CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 17466 depositata il 19 giugno 2023

Tributi – Credito IVA – Silenzio rifiuto – Interessi anatocistici – Imposte sostitutive – Imposta patrimonio netto – Contributo Servizio sanitario nazionale – Accoglimento

Rilevato che

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata, per quanto ancora di interesse, si evince che: il (…), (già società (…) s.p.a. e ora B.B. s.p.a.), quale cessionario del credito iva anno 2000 del Fallimento della società (…) s.r.l., aveva proposto ricorso avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate formatosi sulla richiesta da esso presentata di rimborso del suddetto credito e di pagamento degli interessi anche anatocistici; la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che, in base all’art. 5, comma 4ter, d.l. n. 70/1988, non era consentita una cessione parziale del credito iva;

avverso la suddetta pronuncia la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione parziale affidato a un unico motivo di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato un atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Considerato che

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’ art. 5, comma 4ter, d.l. n. 70/1988, nella parte in cui ha ritenuto che, relativamente alla richiesta di rimborso del credito iva anno 2000, non fosse consentita la cessione parziale del credito iva;

il motivo è fondato;

la questione di fondo della presente controversia ha riguardo al fatto se, in caso di cessione del credito iva, il rimborso del suddetto credito in favore del cessionario da parte dell’amministrazione finanziaria richieda necessariamente che l’intero credito iva maturato debba essere oggetto di cessione ovvero se sia consentita una cessione parziale;

in materia d’iva la fonte normativa di riferimento è costituita dall’ art. 5, comma 4ter, d.l. n. 70/1988, che prevedeva, nella disciplina ratione temporis applicabile, che: “Agli effetti dell’art. 38nis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale, deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel comma 2 del suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo. Restano ferme le disposizioni relative al controllo delle dichiarazioni, delle relative rettifiche e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente il credito””;

con il successivo intervento normativo di cui al d.l. 30 aprile 2019, n. 34, art. 12sexies, comma 1, si è inserito al suddetto comma il riferimento anche alla cessione del credito del quale è stato chiesto il rimborso in sede di liquidazione trimestrale;

mentre in passato si dubitava della cedibilità del credito iva in generale, la questione è stata superata proprio alla luce del suddetto intervento normativo a favore della piena cedibilità, posto che lo stesso, nel disciplinare le conseguenze della cessione, ne dà per presupposta la legittimità, poiché la previsione in esame, invero, riconosce per implicito la cedibilità del credito iva e mira a tutelare la posizione dell’amministrazione finanziaria attribuendole il diritto di ripetere anche presso il cessionario le eventuali somme pagate a rimborso e poi risultate non dovute;

la tesi della cedibilità del credito iva è stata confermata dalla giurisprudenza di questa Corte già con la pronuncia 12 ottobre 2001, n. 12455, che ha precisato che: “La cessione del credito Iva è pacificamente ammessa dall’ordinamento al pari della cessione di qualsiasi altro credito, ed in caso di cessione di un credito Iva, il cessionario è attivamente legittimato quanto alla procedura di rimborso e passivamente legittimato quanto alle restituzioni, mentre gli sono opponibili gli atti dell’Ufficio per quanto attiene al controllo delle dichiarazioni, alle rettifiche ed alle sanzioni erogate al cedente“;

in questo ambito, dunque, in cui è pacifico che il legislatore interno riconosce la possibilità della cessione del credito iva, si innesta questione in esame della necessità o meno che il suddetto credito debba essere ceduto per interno o possa esserlo solo in parte;

va osservato, a tal proposito, che dalla disciplina normativa di riferimento non è dato ricavare alcun limite alla facoltà di cessione solo parziale del credito iva;

dall’esame sistematico delle previsioni normative di riferimento si evince che una limitazione alla cedibilità del credito di imposta sussiste, in realtà, ma solo per le ipotesi specificamente previste dal legislatore, il che induce a ritenere che, in mancanza di espresse limitazione normative, non v’e’ ragione di ritenere che solo l’intero credito iva risultante dalla dichiarazione debba essere oggetto di cessione;

in particolare, una specifica previsione è contenuta in materia di imposte dirette nel d.m. n. 384/1997 che, nel dare attuazione alle previsioni di cui agli artt. 43bis e 43ter d.p.r. n. 602 del 1973, ha previsto, all’art. 1, che i crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi da parte delle persone fisiche, delle società di persone e soggetti equiparati nonché dei soggetti di cui all’art. 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, possono essere ceduti a condizione che: a) la cessione sia operata con atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un notaio; b) deve riguardare l’intero ammontare del credito chiesto a rimborso per ciascuna delle imposte sui redditi, ivi compreso quello derivante da imposte sostitutive, dall’imposta sul patrimonio netto delle imprese e dal contributo al Servizio sanitario nazionale;

lo stesso DM, peraltro, all’art. 2, contiene una specifica norma derogatoria, prevedendo che la cessione delle eccedenze d’imposta, quali somme a credito per cui non viene chiesto in dichiarazione il rimborso bensì il loro riporto per lo scomputo dagli importi delle imposte eventualmente dovute per il periodo d’imposta successivo, può avere ad oggetto anche solo una parte delle eccedenze dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell’imposta locale sui redditi;

