesso codice, per avere la C.T.C. ritenuto l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non opponibile al socio, in quanto fondato su un p.v.c. da questi non conosciuto, pur non avendo il contribuente mai dedotto l’inopponibilità dell’atto impugnato nei suoi confronti per essere egli receduto dalla società sin dal febbraio 1985, ed avendo, invece, contestato l’atto impositivo nel merito.
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 2291 cod. civ. e 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto l’accertamento faceva riferimento all’anno d’imposta 1983, ragion per cui il socio, pur essendo successivamente uscito dalla compagine sociale, era comunque solidalmente responsabile di tutti i debiti della società, compresi quelli tributari.
6. Preliminarmente deve essere rilevato, in aderenza ai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte – sentenza n. 14815 del 04 giugno 2008 – che, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, 917, art. 5 e dei soci delle stesse, e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comportano che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguardi inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (in senso analogo Cass. 31 marzo 2015, n. 6594).
Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 14, ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio.
La mancata partecipazione della società e degli altri soci al giudizio di merito comporta quindi la cassazione della sentenza impugnata, nonché di quelle di 1^ e 2^ grado, con rinvio, ai sensi dell’art. 383, terzo comma, cod. proc. civ., alla C.T.P. di Milano affinché decida la controversia previa integrazione del contraddittorio.
7. Ogni altra questione resta assorbita.
8. Sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte cassa la sentenza impugnata, dichiara la nullità del giudizio e rinvia alla C.T.P. di Milano, compensando tra le parti le spese dell’intero giudizio.