in sostanza, in materia di imposte dirette, il legislatore ha previsto una regola generale di non cedibilità parziale del credito ed una deroga, a determinate condizioni, alla stessa;

in materia di cessione del credito iva, come detto, non risultano analoghe disposizioni limitative che, pertanto, trovano specifiche applicazione solo nell’ambito espressamente previsto dal legislatore, dunque nella sola materia delle imposte dirette;

la volontà espressa dal legislatore con la previsione di cui all’ art. 5, comma 4ter, d.l. n. 70/1988 è, dunque, nel senso della non sussistenza di limitazioni alla cedibilità anche parziale del credito iva, non potendo applicarsi le previsioni normative in materia di imposte dirette che trovano la loro giustificazione nell’ambito specifico di riferimento, non direttamente riconducibili alla diversa materia del credito iva;

la differente soluzione adottata dal legislatore in materia di imposte dirette e iva in tema di cedibilità parziale del credito, invero, trova giustificazione nella scelta discrezionale di prevedere un diverso regime che ha la sua ragione nella diversità di struttura dei due sistemi di imposizione;

nella disciplina delle imposte dirette, per le persone fisiche, ai sensi dell’art. 3 d.p.r. 917/1986, la base imponibile è determinata sulla base del reddito complessivo prodotto nel periodo di imposta corrispondente all’anno solare (vd. art. 7); per le società, ai sensi del successivo art. 75, la base imponibile è determinata sulla base del reddito complessivo netto prodotto nel periodo di imposta corrispondente all’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente (vd. art. 76);

in entrambi i casi, dunque il credito sorge tenendo conto dell’importo complessivo del reddito dichiarato per l’intero periodo di imposta di riferimento e, dunque, assume rilievo, ai fini del suo conteggio, l’intero ammontare del debito che il contribuente è tenuto a versare;

nella disciplina dell’iva, invece, vi è una pluralità di versamenti compiuti in relazione alle singole operazioni imponibili che, pertanto, risultano di per sé distinte, dovendosi fare riferimento a quanto previsto dall’art. 13 d.p.r. n. 633 del 1972, secondo cui la base imponibile è da riferirsi alle singole cessioni di beni e prestazioni di servizi ed al corrispettivo dovuto, con conseguente obbligo di versamento, secondo quanto previsto nel successivo art. 27, mediante liquidazioni e versamenti mensili;

tale lettura interpretativa risulta confermata dalla prassi amministrativa seguita dall’amministrazione finanziaria;

con la risoluzione del 6 settembre 2006, n. 103, l’Agenzia delle entrate (ragionando in ordine al limite di valore entro il quale il rimborso del credito iva annuale è eseguito direttamente dal concessionario della riscossione territorialmente competente, mentre il rimborso dell’eccedenza spetta all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente), ha espresso il convincimento che, qualora la cessione del credito iva avvenga dopo l’effettuazione del rimborso da parte del concessionario, sia comunque possibile procedere al rimborso dell’eccedenza, purché non sia alterato l’originario rapporto obbligatorio di diritto pubblico esistente tra l’Amministrazione Finanziaria ed il cedente del credito;

l’unico limite ravvisato, dunque, è stato quello della non possibilità di frazionare ulteriormente il credito tra più cessionari, potendosi ammettere solo la sua cessione unitaria;

in sostanza, nella specifica materia della cessione del credito iva, quel che rileva è che il credito iva risulti dalla dichiarazione annuale o trimestrale iva e che lo stesso sia ceduto, anche parzialmente, dopo la suddetta specifica indicazione;

deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto:

In materia di iva, l’ art. 5, comma 4ter, d.l. n. 70/1988, nel riconoscere all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto, in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale, la possibilità di ripetere le somme rimborsate anche dal cessionario, ammette la cedibilità del credito iva, che può essere anche solo parziale in difetto di esplicite limitazioni; né ha rilievo, a tal fine, il regime disciplinato dall’art. 1 d.m. n. 384 del 1997, di attuazione degli artt. 43bis e 43ter d.p.r. n. 602 del 1973, applicabile solo alla materia delle imposte dirette“; la pronuncia censurata, pertanto, non è conforme ai suddetti principi, avendo escluso la rimborsabilità del credito iva ceduto solo in parte;

va dato peraltro atto, per completezza, che il motivo di ricorso è limitato alla sola questione della sussistenza del diritto al rimborso dell’iva e degli interessi, non avendo parte ricorrente prospettato ragioni di doglianza in ordine alla questione della spettanza degli interessi anatocistici, relativamente ai quali si è pronunciato il giudice del gravame dichiarando l’assorbimento della stessa; ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza e, non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso originario; ai fini delle spese di lite, vanno compensate quelle dei giudizi di merito nonché quelle relative al presente giudizio, stante la novità della questione.

P.Q.M.

In accoglimento del motivo di ricorso, cassa la sentenza censurata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della ricorrente; compensa le spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio.